AMO ET ODI
Una haec res torquet... quod amo te.
Nulla potest animae dimidium meae,
aeternum sanctae foedus amor
cogit me amare magis,
cogit me desistere te amare.
Non posso farci nulla se metà dell'anima mia pretende il rispetto dell'eterno insolubile patto di inviolabile amore che mi costringe ad amarti di più, mi costringe a non finire di amarti.
Tu mi dici, mia dolce fanciulla, mia tenera "puella" (che solo in onirico ambiente fosti di me ospite ed io lo fui di te), mia Clelia (o mia Xenia, mio dono prezioso?) che vorresti - sentire le mie mani che ti toccano, ti sfiorano, mentre ti spogli lentamente - . Voglio dirti invece che ti amo e ti odio nello stesso tempo.
Il mio amore è per il tuo spirito, per il tuo corpo, per tutto quello che sei. Per il senso che dai al mio esserti accanto. Io ti vedo mentre denudi le membra. Come un quadro che nasce dalla mia mente ti apri con la tua cerulea pelle, mentre purpurea si fa la gota.
E dal velo che cade si disfa il mistero. Il collo delicato china il capo, quasi a nascondere gli occhi, troppo pudichi. Il seno procace disvela la bianca mammella che soda si ferma scossa dal tremito dello scollo caduco. Il capezzolo rosa, come malva diventa se lo imbocco e lo schiocco tra le labbra. E tu vibri. Scatta all'indietro la testa, mentre le tue mani nervose mi serrano il viso dicendomi, senza parlare: - Continua, continua Amore mio, ma attento, Ti prego, se possibile non farmi male. Altrimenti succhiami tutta, fammi entrare nella tua bocca. Tu sai come operare. - E' per questo amore che ti sento come un dolce frutto che mi disseta, che scende nella gola, che entra nei polmoni, che fa tremare il midollo nella schiena che scende irruente e convulso si ferma nelle gonadi piene. Dalla inusitata spinta l'organo del mio godimento, dal corpo discosto, si protende con fremiti arditi verso il tuo inebriante profumo di donna, verso le tue protuberi forme, verso i tuoi acuti sentori, verso la cavità dell'amore che si apre nella valle scavata tra le colonne polite delle tue perfette gambe.
Oh, mio amore, mia donna, mia unica gioia, mia perfetta perfezione, mia delicata funzione, mia vestale, miei seni, miei glutei, miei occhi, mia bocca, mio essere. Tu non mi appartieni, ma io appartengo a te. Sono le tue braccia, le tue mani, le tue gambe, il tuo ruvido amante. Quel che vuoi io posso farlo. Tu, mia forza. Tu, mia unica mente. Comanda io sono solo un arto nella tua sublimazione.
Se tu vuoi, mi lascio cullare. Se tu vuoi, ti saprò cavalcare. Se tu vuoi, mi lascio succhiare. Se tu vuoi, ti entro nell'antro segreto che non riveli a nessuno. Tomba sarò e prenderò quel che mi concederai. Sarò protesi acuta che tu potrai usare per penetrare tutti i fori che vuoi.
I tuoi scrigni saranno da me aperti, se me lo permetterai, con la chiave più opportuna nel modo più consono perché il dolore non abbia il sopravvento sul reciproco piacere.
Il mio gonfio balengo strumento ti sia di pieno godimento. Usalo, amore, come tu vuoi, come tu sai. Io patirò le pene d'inferno, aspettando che raggiunga l'estremo stato di svenimento, ma saprò attendere. E dopo, Amore, ti prego, non pretendere più nulla. Anch'io dovrò estendere il profluvio del seme vomitando anche l'anima nel disserrato tuo corpo. Nel fremente tuo vaso disporrò milioni di boccioli. Se vorrai fioriranno, altrimenti reciderli dovrai, domani, con calma.
E quando finito sarà il nostro rito, in quel momento, Amore mio, ti odierò profondamente perché non è eterno, purtroppo, il momento del godimento.
Xenia, Ita ipsa Musa poetas divino instinctu concitat.
Crisalide