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Racconto n° 4089
Autore: Rivederlestelle Altri racconti di Rivederlestelle
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Anima che manca
Eccomi qui, in questa desolata camera di un hotel lungo la provinciale. In mutande, con il sudore appiccicato alla pelle e l'odore di aria viziata che impregna la stanza. Lei è uscita da qualche minuto, spompata come sempre, come del resto lo sono io. Ennesimo appuntamento con il sesso, da sei mesi a questa parte. Lei se ne è andata, lasciandomi ancora una volta nudo dentro, nella profondità del mio inconscio. Ho avuto per me un fisico meraviglioso, ho provato un godimento celestiale, ma ancora l'anima mi manca. L'anima di Lei, della giovane donna di cui posseggo tutti i segreti e le formule segrete del suo essere corpo, conosco le dinamiche muscolari e la mappa delle zone erogene, mi disseto aspirando profumi ancestrali, ma di cui ancora non so nulla. Essenza profonda, contraddizioni emozionali, drammi sentimentali, vuoti ideologici, ricerca filosofica, cultura, arte...Nulla so di tutto questo. Neppure il nome o l'età. Lei è semplicemente Lei, senza fronzoli anagrafici, dubbi esistenziali, schizofrenie identitarie. Per Lei naturalmente, perché nel mio caso tutto è avvolto nel dubbio, vera costante di tutta la mia vita di agnostico totale, di relativista senza confini né dogmi. Chi sei? Da dove vieni? Quale parte della mia vita ti ha condotto a me? Quale mistero nascondi dietro i tuoi capelli neri come pece, le labbra perfette, le lunghe gambe dal sapore di terra, il sesso delicato e accogliente, gli occhi color mandorla, le ciglia ricamate, i piedi affusolati...Chi sei?

Ieri, stesso copione, diversa location. In macchina. Appuntamento alle 13. Lei che arriva e parcheggia la sua city car color ciliegia. Mentre scende, con accortezza mette una mano davanti al punto in cui la minigonna si apre. Forza dell'abitudine, accorgimento necessario, quotidiano, incessante, contraddittorio: proteggere l'intimità dagli sguardi indiscreti degli sconosciuti, mantenere intatto il gusto della scoperta per l'amante di turno, di cui vuole sempre sapere tutto, nei minimi particolari, nevrosi e psicosi comprese. Lungo lo sterrato che porta alla cascina siamo soli. Nessun sguardo indiscreto, dunque. L'amante invece c'è, sono io. A me ha dato la chiave di accesso alla cassaforte, sono io l'uomo che aprirà per l'ennesima volta quelle gambe, assaporerà il piacere particolare di guardare raffinate e costose mutandine come si fa di fronte a un quadro di un grande artista. Ma Lei è abituata a fare così, o forse semplicemente, vuole eccitarmi ancora di più, giocando con i veli come una danzatrice del ventre in un harem di infoiati. Sopra la minigonna indossa una maglietta bianca con la scritta - Help! - . Sorrido veramente compiaciuto, assaporando la dolcezza della fase preparatoria all'amplesso, quando l'erezione si fa avanti sempre più incessante, inarrestabile. Gli occhiali da sole mi nascondono i suoi occhi felini, con quelli mi ha accalappiato quando l'ho conosciuta alla serata letteraria del mio amico scrittore. Sono passati sei mesi.
Fa caldo, un caldo tremendo. Sudo, ma non me ne vergogno. A Lei piace tutto di me, ogni piccola variazione non toglie niente alla sostanza del tutto. Ci abbracciamo come due fidanzatini, la stringo a me spingendo le pelvi contro il suo bacino. Sono eccitato, si nota, lo sente. Stretti uno all'altra ci avviciniamo alla mia macchina, rimasta a cuocere al sole di luglio. Ci accomodiamo sui sedili anteriori, abbasso i finestrini. Ho parcheggiato in una zona d'ombra, a ridosso di un grosso pino. Le fronde dell'albero si muovono spinti da una leggera brezza che penetra all'interno dell'abitacolo, donando un po' di refrigerio. Niente motore, niente aria condizionata. Mi tolgo la giacca e rimango in camicia. Ho le gambe leggermente divaricate, per assecondare il mio sesso in movimento crescente. Chiede spazio vitale, come dargli torto.

Ci baciamo. Subito, voluttuosamente. Non una parola sulla giornata. Lavoro? Quale? Casa? Affetti? Famiglia? Bambini? Labbra calde che si mischiano, bagnate di saliva, senza attriti. Scivolano le lingue, occhi chiusi e sospiri sempre più intensi. Avrei voglia di parlare, più che altro domandare. Ma sono troppo distratto, troppo preso da quel vortice di passione che mi annebbia la vista, sospende il reale, mi riempie di un'energia potente, fisica, materiale, concreta. Con la mano palpeggio il suo corpo, i seni avvolti in un reggiseno di tessuto leggero. Glielo sfilo. I capezzoli fuoriescono come cunei puntati, forti, sodi, in tiro. Lei intanto ha iniziato a sollevare la gonna, con la mano si accarezza le cosce. Togliere la maglietta è questione di un attimo, secondo più, secondo meno. Che importanza può avere il tempo? A seno nudo, mi sento come un affamato davanti a un ricco buffet. Non so da dove iniziare, vorrei avere tutto in bocca in un colpo solo. Ho voglia di leccare i capezzoli, ho voglia di guardare sotto la gonna. Ho voglia, tanta voglia...

Decido di vivermi il momento in modo saggio, assecondando la massima secondo la quale il piacere si gusta meglio quando è crescente, fino al culmine dell'orgasmo. Prendo i capezzoli tra i denti, prima uno poi l'altro. Lei ansima, occhi chiusi, serrati, bocca semiaperta. La piccola lingua scorre sulle labbra, vedo con la coda dell'occhio la punta che guizza come la testa di un serpentello cattivo. Mi abbasso in cerca della vulva. Infilo la testa sotto la gonna, Lei facilita il tutto aprendo le gambe, divaricandole al massimo. Il tacco a spillo della scarpa destra si arpiona al sedile, quasi buca il tessuto. La minigonna alzata ad altezza vita, ho davanti a me la cassaforte aperta, accessibile, incustodita. Mia. Rivoli di sudore mi colano dai capelli sulla fronte e intorno al naso, premuto come la bocca sulle mutandine bianche di Lei. La lingua si muove impazzita in un ritmo vorticoso che non posso e non voglio fermare. Arrivato a quel punto, sento di possedere quel corpo, nel profondo, totalmente. Ne sono orgoglioso ma non mi compiaccio del rischio di avere solo quello. Pensieri si affollano nella mia mente alla velocità della luce. Di chi sei traditrice? A chi nasconderai con animo ingannatore questa tua resa al mio desiderio? C'è qualcun altro nella tua vita, uno, nessuno, centomila amanti, un marito fedele o infedele anch'egli? Chi altro?

La sua mano cerca il membro eretto. Abbasso la cerniera dei calzoni e Lei ficca dentro la zampetta. Con l'abilità consumata di una puttana esperta, fa in fretta a scostare le mutande dal lato più vicino. Sento la sua mano che avvinghia la verga. Le dita sono fredde e lo scambio termico mi provoca un sussulto. Da sei mesi, Lei mi spompina con fare sapiente. Lo sa fare, è un suo vanto. Godimenti sublimi, orgasmi abbondanti, certo. Ma anche altre domande, altri dubbi, altri desideri di conoscenza non soddisfatti. A quanti maschi concede un simile servizietto? Quanti in una giornata, in un mese, in un anno?

Puttana! Puttana! Amabile puttana...Voglio gridarlo, ma non ci riesco. Le parole muoiono in gola, sopraffate da forze che non so e non voglio controllare. Mi lascio andare alla deriva, come sempre, come ogni giorno di questi miei sei mesi in sua compagnia. La sua bocca è riempita del mio sesso caldo e vibrante. Sento la lingua percorrere il glande in tutta la sua estensione, rosso fuoco. Quando lo abbandona è solo per leccare l'asta dura che si erge possente, senza freni. Nel frattempo, la masturbo con la mano destra. Il suo sesso è un fiore bagnato e aperto dopo una tempesta primaverile. Mi abbasso con calma calcolata e mi infilo sotto di lei, costringendola a trovare una posizione comoda per la sua pratica orale. Anch'io voglio la mia parte e ci arrivo con determinazione animalesca. Le scosto le mutandine e infilo la lingua tra le grandi labbra. Dentro, nel centro del suo mondo, il rosa della carne viva brilla come luce nella notte buia. Spingo la punta della lingua in quella fessura umida e profumata, gocce di liquidi umorali mi finiscono in bocca, li ingoio. Stiamo così per un lasso di tempo che non potrò mai calcolare. Potremmo starci all'infinito.

La scopata arriva che ormai siamo nudi. I vestiti sono sparsi per tutto l'abitacolo, davanti, dietro, ovunque. Lei è sopra di me, sul sedile del passeggero, e io la penetro alternando ai baci avide leccate ai seni turgidi. Faccia a faccia, a pochi millimetri uno dall'altra. Sudati, vogliosi, in cerca di orgasmi come rabdomanti impazziti. Fuori la brezza è aumentata, il cielo si è ingrigito e l'albero divide con le nuvole il compito di nascondere il sole. Ci guardiamo, occhi addossati, sguardi fissi. Quante domande potrei farle in questo momento, quante risposte, vere e false, potrei ottenere nell'illusione di placare l'ansia di sapere. Non chiedo nulla, invece, non ne ho la forza. Penso al dopo, a quando se ne andrà con un semplice - Ci sentiamo per domani - . La odio per come riesce a farmi sentire un oggetto da consumare nel presente, senza un futuro che mi dia valore come soggetto. Ma godo, godo, e non voglio privarmi di una cosa tanto preziosa.

Alla fine veniamo uno di seguito all'altro, serratamente avvinghiati, compenetrati. Le nostre grida si diffondono all'esterno, senza clamori, senza attenzioni da parte della natura circostante. L'albero continua imperterrito a misurarsi con la dimensione della necessità, muovendosi al ritmo del vento che viene da chissà dove. Ottenuto l'orgasmo, restiamo a fissare punti immaginari in mezzo ai secchi campi di grano. Il ritmo del cuore si assesta, l'erezione scompare, abiti e indumenti vengono raccolti e indossati. E' ora di andarsene. Lei scende dall'auto, l'accompagno alla macchina. - Ci sentiamo per domani - , mi dice assestandomi sulla bocca un bacio tenero a labbra serrate. Parte, sollevando un ammasso di polvere e terriccio. Io resto lì ad osservare il corpo che si allontana, l'anima manca ancora una volta.

E' stato così ieri. Come tutti i giorni prima di ieri. In macchina o in hotel. In tanti hotel, in questo, di cui so bene il nome, indirizzo, numero di telefono e indirizzo e-mail. Sono le sei, il sole ha iniziato a tramontare. Lei se ne è andata, come sempre. Questa volta però c'è qualcosa di diverso dal solito. Niente confessioni, purtroppo. Solo un - addio - scritto con una grafia leggera su un bigliettino. Una parola di epilogo che ha il dolore di un pugno nello stomaco. Ho goduto di un corpo e non dell'anima che vi è custodita. Sono stato abbandonato da un corpo ma l'anima che manca dov'è finita?

Rivederlestelle

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