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Racconto n° 4126
Autore: LaPassiflora Altri racconti di LaPassiflora
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Il Gioco
Allora, fu decisamente diverso.
La sua sofferenza e la mia sofferenza rendevano difficile capire. Comunicavamo e comprendevamo, ma senza parole.
I toni tra noi andavano al di là del rispetto, della libertà e della dipendenza. Non eravamo che l'autopsia del passato. L'uno dentro l'altro.
Solleticavamo il reciproco desiderio, perché per come eravamo, senza sentimento tra noi, il desiderio era la perfezione che ci faceva essere. E finivamo per prenderci in esso, e perderci, di più e più dolorosamente di prima.
Eppure era la felicità, il piacere dell'amore nello stare insieme che spregiudicatamente inseguivamo. Solo che io lo volevo da un uomo e lui lo voleva da una donna, che erano diversi.
Un amore importante a cui non potevamo mentire. La semplicità di una verità profonda che non riuscivamo ad accettare. A spiegarci.
Allora le gambe sollevate, il nascondiglio che celavano, spodestavano le peggiori condizioni.
Ci davamo tra noi, senza abbassare lo sguardo, sopra il letto e tra i vicoli del porto, e non c'erano altro che gemiti. Sangue morto che urlava caldo nelle vene.
Aprivo le mie gambe di donna per rinascere ancora. Mentre lui, a sua volta, tirava fuori dalla carne inspessita un orgasmo sottile tra il piacere e il dolore.
Tradivamo il nostro amore per cancellarlo. La nostra emozione era divorare baci e carezze per annegare la paura che ricordavano. Si trattava di partorire il tempo, di provocarne un altro simile e diverso, che costantemente ci portasse sulla soglia. Dove le bocche tentennavano e la confessione si bagnava. Oltre le lacrime amare di quello che era stato.
Ma lui era bello. Un sole triste in mezzo alle mie cosce provate dal silenzio. Ed io ero calda, un ventre dentro un corpo che ricominciava da capo.
Ci arrivammo incontrandoci per caso, d'estate, qualche anno fa. Lui aveva fiutato che mostrarsi animale, allontanando la grazia, era un gioco di successo inventato appunto per perseguire i desideri riducendo le mancanze. Ed io mi accarezzavo tirando dietro i baci e gli umori che avevo dato.
Ci crescemmo dentro in pratica, per chiudere gli occhi all'amore scomparso.
Non ci facemmo male, non potevamo riuscirci, anche se ci provammo. Ma il male era il nostro odore presente. Potevamo solo cambiarne il destino, lavarci le forme e i ricordi, dando un nuovo ordine alla situazione.
Fu così che ci prendemmo come girandole impazzite, senza chiamarci mai, ma mettendoci sempre allo stesso posto quando veniva il momento. E avveniva per caso, incontrandoci come la prima volta, senza che fosse una storia. Senza che amassimo, diventando fra le parole dell'altro. Fu la circoncisione di un periodo muto a meditare.
Eravamo particelle vibranti di sesso che anelavano all'unità perduta, al dialogo di un amore che non doveva finire, però finito.
Non avevamo sensi di colpa. La tenerezza non ci macchiò mai della sua passione e solo il succhiare lasciò le tracce che scolorirono finché non tornò la pace.
Poi lui pasticciò verso altre estremità del cuore e io mi spinsi, senza regole, verso la conoscenza che un corpo di parole riusciva ad avere.

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