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Racconto n° 4136
Autore: Mayadesnuda Altri racconti di Mayadesnuda
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Alibi non pervenuto
La passione non ha alibi. Non cerca scuse. Non espone giustificazioni. La passione non si arrampica sui vetri. Non conosce 'se' e certamente non distingue 'ma'. La passione vive. Cancella i congiuntivi e si alimenta di imperativi. Categorici. La passione spinge al gesto eroico, alla follia lucida. La passione si espone, genera e alimenta. La passione è madre. Culla e protegge. La passione vive. Ma è forse questo che tu non sei ma riuscito a capire. Solo questo. Quattro lettere. Due sillabe. E' stato questo a dividerci. A lacerare le corde, che ci tenevano legati. A sfilarle e sfibrarle come gomene di una vecchia velatura consunta. Non sai vivere. Sopravvivi a te stesso e al mondo. L'errore è stato mio. Lo sapevo e mi sono illusa di aver frainteso. Come si può fraintendere la mediocrità?
Adesso. Dopo anni e a centinaia di chilometri di distanza. Tutto mi sembra chiaro. Adesso i distinguo posso farli io. Finalmente. Te lo concedo sono riposanti i distinguo. Rilassanti le differenze. Ti offrono scappatoie. Permettono la costruzione di alibi. Io, invece, come ti devo essere apparsa pesante. Difficile, quasi ostica. Forse ostile nella mia passione totalizzante. Io c'ero. Io respiravo il tuo respiro. Penetravo la tua pelle. Piangevo le tue lacrime. E tu soffocavi. Annaspavi incapace di corrispondere. Non volendo scientemente farlo. Ora lo so. Intendiamoci non ho mai cercato la simbiosi. E' che la passione non ti da tregua nè scampo. Quella dannata spiaggia. Non credo riuscirò mai a dimenticarla. L'inizio e la fine. Strano destino. Allora prevalse il distinguo della tua terra. La tradizione. La tua preziosa famiglia. La passione che mi dominava, mi impediva anche di vedere chiaramente. Il fatto è che ora invece vedo. Muscoli guizzanti sotto una pelle soffusa di imbarazzato rossore, che dovrebbero quanto meno strapparmi un sorriso. No. Sei in ginocchio nudo. Ancora non hai capito chi sono. Io ti ho riconosciuto subito. Dalla prima presuntuosa occhiata di approcci al check in. E non ho voglia di sorridere. Non provo pena. Non sento il morso della vendetta. Non sento. Semplicemente. Sono come anestetizzata. Lontana ci osservo. Un uomo in ginocchio e una donna con uno sguardo di acciaio. La donna ha curve morbide e una carnagione che risplende alla luce soffusa delle lampade. L'uomo è a capo chino. La schiena porta segni evidenti del confronto che si è svolto in quella stanza. Incrocio gli occhi della donna riflessi in uno specchio. C'è un mondo dentro quegli occhi. Per un istante mi sembra quasi di essere risucchiata in me stessa. Non posso. Se voglio uscire pulita da questo gioco che ho iniziato. Non posso. Rimango ad osservarci. Tu non hai ancora capito. Non hai il minimo sospetto. Hai goduto. Urlato. Lottato. Hai chinato il capo e reso il dovuto omaggio. Ma non hai mai neppure per una frazione di secondo riconosciuto in quella donna avvolta in un originale abito di seta mauve la ragazza di allora.
La passione è sempre stata incomprensibile per te. Ora come allora. In un certo qual senso questo mi rassicura. Ci sono cose che non cambiano mai. Persone sempre identiche a se stesse. Ho cercato tracce di quel ragazzo così razionale, freddo, controllato e pronto a giudicare. Le ho cercate mentre ti davo quello per cui eri venuto a cercare la signora dell'aeroporto. Devo ammettere che non le ho trovate. Non completamente. C'è altro in te ora. Un sottile bisogno di espiare. Questo sì che minaccia il mio distacco. Non posso approfondire. Non voglio sapere. Ma sicuramente ora mentre scivoli con gesti precisi dentro la tua grisaglia grigia hai l'animo in pace. Il dolore che avverti. L'indolenzimento ai polsi e alle caviglie ti accompagneranno per tutto il volo che ti attende. Ne sei soddisfatto. Mentre scendo verso il parcheggio dell'albergo frugo nelle tasche alla ricerca della chiave della mia mini. Figlio di puttana. L'hai sempre saputo. Sorrido mentre osservo una vecchia cavigliera di argento che portavo sempre. 20 anni fa.

Mayadesnuda

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