Lorenzo
Questa lettera che ti sto scrivendo... tu non la leggerai mai.
Perché la scrivo?
Perché così mi sembra di averti di nuovo vicino, di rivivere quei giorni.
Per risentirti dentro, anche se ormai per me il tempo della passione è definitivamente tramontato.
Ormai sono vecchia, tesoro mio e appassita, ma questo autunno catanese è così caldo, molle, struggente da indurmi al ricordo di te, che non ho mai dimenticato, nonostante non abbia tue notizie da tempo.
Non sono mai stata una bellezza, non almeno nel senso classico: mi son sempre sentita trasparente, fino a quando...
Sono entrata nella tua casa poco dopo che tu compisti 17 anni come seconda moglie di tuo padre
-Naomi, che nome buffo hai- mi dicesti quando ci presentarono.
Mi offristi subito la tua amicizia di cucciolo affettuoso, e io capii immediatamente, con uno strano sollievo, che non sarei mai stata la tua seconda madre.
Sposai tuo padre logorata da una relazione che si trascinava da un decennio tra alti e
bassi, ormai fonte per me di continue mortificazioni e confortata dalla sicurezza economica che mi offriva.
Non ero mai stata esuberante, né esigente, in materia di sesso. Non mi ritenevo brutta, anzi, obiettivamente, guardandomi nuda allo specchio le gambe non erano male, il petto era florido e sodo, i fianchi ben disegnati, ma quella cosa lì, tra le gambe... mi chiedevo come potesse essere fonte di quelle mirabilia di cui parlavano alcune delle mie amiche.
Un giorno incontrai tuo padre: fin dal primo istante si è instaurato tra noi un tranquillo rapporto di coppia. Tutto trascorreva come le calme acque di un fiume pacifico e lento.
Il sesso, sporadico, dopo qualche scintilla iniziale diventò ben presto abitudine.
Passarono due anni in cui i nostri rapporti furono di distaccata amicizia, almeno per me fu così.
Poi arrivò quella sera che non scorderò mai: eravamo rimasti soli, tuo padre si trovava lontano per motivi professionali.
Chiaccherammo un poco, come al solito, poi io ti salutai e mi avviai nella mia camera. Non chiusi del tutto la porta, per disattenzione.
Quando mi parve di sentire un passo leggero nel corridoio mi voltai e vidi lo spiraglio aperto nel buio; ebbi la netta sensazione d'essere osservata.
Nello specchio si rifletteva il mio corpo seminudo mentre mi preparavo per la notte.
Mi spogliai del tutto e indugiai ad accarezzarmi i seni: era come se una forza misteriosa mi governasse.
Nel silenzio assoluto mi parve di cogliere come un sospiro...misi una vestaglia e mi accostai alla porta, la aprii. Non c'era nessuno.
Dalla tua camera non filtrava alcuna luce, pensai che la mia fantasia mi avesse giocato uno strano scherzo. Tornai sui miei passi, mi infilai nel letto: nuda, contrariamente alle mie abitudini.
Faceva caldo, anche il solo lenzuolo m'era insopportabile, ero stranamente inquieta.
Spalancai porta e finestra per rinfrescar l'ambiente e spensi la luce.
Attraverso le persiane filtrava la luce lunare colorando di magia ogni cosa.
Poco dopo un fruscìo attirò la mia attenzione: eri sul limitare dell'uscio. Socchiusi gli occhi fingendomi addormentata: tu mi guardavi fisso. Indossavi solo i pantaloni del pigiama. Non ti distinguevo bene, ma fu allora che mi accorsi quanto fossi uomo. Non un ragazzo. E percepii il tuo desiderio, come una lunga estenuante carezza.
All'improviso fui ripresa da quella ingovernabile voglia che già mi aveva imposto di mostrarmi a te nello specchio: allontanai il lenzuolo, dimenandomi, come in preda a un brutto sogno, e mi voltai di spalle in modo che tu potessi vedermi così come ero, senza nulla addosso.
Sentivo la tua presenza, percepivo perfino la tua eccitazione: tremavo, per la prima volta il mio cuore di femmina tra le gambe pulsava all'impazzata.
Ma tu non osasti entrare, avvicinarti a me.
L'indomani mattina parlavi al telefono. Nello studio. Gli apparecchi non erano indipendenti, da ognuno si poteva ascoltare la conversazione dell'altro. Non ti accorgesti del mio furtivo inserimento. Parlavi con il tuo amico Marco .
-Sì -dicevi- non è più una ragazzina ma ha un corpo che è uno spettacolo. Vedessi che tette. Mi piacerebbe addentarle, morderle i capezzoli. Non ti dico, poi, quando s'è voltata, un culo indescrivibile, che nemmeno una modella. Tondo come la lama d'una falce...Si, una falce alla quale volentieri avrei infilato il manico che manca. Eccome! Stasera, altro spettacolo. Poi ti racconto. Ciao!-
Ebbi la conferma che tu mi volevi, con il desiderio di un uomo adulto, non di un ragazzo. E io stavo perdendo la testa perché simili emozioni mi erano sconosciute.
Mi sorpresi a tormentarmi i capezzoli, immaginando che fossero i tuoi denti.
Quella sera lasciai uno spiraglio maggiore.
Nuda indugiai a spazzolarmi i capelli davanti allo spechio, quello che ti rimandava la mia immagine.
Tu eri là, nel buio, lo sapevo. Ti sentivo... Poi mi alzai e mi voltai. Passai lentamente la spazzola sul pube, mi piaceva, era morbida, carezzevole. Divaricai le gambe e, lievemente, seguitai a sfiorarmi le labbra del sesso, mentre il clitoride pareva un chicco d'uva pronto a scoppiare.
Poi mi voltai per mostrarti l'arco della mia falce, mi chinai fingendo di guardare qualcosa sul piede. Anche quella mattina attesi che ti confidassi col tuo amico.
Non dovetti aspettare molto.
-Quella mi fa morire. Se tu avessi visto ieri sera che spettacolo. Nuda prima si spazzolava i capelli poi anche la fica. Marco, io non resisto. Ma come faccio? Non ti dico poi, quando si è voltata. S'è perfino chinata. Una visione che avrebbe fatto arrapare un morto. Lo fa apposta , mi provoca; sa che la sto spiando ...ma ...e se poi lo dice a mio padre? Non lo so, io ci lascio le penne con questa donna, o ci provo oppure...tu che dici?-
Io mi stavo consumando nel desiderio, nella passione, peggio d'un animale in calore.
Controllarmi diventava ogni giorno più difficile.
Lorenzo, non mi riconoscevo più.
Un giorno presi i tuoi calzoncini sporchi della palestra.. Sapevano di te.. Mi chiusi in camera, me li strofinai tra le gambe. Ne arrotolai una parte e cercai di introdurla in me. Stavo perdendo la testa, farneticando, in uno stato di delirio vergognoso per una della mia età verso un ragazzo che poteva essere suo figlio.
Ma non lo era, non lo era.
Dovevo uscire da quell'ossessione: decisi pertanto di prendere l'iniziativa, del resto Oscar Wilde non dice forse che:
-L'unico modo per liberarsi da una tentazione è cederle-?
Quella sera mi pettinai, mi profumai, poi finsi di avvicinarmi al letto ma, di colpo, mi girai e spalancai la porta.
Eri lì, immobile, il sesso che premeva imprigionato nel pigiama.
Ricordi,Lorenzo? Sono sicura di sì anche se sono passati tanti anni.
Facesti un passo avanti, allungasti la mano, mi sfiorasti il seno.
Finsi di indietreggiare verso il letto. La tua mano divenne più invadente, intrigante. La poggiasti sul mio grembo. Io caddi sul letto, e tu mi fosti sopra, mordendomi, finalmente, i capezzoli. Premendomi sul ventre il tuo fallo prepotente. Fosti abile nello sfilarti i pantaloncini e non ti accorgesti, preso dal desiderio che ti invadeva, ci invadeva, che la mia mano stava guidando il tuo sesso in me, nella vagina calda e umida che ti accolse avvolgendoti come in una morsa.
Credesti di scoparmi furiosamente. Fui io, invece, a possederti con impeto, passione, per rubarti anche l'ultima goccia di quel seme che avevo voluto con tanta intensità.
Eppure la mia fame continuava, ero ben lontana dall'esser sazia.
Giacesti su di me, esausto ma solo per poco.
Poi ti sentii riempirmi di nuovo.
Ti abbracciai stretto; ci voltammo così avvinghiati e allora fui io a cavalcarti con una furia sconosciuta, fino a sciogliermi in un piacere mai provato prima, neppure lontanamente.
Ero ubriaca di te, delizia di raffinato champagne dopo il solito scialbo vinello della casa.
Mi carezzavi la schiena, le natiche, la tua mano si inseriva tra esse, curiosa, indugiavi sul buchetto che racchiudevano.
Ricordi? Mi sussurrasti che il mio culo era arcuato come una falce.
-Si- ti risposi -ma senza manico-
Mi guardasti sorpreso.
Poi scoprii che ti piaceva dare al mio corpo nomi legati a ciò che ci nutre, alimenta.
Naturalmente ero d'accordo, visto che tu eri i il mio solo cibo del quale non mi saziavo mai.
Mordicchiavi le grosse fragole dei miei capezzoli, suggevi il miele della mia lingua, lisciavi la vellutata pesca delle mie natiche, e usavi anche il francese miche, quando ti rivolgevi ad esse. Dicevi che erano il tuo pane fragrante.
Il mio pane era la tua baguette. E quelle baguette!
Da allora, i giorni in cui non potevo sentirti mio furono tetri e malinconici. Cercavo di anticipare ogni tuo desiderio, ogni fantasia.
La mia inesperienza mi indusse a sfogliare, di nascosto i più stravaganti testi erotici.
Provammo tutto, mai sazi.
Era meraviglioso sentirti sopra, intorno, dentro di me.
Ricordi quando, carezzandomi tra le natiche dicevi che erano una falce di luna perfetta?
Quando completasti la mia falce col tuo manico ....mi piacque,sapessi quanto.
E cosa non mi piaceva di te?
Non mi sembrava vero che la cosa durasse nel tempo, che tu non ti stancassi di me, che ero più vechia di diciotto anni.
Bastava che la tua mano mi sfiorasse per farmi fremere.
Poi tornò tuo padre e tutto finì, così all'improvviso, come era cominciato. Per te, ma non per me.
Io ti ho portato sempre in me da allora.
Tu non lo hai mai saputo, ma ho serbato religiosamente quei tuoi calzoncini da ginnastica che ti rubai tanto tempo fa.
Sono certa che sarò tacciata di feticismo, ma quando vi immergo il viso risento il tuo odore, sudore di ragazzo e un altro, più penetrante, quello del tuo seme, nonostante li abbia lavati.
Sono vecchia, ma solo nell'aspetto.
Certi ricordi di te, Lorenzo, mi emozionano ancora.
Naomi
Morgause