Bastarda. Figlia di una cubana e di un italiano. Una coda di capelli crespi sulla pelle liscia. Color caramello. Sguardo rassegnato alla vita che deve esser vissuta. Bevuta. Ingoiata. La notte con i capezzoli all'insù, a guardar le stelle. Lacrime salate a bagnare il collo. Culo tondo come un melone maturo, denti grandi, bocca grande, offerta. Sorriso triste. Puttana, marchio di fabbrica. Amava con il corpo. Più uomini. Amava con il cuore solo lui. Lui che la scopava come una cagna in calore, la prendeva con foga, senza parole, e non rimaneva mai dopo. Lo sperma ancora caldo e schiumoso quando se ne andava. E non vedeva mai le lacrime salate che si mischiavano con il suo seme sul volto di lei. Lei che lo amava con il cuore. Che voleva mangiare un gelato con lui, camminare la sera, guardare il cielo, fare la spesa, piangere, sorridere ad altra gente. All'inizio era all'ora di cena, a volte lui portava una bottiglia di vino. Poi dopo cena, il tempo così condensato da svanire in un attimo. Tanto che lei, dopo, riviveva con la mente quelle ore di sesso rubato. A lungo. Per poter vivere nell'assenza di lui. Due sere a settimana, una volta alla settimana, poi forse due volte in un mese. Lui le diceva che era bellissima, che glielo faceva venire duro in un attimo, che non poteva stare senza di lei, senza il suo culo tondo, le sue piccole mele con i capezzoli all'insù, la sua fica profumata. A volte l'accarezzava prima, e a lei sembrava di toccare il cielo. Mai dopo. Dopo averla riempita si alzava, si rivestiva, la baciava in fretta e se ne andava. Sempre. Senza parlare. Lei si voltava dall'altra parte per non vedere il rituale pantaloni camicia cintura scarpe. Poi, sulla porta di casa, si alzava sulle punte abbracciandolo e gli premeva le labbra sul collo, sul volto, come una bambina. Lui si staccava disinvolto. Lei iniziava a piangere prima che lui accendesse la macchina.
E' un'appiccicosa mattina di mezza estate, le lenzuola intrise dei loro umori mescolati al sudore e all'aroma di vaniglia delle candele. Lei ondeggia su di lui, rotea il bacino e stringe, con le braccia dietro la schiena gli afferra le cosce, affonda, sorride. Sente il piacere crescerle dentro, come un'onda che viene da lontano. Momenti d'incoscienza, di mente svuotata e galleggiante, di piacere viscerale. Ora sente di amarlo sopra ogni cosa. E' la sua vittoria sulla vita triste, sui dolori tutti, sulla morte. Lui suda, il torace interamente coperto di gocce fredde. Goffamente apre la bocca senza parlare e si porta una mano al torace. Sussurra qualcosa. Non è mai un ‘ti amo', più spesso un ‘troia'. Lei quasi felice di non capire. Balla sul suo cazzo, spinge, si china con il busto e sfrega i seni sul torace abbronzato. Sapori che si mescolano, che lei lecca golosa, guardandolo con occhi pieni di luce. Come un'invasata lo cavalca, il seno che ondeggia, i riccioli appiccicati sul volto, gli occhi che brillano. Quelli di lui sono fissi, la bocca spalancata. Lei esplode come un fiume che rompe gli argini, urlando, la testa all'indietro, i riccioli scomposti che le ricadono sulla schiena frustandola. Lui ha un movimento convulso. Gli spasimi la scuotono, si mischiano alle convulsioni di lui, tutto naufraga in un mare di piacere profondo. Dura un'eternità dilatata, in cui lei è finalmente felice, finché ricade spossata sopra di lui. Lui resta immobile. Lei lo bacia e lui non si muove. Lei gli parla e lui non risponde. Lei sorride, lui ancora dentro. Il sole tramonta dalla finestra semichiusa, lei ha cambiato posizione alle gambe ma è ancora lì, a cullarlo, senza mollare la presa sul suo cazzo. Così appagata che non sente la gola riarsa e i morsi della fame. Il puzzo di carne putrida poi. Ora non piange. Un sorriso appena accennato le addolcisce la faccia stanca.
Il giovane medico legale non si capacita di cosa abbia spinto la donna che ora siede con occhi sbarrati e un sorriso lieve sulle labbra a stare due giorni e due notti sopra il cadavere dell'uomo.
Amelia