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Racconto n° 4195
Autore: Mayadesnuda Altri racconti di Mayadesnuda
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Il danno
L'aveva scelta perché era come un palcoscenico. Una bolla di cristallo e legno. Chiusa ma offerta allo sguardo. Una vecchia casa, nel centro di quella città, che ancora sapeva regalare squarci di bellezza, a chi sapeva davvero vedere e non si limitava a guardare. Era perfetta per il loro gioco. Ribalta e nido. C'era solo l'essenziale. Un tavolo di mogano immenso al centro del salone. Un vecchio pianoforte un po' scordato in un angolo dello studio. Una vasca di quelle con i piedi di ceramica bianca occupava quasi tutto il bagno... era sbeccata in più punti ma conservava intatta la sua bellezza. La luce invadeva la casa accendendo di migliaia di riflessi i pavimenti di legno scuro. Morbida e sfacciata. Come era lei. A lui piaceva per quello. A volte gli sembrava di sentire il rumore argentino degli ingranaggi della sua mente perversa che lavoravano incessantemente alla costruzione delle fantasie che poi gli avrebbe regalato. Era musica per lui. Una musica che credeva non avrebbe più sentito. O che comunque a volte aveva creduto persino di non voler più sentire. Era stupito. Non da lei. Lei era esattamente come lui si aspettava fosse. Era stupito da se stesso. L'aver riassaporato il gusto di quel liquore inebriante lo aveva lasciato con una voglia addosso, una sorta di languore vigile. Un sottofondo di consapevolezza della sua fisicità. Era tornato ad essere carne e sangue, sudore e sperma. Ed era grato. Lo dimostrava a lei nell'unico modo in cui il suo cinismo gli permetteva di farlo: la sfidava.
Quell'uomo aveva un pregio. Notevole e raro. La faceva ridere. La sfidava certo. La stuzzicava, provocava e spingeva verso il limite. Ma quella era l'ordinaria amministrazione del loro rapporto. La base creativa del loro equilibrio. Lui era la musa e lei il poeta. E non c'è autentica poesia senza fervente ispirazione. No. Quello che la stupiva davvero era la facilità con cui entrava e usciva dalle variazioni accurate che lei costruiva per loro. Senza soluzione di continuità. Un attimo prima era una troia ondeggiante su tacchi a spillo vertiginosi, offerta nella sua nuda bellezza alle voglie del cliente e subito dopo era un lupo selvaggio che sbranava la sua preda senza chiedere permesso. Governare i passaggi. Determinarli quello l'affascinava davvero. Il nucleo della sfida per lei era tutto lì. Ogni tanto lo osservava mentre era immerso nel gioco. Aveva da sempre quella capacità. Poteva essere contemporaneamente dentro e fuori una situazione. Lo osservava e ne coglieva la gioia spontanea che lo avvolgeva nel ritrovare un gesto, un livido, un grido.
La famigliarità del dolore. Concetto perverso. Ma proprio per questo perfetto per loro. Da vivere nelle sue mille declinazioni. Lì in quel bozzolo ovattato che faceva da limpida cassa di risonanza alle loro fantasie.
Quella notte avrebbe alzato la posta in gioco. Elevato il livello d'intensità delle loro variazioni. Brividi di anticipazione le correvano sotto pelle. Le mani le formicolavano mentre sistemava in un angolo del salone le candele nelle varie sfumature del rosso, dal cremisi all'arancio che aveva fatto fare appositamente in una vecchia cereria che conosceva alle porte della città. Un morbido tappeto e una mezza dozzina di cuscini buttati in un artista confusione completavano il quadro.
Sul tavolo di mogano spiccavano le corde di seta rossa fissate con dei morsetti di acciaio agli angoli del tavolo e sul bordo dei lati più lunghi. Sul fondo del tavolo spiccavano una bottiglia di champagne e due calici di cristallo. In una ciotola cubetti di ghiaccio e in un'altra pezzi di cioccolato. Gettò la scatola degli havana sul tappeto e si lasciò scivolare sul corpo nudo il vestito di seta nera che le accarezzava lieve le curve dorate dal sole. Calzò i sandali dorati dai vertiginosi tacchi a spillo... e sorrise riconoscendo l'eccitazione che la coglieva, mentre avvolgeva la benda di seta nera intorno alla maniglia della porta e attaccava ad essa la lettera con le istruzioni...
Erano passati giorni da quando lei lo aveva preso l'ultima volta. I segni sul suo corpo stavano sbiadendo. Li guardava sparire quasi con rabbia. Mentre nel suo studio tra una telefonata e l'altra cercava di assaporare ancora nel ricordo la forza della presenza di lei, il display del suo cellulare inizio a lampeggiare.
- Alle 21. - Un brivido scosse il suo corpo come una scarica elettrica e subito la sua mente iniziò a viaggiare. Proiettata in avanti. A quello che lei avrebbe fatto. A ciò che lui avrebbe detto. S'impose di fermarsi. Cinicamente si disse che qualsiasi cosa lei avesse fatto, lui sarebbe stato pronto. Era affascinato dalla mente di lei. I meccanismi perversi alla base del suo modo appassionato di possedere erano per lui fonte di continua, deliziosa meraviglia. Una cosa però l'avrebbe fatta. Subito. Ne aveva bisogno. Andò in bagno e si denudò poi, si depilò metodicamente, accuratamente. Attento che non un cm di pelle rimanesse meno che liscio. Quindi si rivestì, senza indossare biancheria. Aveva bisogno di sentirsi pronto. Pronto ad essere usato. Si risedette alla scrivania e si dispose ad attendere. Mancavano ancora molte ore...
Le piaceva immaginarlo attendere. Contare le ore. Lo vedeva gustarsi quell'attesa e fremere nello stesso tempo. Poteva quasi sentire il turbinio convulso dei pensieri di lui mentre cercava di comprendere cosa lei avesse escogitato questa volta. Mancavano due ore. Il tempo necessario per recuperare quell'oggetto. Sorrise al suo riflesso nello specchio . E uscì.
Lo aveva fatto fare su misura da un artigiano del cuoio. Era un vecchio mastro sellaio da cui suo padre faceva fare le selle per il pony su cui aveva imparato a cavalcare da piccola. Se si era stupito della sua richiesta e del calco che gli aveva portato, aveva ben dissimulato. E ora eccolo lì. In tutto il suo splendore. L'esatta tonalità della sua pelle. Le esatte misure di lui. Era ora...
Aveva trovato la benda. E le istruzioni. Un lento sorriso si era allargato sulla sua faccia mentre mormorava che adorabile stronza, leggendo le istruzioni che aveva vergato su quel cartoncino cremisi.
Si era spogliato, Aveva acceso tutte le candele e spalancato le finestre. L'aria della notte ancora calda di quel principio di autunno nordico aveva invaso la casa. Sprigionando il profumo del legno invecchiato dei pavimenti che l'aveva avvolto, aveva trovato le polsiere e le cavigliere di morbido cuoio legate alle corde di seta rossa. Prima di legarsi aveva stappato lo champagne e lo aveva versato nei calici. quindi aveva fatto partire la musica dallo stereo che si era portato dietro. Un vecchio blues struggente si era diffuso riempiendo la casa di sensuale attesa. Si era disteso sul tavolo. Legato. Gambe aperte, braccia spalancate. Nudo. Offerto. La benda calata sugli occhi. Era ora...
Il rumore dei tacchi di lei sul parquet rimbombò nelle sue vene come una scossa. Senti la pressione delle unghie affilate di lei contro il suo collo. La voce ad un soffio dalla sua bocca. - La mia troia.... ! -
Gocce di cera bollente a pioggia sul suo corpo. E poi ghiaccio, dove prima c'era violento bruciore. E la lingua calda, morbida di lei a lenire la violenza dei morsi, incisi nella carne. La carne offerta di lui.
Cominciava a dubitare. E per lui farlo voleva dire prepararsi a godere. La voce di lei era stata dura. Sapeva che c'era quella durezza ma fino a quel momento non aveva davvero creduto che lei sarebbe arrivata ad usarla con lui. Voleva abbandonarsi.
La bocca di lei scivolava lenta lungo il suo corpo. L'affondo fu repentino. Sussulttò imprecando e strattonando le corde. La senti ridere. La stronza gli aveva morso i testicoli. Dio non sapeva nemmeno lui se l'adorava o la odiava in quel momento.
- E' appena iniziata tesoro - . Mentre l'eco delle sue parole si spegneva nella stanza illuminata solo dalle candele, gli infilò due dita, decisa, nel culo. E iniziò a girarle. Mentre gocce di cera colavano sul cazzo eretto.
Sei bravo. Cazzo, sei veramente bravo. In pochi minuti hai recuperato il controllo e ora hai incollato quello sguardo beffardo ai miei occhi e sembri volermi dire: tutto qui? No non è tutto qui. Ma non ti permetterò di controllare il gioco. Non è nemmeno quello che vuoi davvero. Io so quello di cui hai bisogno. E te lo darò perché dartelo è quello di cui ho bisogno io.
Lasciò cadere a terra il vestito. L'uomo si accorse di soffrire di più per l'impossibilità di toccare quella pelle dorata che non per le bruciature della cera. Si portò alle labbra il flutè di champagne e bevve avida mentre alcune gocce le scendevano tra i seni. Si accorse di desiderare di essere lui quella goccia che esitava sul capezzolo duro. Cazzo. Quella strega puttana aveva intenzione di esasperarlo. E lui non poteva e non voleva dargliela vinta facilmente. Ma era sempre più difficile mantenere il distacco. Ora cosa stava facendo...
Agganciò le fibie sui fianchi e sistemò il dildo interno nella fica. Quel semplice gesto bastò a portarla sull'orlo dell'orgasmo. Ma non ancora si ammonì. Non ancora.
Si voltò e lo fissò negli occhi lasciando che lui assorbisse tutta la potenza dello spettacolo che gli offriva.
Quindi si avvicinò al tavolo e rapida sciolse le cavigliere che bloccavano le gambe di lui al tavolo. Lo attirò a se in modo che il culo di lui si trovasse sul bordo del tavolo e si mise le gambe di lui sulle spalle. Un'unica fluida spinta. Lui urlò. Lei sorrise. E iniziò a muoversi con intensità e ritmo crescenti. Il culo di lui l'avvolgeva. Il suo corpo era scosso da brividi. Le unghie ad artigliare i fianchi di lui, la donna cercava di trattenere l'esplosione che sentiva imminente. Voleva sentirlo sciogliersi prima. L'uomo non era più in grado di pensare. Il suo corpo si era scisso in mille piccoli frammenti di doloroso piacere quando lei l'aveva penetrato. Ora riusciva solo a sentirla. A sentire la forza, la passione l'intensità con cui lei s'impadroniva di ogni più piccolo anfratto delle sue viscere. Sapeva cosa lei voleva e sentiva che presto non avrebbe potuto fare a meno di darglielo. Dentro di lui stava crescendo il bisogno. Il suo cazzo eretto per semplice riflesso del piacere violento che lei gli stava dando non si sarebbe lasciato imbrigliare dalla sua volontà. Si sentiva una troia. La troia di lei. E aveva la necessità, si necessità, di dirglielo.
Dillo. La mente della donna urlava quel comando. Ma non una sillaba usciva dalle sue labbra, su cui era dipinto un sorriso enigmatico. Maledetto stronzo. Dillo! libera entrambi da questa tortura. La frequenza dei colpi ormai era diventata feroce.
La donna afferrò il cazzo svettante dell'uomo, strinse.... - Chi sei tu??? -
Lui sorrise, anche se si chiedeva dove avesse racimolato le forze per mettere insieme quel sorriso e.. : - Sono la tua troia... - disse in un gemito
La donna esplose, mentre il cazzo di lui schizzava sperma caldo sul corpo di entrambi.
Dopo fu silenzio e risate e cioccolato sparso sui corpi e sigari profumati di intima essenza. Un lento vivere la notte come se fosse eterna. Insieme.

Mayadesnuda

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