La stanza è rotonda, con il soffitto di legno a cupola quadrangolare.
Una minuscola finestra si apre nelle massicce mura di una delle torri del castello dove incorporea, sospesa nel sogno tra passato e presente, vivo attimi di realtà onirica che mi angosciano.
Lo chiamano il castello dell'Aquila, perché, simile al nido di questo rapace, sta massiccio e torvo a vegliare nella solitudine dell'appennino emiliano.
E' la mia casa, lo so, o almeno quella di mio marito, il conte Adalberto Guidi.
Mi guardo intorno, nel vapore leggero e profumato che satura la piccola stanza, proveniente da un semicupio di rame splendente sui mattoni sconnessi e polversi del pavimento.
Dall'acqua calda e lattiginosa emanano effluvi di lavanda e verbena e un altro odore, penetrante, speziato, a me sconosciuto.
Tutto intorno, lungo le pareti, sono disposti splendidi arazzi di antica lavorazione normanna, a giudicare dalla tessitura e dalla tonalità dei verdi e dei rossi.
In sequenza raffigurano uomini armati che cacciano una coppia di lupi dal pelo scuro e lucido, con gli occhi di fuoco. Nell'ultima scena i guerrieri, trionfanti, alzano verso il cielo le teste mozze dei due animali.
Repulsione, dolore, paura di conoscere cose che sarebbe meglio restassero nel buio del passato: vorrei fuggire da questo incubo, ma non posso.
Sono condannata a riviverlo, lo so.
-Guardami, sono qui-
Una strana voce, metallica e bassa mi chiama.
Proviene da uno specchio enorme, disposto a interrompere la serie degli arazzi.
-Spogliati-
All'improvviso mi accorgo di avere un corpo, con vene e arterie in cui veloce scorre il sangue, un paio di gambe che docili ubbidiscono all'ordine, mentre l'angoscia dell'incubo svanisce per lasciar posto a una gioia animalesca, quella di essere reale e viva, che mi procura un'emozione così violenta da parermi quasi insostenibile.
Dentro di me ribolle un mare di lava.
Mi guardo allo specchio: il viso riflesso è il mio, solo un poco più allungato,
mia è la pelle olivastra, come pure gli occhiche hanno però una luce strana; se sono lo specchio dell'anima, ora dentro di me c'è un nero che risplende, cupo.
Accarezzo la veste di damasco e seta che indosso come un drappeggio; sciolgo la cintura e resto nuda, la stoffa di un bianco accecante avvolta intorno alle caviglie sottili.
Nel chiarore rossastro delle lucerne il mio corpo -e la mia mente- sono quelli della marchesa Fosca Malaspina. E come Fosca, ricordo.
Venni data in sposa giovanissima al conte Adalberto Guidi, più vecchio di me di trent'anni, che notte dopo notte striscia sul mio corpo come bavosa lumaca.
Fortunatamente il figlio avuto dalla prima moglie, Manfredi, giovane e bello, ha rallegrato, fin da subito, la mia solitudine.
E poi altri, molti altri, garzoni, servi, soldati, capitani dei nostri mercenari, tanto che di me si dice, come di Caterina Sforza, che pago con le cosce i loro servizi.
Spesso ho fatto uccidere o soppresso io stessa alcuni dei miei amanti: mi piace l'odore e il sapore del sangue.
Indosso la mia crudeltà come fosse una corona regale.
Vengo da un'antica e nobile famiglia, in cui gli assassinii, gli incesti e le prevaricazioni sono la normalità.
Nelle mie vene scorre un sangue vecchio di secoli, denso, carico di lussuria e magia, che odora di corruzione.
Mia madre, dalla quale ho ricevuto il dono oscuro, si è salvata dall'esser arsa sul rogo come strega solo per il nome che portava.
Ho potere di vita e di morte sulla gente delle vallate intorno al castello.
Si prostrano terrorizzati al mio passaggio, ma so come mi chiamano, nel segreto dei loro tuguri: la Lupa; mi odiano e si fanno il segno della croce al solo nominarmi; del resto tutti, compresi i nobili nostri alleati, si chiedono come mai il mio viso rimanga giorno dopo giorno quello di un'adolescente e il ventre non si apra alle lune della fecondità.
Adoro un unico Dio, il Signore delle nove porte, Re dello spazio infinito, Motore della vita e della morte, Guardiano dell'Abisso e dei segreti Labirinti, Punto Omega, Chiave e Guardiano del passaggio tra i mondi.
Colui che è tutto ciò che è e che invoco ogni giorno nel chiuso della mia stanza.
Del resto questi sono i miei tempi: oggi è il 2 Luglio del 1502.
E' l'epoca dei Borgia e del terrore Borgiano.
Sono i giorni in cui il Tevere, da sempre liquida fossa mortuaria, restituisce giorno per giorno principi, uomini di chiesa, capitani, soldati .
Perfino il Duca di Gandia, figlio dello stesso Papa Alessandro VI, è emerso dal fiume carico di ferite fratricide e di fango.
I tempi dei veleni e dei pugnali.
Il tempo del Valentino.
Cesare, mio Principe nero, Cesare...
Ora so chi sto aspettando e il ventre si contrae, i capezzoli si inturgidiscono, il respiro si blocca: verrai da me, come non so, ma arriverai e ti avrò, e mi darai un figlio.
Perché quando sarai qui, al richiamo di quelle Tenebre che mi ubbidiscono, ti scorderai di ogni altra donna, compresa la tua adorata Lucrezia.
Sarai mio per sempre.
E nostro figlio, partorito da una Lupa ingravidata dal Principe del terrore dominerà il mondo.
Lui...
Sciolgo i capelli che lucidi brillano nello specchio e dentro gli occhi si accendono scintille viola di desiderio.
Un desiderio che non è solo lussuria, è anche avidità di potere, da raggiungere in qualunque modo, con coraggio, menzogna, astuzia.
Tu, mio Principe, mi assomigli talmente: i nostri identici insaziabili appetiti fanno di me la tua incestuosa sorella, più di quanto lo possa essere mai Lucrezia.
Abbiamo danzato insieme per ore, nel tuo palazzo in Trastevere, sfinendoci in occhiate che ci hanno denudato, anima e corpo, ai nostri occhi , a quelli di mio marito e del Santo Padre, tuo padre, Cesare.
E tu mi hai sussurrato:
-Verrò da te, troverò il modo, aspettami-
-Ti aspetterò-
La tua era la voce della lussuria, la mia della strega che ti voleva, anima e corpo.
-Sì, arriverà, tra poco, entra nel bagno, preparati per Lui-
mormora lo specchio.
Lentamente mi immergo nella vasca lasciando che l'acqua profumata e lattiginosa mi copra fino ai seni: mi appoggio all'indietro e cerco accanto a me il sapone alla lavanda che uso di solito.
Ma non lo trovo.
Allora due mani forti e scure si posano sulle mie spalle, mentre una bocca mi bacia nell'incavo del collo:
-Mia signora , sono qui-
-Cesare- mormoro-Cesare-
E il suo odore, lo stesso di quella notte a Roma , mescolato con quello di sudore, cavallo, cuoio di stivali, mi toglie il respiro.
Cerco di alzar le braccia, per stringerlo a me.
Ma non posso, una forza misteriosa mi tiene ferma , mentre lui con una mano inizia a passarmi il sapone sul collo, sui seni e sul ventre.
E mentre le sue labbra cercano le mie, con dolcezza, come se ci fossimo appena lasciati, le sue mani si muovono su di me, carezze di vento le dita a tracciare cerchi sui seni, a stringere i capezzoli che vorrei si chinasse a succhiare, quasi rientrato figlio nel mio ventre che lo aspetta, ad accarezzarmi le labbra del sesso, per penetrarmi con dita agili e movimenti ipnotici: il mio piacere sale, ora sono stesa al sole su una collina , sto per volare, ecco...
-Fammi uscire di qui, prendimi- è quasi un grido il mio, mentre lui, una mano dentro di me, con un braccio mi tiene stretta, la mia guancia contro la sua, rivestita di un barba leggera.
Mi inarco come un capriolo nel salto, sotto l'onda d'urto del piacere: voglio stringerti, amore mio, voglio...
Sono in piedi, nuda di fronte a Cesare, mentre l'acqua scende a rivoli dal mio corpo.
Lo guardo fisso negli occhi e lo vedo smarrirsi.
Ora è mio, solo mio.
E' un poco più alto di me, la sua pelle è bruna, lo sguardo d'ossidiana ne ha anche lo splendore.
Vestito di nero, senza gioielli, pare ancora più giovane dei suoi 25 anni.
E' bellissimo, i capelli ricciuti gli adornano il viso, facendolo assomigliare a un angelo d'inferno.
Prende un enorme telo e inizia ad asciugarmi, con dolcezza, ma sento scorrere in lui lo stesso fuoco che brucia il mio sangue.
-Lupa, da mesi aspetto questo momento-
Quel nome sulle sue labbra assume un significato quasi osceno, proibito, eccitante.
All'improvviso si inginocchia di fronte a me e immerge il viso tra le mie cosce, baciando con ingordigia quelle labbra vermiglie, giocando con la lingua fin nei più riposti anfratti del mio sesso, fino a staccarsi e mormorare, guardandomi negli occhi:
-Mio sacramento-
-Mio sacrilego sposo- rispondo io, premendo il suo viso contro il ventre affamato.
Abbiamo spinto tutti e due lo sguardo nell'abisso e l'abisso ha riflesso i nostri occhi.
Allora Cesare si rialza e senza più riguardi mi spinge contro il muro: da un arazzo sporgono tre pioli, disposti a V e capisco a che cosa servono: quello in basso per appoggiarvi sopra la gamba, a sostener la piega del ginocchio, come fanno le prostitute di strada, gli altri due sono per le mani, affinchè possa aggrapparmi.
Ora sono aperta, di fronte a lui, occhi negli occhi:
-Staremo sempre insieme, mio Principe- e la mia voce, pur ansante, ha una sua traquilla sicurezza.
-Per sempre, in questo mondo e nell'altro, Fosca, sei tu la strega, spettano a te i patti con Lui-
E poi mi si butta addosso, ora è il soldato che si prende il suo piacere con la prostituta preferita: le mani così eleganti e nobili artigliano i seni, la sua bocca divora la mia, il suo sesso affonda sempre di più in me, mentre io prego le lune della fertilità.
Nello spasimo del piacere gli mordo un labbro: si ritrae stupito, mentre il sangue scorre copioso.
Poi riprende a pugnalarmi il ventre, con violenza crescente mentre struscia la bocca sanguinante contro il mio viso, il collo, i seni marchiandomi del suo sangue e, con un grido, del suo seme.
Ora il rumore del vento che soffia forte sibilando tra gli alberi è all'improvviso
sovrastato dall'ululare agghiacciante dei lupi che da sempre abitano questi boschi selvaggi.
Rumori di passi, di armi, ma ormai tutto è compiuto, e io non vorrei che il mio amante mi lasciasse, il dolore del distacco è insopportabile, ma per me, per come ero quando ancora stavo ai bordi del sogno, prima di precipitarvi dentro.
Fosca invece è sicura che rivedrà il suo Principe, sono stati votati uno all'altra, perché altrimenti Lui li avrebbe fatti uscire dal nulla?
E le ultime parole del Valentino:
-Di qui o di là, sempre insieme, Lupa-
sono una promessa per lei, di futuri terreni piaceri, al cui pensiero una gioia selvaggia la invade.
E mi ritrovo sola, nell'atmosfera lattiginosa e profumata della stanza.
Passo una mano tra le cosce, il seme di Cesare è in me.
Passi affannati, grida, mi immergo rapidamente nell'acqua, Alberto e Manfredi entrano sbattendo la porta, gridano qualche cosa, il Valentino, l'hanno visto salir fino al castello, possibile?
Non li sento perché la Lupa canta, a bassa voce, il ringraziamento al suo oscuro Signore.
Ora è sicura di essere intoccabile.
Se ne vanno e io resto lì, con gli occhi chiusi fino a che mi accorgo che l'acqua è diventata fredda.
E tutto sfuma, lentamente; protendo le mani verso quegli antichi muri, vorrei restare,
ma mi sveglio e mi ritrovo nel mio letto: eppure la mia pelle odora di Lui, del suo sudore, di cuoio, di cavallo, di Borgia.
Tra le gambe l'umidità di un piacere appena goduto.
E nella mente le sue parole:
-O qui o all'inferno, Lupa, staremo sempre insieme-
Fosca Malaspina, mia antenata, morì nel 1507, tre mesi dopo la fine disperata del Valentino sugli altopiani di Navarra, avvenuta il 12 marzo dello stesso anno.
Presso le rovine del castello dei Guidi c'è un precipizio, un orrido, detto il salto di Fosca.
Una notte la marchesa scomparve, insieme al figliolietto, Rodrigo, di quattro anni .
La leggenda racconta che si gettò nel vuoto con un grido, il bimbo stretto al collo.
Il suo corpo non fu mai ritrovato.
Morgause