- Ma cosa fanno le tue mani?
E' la domanda che ho in testa, mentre ti fisso immobile e annuisco educata alle tue parole. Da qualche minuto parli e sorridi, racconti viaggi e aneddoti curiosi e ogni tanto lanci sguardi al parco, metri più sotto. Ci siamo incontrati eleganti, in un luogo pieno di gente, ci siamo stretti la mano sorridendo e ci siamo dati del lei.
- Pensi che l'ultima volta che sono stato a Napoli.
Dici qualcosa così. E guardo i tuoi occhi.
Mi succede dalla prima volta che hai telefonato: la tua voce è entrata dritta nella mia gola, ha saltato i circuiti neuronali della ragione e dell'educazione ferrea che ho ricevuto e ha colpito. Abbiamo riso, ricordo, quella prima volta, la sintonia è scattata come l'istinto (o con l'istinto, forse dovrei dire) e mi ha fatto pensare: - Chissà che faccia ha - . Confesso che credevo sarei rimasta delusa: quasi mai le voci sensuali assomigliano ai volti, anzi il più delle volte l'incontro reale fa perdere il fascino, scatena sussurri tra amiche e risate tristi e deluse. Invece. Sono arrivata nel palazzo moderno e freddo dove lavori, sono entrata con qualche dubbio (gli ultimi tre gradini erano densi di voglia di andarmene, e tenerti in testa solo con la voce), e gli occhi si sono allagati di soddisfazione.
- Finalmente ci conosciamo.
Hai detto, credo, oppure hai tirato fuori qualche altra cosa che non ricordo. So che mi hai stretto la mano e accompagnata nel tuo studio enorme, con una sala riunioni adatta al livello e tante finestre. E hai parlato e parlato, come fai adesso, offrendomi un caffè o due.
Insomma, anche quella prima volta la mia testa si è staccata subito e ha dedicato ai tuoi discorsi seri una percentuale minima di neuroni: è la percentuale che usavo all'università, quando le lezioni erano importanti ma non stimolavano emozione, è la stessa percentuale cui ricorro nelle riunioni e negli incontri in cui devo essere una donna seria con la camicetta aperta, ma solo un po', e le gambe accavallate. Tutto il resto del cervello ti guardava, in quello studio grande e luminoso. E nel giro breve di minuti ti ho immaginato tra le mie gambe.
Come adesso.
- Vede? Potremmo sviluppare il progetto in queste nostre sedi straniere, cosa pensa?
Ti dico cosa penso, o almeno - cosa pensi tu che debba pensare io - . Perché se volessi essere sincera dovrei farti tacere con le dita infilate tra i bottoni della tua camicia, ad aprirli piano mentre la tua voce si smorza e cambia tono. Vorrei vedere le tue pupille stringersi mentre la mano sinistra resta sul petto e apre la camicia e la destra scende, scivola lentissima verso l'unica destinazione possibile (quando hai iniziato non puoi fermarti, sei d'accordo?), quella destinazione che, ne sono certa, ha già iniziato a rispondere e ansima tesa, incredula, tiepidamente umida in previsione del mio tocco.
Ti chiederesti quando e come, se adesso ti interrompessi e mettessi le mie mani dove da mesi voglio infilarle. Te lo aspetteresti, sono sicura, ma per qualche istante dovresti fare i conti con la concretizzazione di una fantasia che forse hai tentato di rimuovere o mettere in un posto innocuo della tua coscienza. Vedresti, prima ancora di sentire. Vedresti le dita, le unghie, il palmo della mani avvicinarsi a te e fermarsi a pochi millimetri dal petto. Il tuo respiro si fermerebbe per riprendere subito finto a tranquillo, con il sottofondo roco e nascosto dell'eccitazione ancora incerta dell'inizio; non ti muoveresti, credo, e aspetteresti il tocco morbido e caldo seguendomi con lo sguardo, una tensione impercettibile a crescere pulsando sotto la cerniera dei pantaloni.
- Signora, cosa fa?
Potresti dire così, con un tono sensuale e basso che aumenterebbe la mia voglia. Sorriderei senza rispondere, aumenterei un po' la pressione delle mani e cercherei la pelle sotto la camicia. Scivolando in basso, verso i pantaloni.
- Ma cosa fanno le tue mani?
Il cervello correrebbe avanti, al contatto freddo dei polpastrelli con la cerniera da abbassare (mi piace spogliare un uomo, scommetto che non puoi saperlo: fa parte di ciò che non ho potuto dirti, di tutte le informazioni che saltano qua e là riempiendomi la fantasia quando ti ho davanti), e mi vedrei china con la testa tra le tue gambe a scoprire il sapore del sesso turgido che avrei subito voglia di sentire dentro, oppure supina su un letto bianco ad accogliere la tua lingua tra le mie, le gambe, gemendo di tormento. Immaginerei di esserti sopra, infilato al centro di me come un padrone, indemoniata da una danza che mi solleva e mi ributta addosso a te, che ricevi e gemi pronto a riversarti caldo, fremente e sudato prima di un riposo che è solo preludio ad altro. Altro furto ancora, con lo sperma che cola fuori, sulla mia pelle depilata, e il sudore misto di noi appiccicato ai seni.
Insomma. Le mie mani ti toglierebbero la camicia, mentre la testa devia verso il dopo, verso ogni combinazione possibile dei nostri corpi sconosciuti ed eccitati. E rallenterei i gesti con il pollice e l'indice sopra la tua cerniera, chiedendoti di parlare, parlare ancora. Parlami del tuo lavoro mentre la faccio scendere piano, e la saliva mi riempie la bocca e gli occhi sembrano sussulti del respiro. Lo stesso respiro che si ferma, che accelera e rallenta quando senti che la cerniera è giù, e la punta delle dita sta trovando la strada e ha sentito. Il tessuto sottile e morbido che copre il sesso sempre più gonfio.
- Ha voglia di un altro caffè?
Ti alzi e vai verso la porta, sorrido e annuisco. Ho voglia, sì. Ma non di un altro caffè. Avrei voglia del rumore della serratura che si chiude e ci tiene in questa stanza al sicuro, e della zip dei tuoi pantaloni che si abbassa appena prima di un fruscio lieve di tessuto. Il fruscio del sesso che la mia mano destra estrae, e gli occhi guardano per la prima volta.
Dovrei spiegarti alcune cose. Ma non posso. Dovrei dirti che ho immaginato decine di volte di assaggiarlo, il tuo sesso che non ho mai visto. Ne ho immaginato il sapore e la consistenza, ho pensato di circondarlo con il palmo delle mie mani piccole e le labbra sottili, l'ho stuzzicato con la lingua fino ai testicoli poi di nuovo su, verso la punta. E l'ho fatto esplodere, anche, mille e mille volte, mentre con il volto serio e interessato ti ascoltavo raccontare le idee per la nuova strategia aziendale. E sapessi quante altre volte ti ho avuto dentro. Mi hai presa in piedi, in un angolo della città a caso, sei venuto dentro di me con un sospiro straziante da togliere la vista, hai piantato le unghie nella mia carne e spinto il bacino contro il mio colando sudore sul mio vestito elegante, mi hai girata per prendermi dietro e chinata con un gesto brusco della mano e le dita a tirarmi i capelli. Hai dilaniato l'intimità calda che si sta abituando ad ascoltarti impassibile e fradicia con i colpi di un desiderio frettoloso ed egoista, abbastanza sguaiato da rendersi assoluto.
- Ma cosa fanno le tue mani?
Ti sto dicendo qualcosa, rispondo a tono e fingo di seguire il tuo progetto fino in fondo. Ma è alle tue mani che penso, le vedo muoversi e ridere insieme a te, le vedo porgermi l'ennesimo bicchierino di carta con il caffè dentro e le vorrei succhiare, dito per dito, poi accompagnarle tra le mie gambe aperte chiedendoti di usarle tutte, leccandomi con il gorgoglio rumoroso della tua voglia e preparando, rimandando, affrettando il momento unico che ti chiedo urlando. Il momento di te, della punta del tuo sesso ignoto, a dilatarmi torbido.
Lo sento entrare, sai, adesso. Le mie gambe accavallate nei pantaloni neri nascondono la voglia nera e bagnata del tuo corpo che spinge. Osservo il computer sulla scrivania e i documenti quasi in ordine, un telefono bianco con decine di tasti e le fotografie, sparse qua e là per ricordare che hai una vita oltre questa vetrata pulita e dura. Bella, la tua vita da manager di un'azienda i cui confini si perdono nei grattacieli che prima o poi riuscirò a visitare tutti. Ci penso, provo a pensarci, e ascolto gli ordini mascherati da richieste morbide di collaborazione. Intanto. Ti sento ansimare nel mio orecchio e ho il tuo sesso addosso, sta aprendo la mia voglia caldissima e la dilata, la prende lento prima dell'affondo, prima di iniziare la danza ruvida dei colpi che, sono sicura faranno esplodere il mio orgasmo a testa indietro, le dita aggrappate a letto per non cadere. La voglia del tuo liquido in fondo, da tenere e mordere, appena urlerai che non riesci più a fermarti.
Lo voglio sentire, il senso viscido di te che mi esplode in gola o nella cavità umida dove ti aspetto da mesi. Voglio ricordarlo mentre cammino seria nei corridoi vuoti d'acciaio e vetro, sentirlo uscire e impregnarmi i vestiti di piacere molle e tensione urgente, voglio desiderarlo in sms da ricevere di notte, in previsione di un incontro. Lo voglio bere, risucchiato dalla mia voglia e dalle tue mani che prendono il mio corpo aperto alle fantasie che vorrai gridare. Sicuro che, in ginocchio oppure in piedi sopra di te supino, saprò esaudirle tutte.
- Ma cosa fanno le tue mani?
Vorrei dirti questo mentre scrivo, da sola in una stanza che puoi solo immaginare. Ho un letto disfatto dietro le spalle e una finestra aperta su qualcosa. Ma le mani, quelle tue mani che ancora non conosco, dovrebbero proprio essere qui.
MariaGiovanna Luini