Se n'era innamorata. In un istante. Le capitava raramente. Ma quando accadeva... allora doveva possedere l'oggetto del suo amore. Necessariamente.
Quel nido arrampicato sui tetti di una città dove il termine cielo era sempre più spesso sinonimo di sogno, era perfetto. Le travi. Legno lucido. Massello. Inclinate a 45 gradi. Nel punto più alto della trave - se n'era sincerata misurandolo personalmente - la distanza con il pavimento era di due metri. Avrebbe potuto sospenderlo. Un sorriso segreto le aveva illuminato gli occhi all'idea delle code della sciarpa rosa che accarezzavano lievi le rotondità esposte del culo di lui. Le sue corde di seta nera avrebbero spiccato contro la sua pelle bianca illuminata solo dalla luce proveniente dalle finestre: luce intermittente di neon e lampioni.
L'avrebbe arredata con pochissimi oggetti. Tutto quello che le serviva per dare un'anima a quello spazio era sciogliere in brividi di lussurioso piacere la tensione che attanagliava l'anima di entrambi quando non potevano toccarsi.
Lì avrebbero potuto. Senza filtri. Non che ce ne fossero tra di loro. Il pudore era un fatto pressoché sconosciuto ad entrambi. In questo si erano riconosciuti. Istintivamente. Due troie. Ma a volte la mimesi è un fatto necessario. Lì avrebbero potuto spogliarsi. Deporre corazze e ironia. Sciogliere ogni laccio per annodarne altri. Insieme.
Musica, quel luogo sarebbe stato pieno di musica e di cibo. Non riusciva a separare l'idea del piacere con lui da una comunione totale di sensi. Lui le aveva restituito la voglia di progettare perversamente gli scenari del desiderio. Per lui. Per loro. Era passato molto tempo da quando qualcuno era stato capace di farlo. Non ricordava nemmeno come fosse quella sensazione che colorava di rosso le giornate. E ora eccola lì. Era stupita in fondo. Di se stessa e di lui. La follia non era una novità, l'accompagnava da tutta la vita, era un'amica sincera, più sincera della presunta normalità con cui si era scontrata così tante volte da aver perso il conto ormai.
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La voleva. Si chiedeva cosa stesse facendo. Verso chi i suoi occhi lampeggiassero beffardi in quell'istante, chi venisse avvolto dal suo profumo. Non era gelosia. Non credeva di essere capace di provare un sentimento di quel tipo. Era troppo presuntuoso e sicuro di sè e del suo valore per poterlo davvero provare. Era istinto. Il suo istinto di maschio che la cercava, al di là di qualsiasi raffinata sovrastruttura intellettuale lui tentasse di frapporre tra la sua anima e quella reazione animale: lei scardinava le basi del suo controllo. Era come se gli stesse spalancando la porta dell'inferno e prendendolo per mano gli dicesse: vieni al di là della porta, c'è il paradiso, con me...E lui dovesse imporsi di non correre!
Non era spaventato dall'intensità. Quella l'aveva prevista. Anzi disperava quasi di poterla mai trovare, prima di incontrare lei. No era il tempo. Lo spazio breve che era intercorso, prima che si ritrovassero, lì. Si chiedeva dove sarebbero arrivati se avessero continuato a quel ritmo. La verità era che se lo chiedeva sorridendo.
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Bene. Era fatta. Ne era davvero soddisfatta. Le erano sempre piaciute le decisioni rapide. Ora si trattava di allestire la scena. Voleva che lui fosse sorpreso. Non era facile riuscirci. Lui la leggeva bene e questo le imponeva un controllo ferreo su se stessa per impedire che lui empaticamente intuisse cosa lei stesse progettando. Chiamò rapidamente il vecchio amico antiquario di cui si fidava ciecamente. Le servivano alcuni oggetti che solo lui avrebbe potuto procurarle. Ganci di ferro battuto per lampioni da fissare alle travi, le volute liberty avrebbero fatto da aggancio perfetto per le sue corde di seta cremisi. E poi voleva uno di quegli inginocchiatoi barocchi, rivestiti di velluto e ornati di decorazioni. L'avrebbe messo nell'angolo più buio della stanza. Li lo avrebbe punito. Faccia rivolta alla parete. In ginocchio le braccia legate. Illuminato dal cono di luce fredda luce di una lampada ultramoderna. Lo avrebbe obbligato a chiamare e contare i colpi della sua frusta. Aveva già provato non appena era rimasta sola. La mansarda permetteva l'uso della sua whip, che da anni ormai aspettava di essere tolta dalla preziosa custodia di damasco. Sangue e lacrime. Le sembrava quasi di avvertirne già il sapore. No. Doveva calmarsi. Non poteva eccitarsi. Non ora. Aveva troppo da fare. Riprese ad elencare al vecchio Benny le sue necessità.
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Non la sentiva da ore. In nessun modo. Impossibile. Non era da lei. Era connessa costantemente. In qualche modo la sentiva raggiungibile sempre. E questo a volte lo induceva a fare un gioco di forza con se stesso. Si auto-proibiva di cercarla. L'ebbrezza della presenza/assenza di lei che comunque colmava la sua anima lo lasciava esausto e stordito.
Le stava obbedendo. Sentiva quell'oggetto allargarlo e colmarlo ed era per lui come se lei fosse lì a sorridergli. Sentiva la forza dello sguardo di lei penetrarlo quanto l'oggetto. Il suo corpo non trovava pace. Il desiderio ne attraversava ogni nervo. Posseduto. Aveva bisogno di essere posseduto. Fottuto. Da lei. Solo da lei.
A volte si chiedeva come potesse sentirla così. Lei, che era così femmina. Eppure faceva vibrare in lui tutte le sue corde più femminili. Gli tirava fuori il bisogno di essere usato. Piegato. Riempito. Anche ora. Lì. Mentre si chiedeva cosa stesse architettando. Ed era nello stesso tempo certo che fosse qualcosa di esaltante. Per loro.
Perfetto. Avvolse con uno sguardo circolare la stanza. Soffermandosi sul futon sommerso di cuscini colorati. Scivolando compiaciuta sulla porta aperta del bagno che lasciava vedere la vasca circolare semi incassata sotto la finestra e poi sul tavolo di mogano lucido appoggiato alla parete principale , luccicante di cristalli molati e candele rosse. E poi c'era lei. La nicchia. Velata da cortine di voile cangiante. E piena di dolorose sorprese. Dolorose e sublimi sorprese.
Ora doveva prepararsi. Akira, la sua amica giapponese, le aveva raccomandato di andare da lei almeno due ore prima, per entrare in quel completo di latex ci sarebbe voluta una lunga e accurata preparazione. Ma ne valeva la pena!
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Dove cazzo era andata a cacciarsi? Non era rintracciabile in alcun modo da ore. Iniziava a preoccuparsi davvero. Ma non per lei. Per le conseguenze della sparizione repentina di lei, su lui stesso. Il fatto era che la voleva, dannazione. La voleva al punto che si sentiva mancare il fiato. Ogni centimetro del suo corpo anelava a fondersi con quello di lei ma sapeva che non sarebbe accaduto. Avrebbe dovuto metterci tutta la sua forza. Lei stava preparando una delle sue fantasie. La stava allestendo, ne era certo. E lui avrebbe dovuto capire dove voleva condurlo. E poi stupirla, cercando di deviare almeno un poco l'obiettivo di lei. Non si sarebbe sottratto, naturalmente ma doveva trovare il modo per non farla vincere. Non completamente. Lei se lo aspettava. E lui si divertiva un mondo a compiacerla.
Il lampeggiare dello schermo del cellulare, qualche ora dopo, lo colse impreparato.
- Ti aspetto. via della zecca vecchia 10. Sono certa che capirai a chi citofonare. Alle 21. - Un sospiro di autentico sollievo lo attraversò tutto. L'uomo sorrise.
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Akira aveva fatto un lavoro spettacolare. Il completo di latex nero la fasciava come un guanto. I tacchi a spillo d'acciaio brillavano riflettendo la luce delle candele disseminate per la stanza...mancavano pochi minuti alle nove. Il tavolo era apparecchiato in una profusione armonica di cristalli molati e argenti. La donna sorrise pensando a quello che aveva fatto incidere sulla targhetta del citofono...
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Non era veramente sicuro di aver interpretato i desideri inespressi di lei nel modo giusto. Ma certamente si sentiva in calore come mai gli era accaduto prima. La lingerie di lei gli accarezzava il corpo. Adorava la sensazione che la seta gli procurava. Se la sentiva addosso come quando lei lo scopava senza tregua.
Un sorriso minacciò di trasformarsi in risata divertita quando l'occhio gli cadde sul citofono : 'Ossimori e Dicotomie'... quella donna era folle in un modo che non smetteva di affascinarlo.
Suonò. Il vecchio ascensore gli permise di guardarsi riflesso nelle ante. Contrariamente al solito aveva messo anche la cravatta. Voleva che lei capisse immediatamente la natura delle sue intenzioni. Voleva darsi. Senza condizioni nè limiti. L'unica porta dell'ultimo piano era socchiusa. Le note del blues che lei amava tanto riempivano la piccola stanza in penombra. Entrò deciso. E il fiato gli si mozzò in gola. Era bellissima. Riusciva quasi ad apparire perfetta. Lei che era troppo viva per riuscirci mai veramente. Persino il latex, sulla pelle di lei acquistava delle sfumature calde. Fumava da un lungo bocchino. La immaginò colpirlo con quello. Il suo cazzo ebbe un sussulto.
Lei con un gesto gli indicò le corde che pendevano e lui iniziò a spogliarsi mentre la guardava negli occhi alla ricerca di quella scintilla. Quella che gli rendeva impossibile sottrarsi a qualsiasi cosa lei avesse voluto da lui.
La vide comparire quando capì cosa portava sotto il gessato impeccabile. La signora era sorpresa. Adorava riuscire a sorprenderla, si spogliò rapidamente. La voce di lei lo raggiunse morbida : - Infila le mani nelle polsiere e chiudi le fibbie. - Lui eseguì e la sentì raggiungerlo da dietro. Le dita di lei gli penetrarono il culo. Dure. Decise. Si morse le labbra per non urlare. E si protese offrendosi.
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- Troia. Sei un troia in calore - La donna sentiva il corpo sciogliersi in mille brividi mentre le sue mani lasciavano cadere il bocchino a terra e afferravano il cane. Doveva colpirlo. Subito. Con forza.
- Conta. Troia. Forza. Voglio sentire la tua voce chiamare i colpi. E ringraziare. Dopo ognuno di essi - .
Lui iniziò a contare. La voce gli si spezzava ad ogni colpo che lei dava. Decisa. Ritmica. Implacabile. Sul decimo colpo lei lasciò cadere il cane e si mise a leccare le strisce rossastre sulla schiena di lui.
- Signora vi prego. Fate della vostra troia quello che volete. - La voce dell'uomo era limpida nonostante il dolore.
La donna si tolse rapidamente la gonna. Agganciò al tanga di latex il dildo e affondando le unghie nei fianchi dell'uomo lo penetrò decisa.
Il corpo dell'uomo si inarcò strattonando le corde a cui era appeso. Un sospiro di puro piacere usci dalle sue labbra.
La donna prese ad entrare e uscire ritmicamente dall'uomo, affondando intanto i denti nella sua schiena, sulle spalle, sulle braccia.
I colpi erano ritmici anche stavolta. Ma ogni colpo lo portava più vicino alla sua personale idea di paradiso. L'uomo sentiva la sua volontà liquefarsi ogni secondo di più, sciogliersi nella sborra che riempiva i suoi coglioni.
Avvolta dal calore rovente di lui, la donna sentiva di essere ormai vicina all'esplosione. Il ritmo era frenetico. Uscì e rientrò con un solo fluido movimento. Lui urlò sentendo il cazzo irrigidirsi e schizzare. Lei esplose. Le unghie a scorticare i fianchi di lui. I denti affondati nella sua spalla.
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Qualche ora dopo. L'uomo sorrise mentre lei avvolta in un kimono di seta cremisi gli lavava la schiena dolcemente, inginocchiata alle sue spalle.
Chi l'ha detto che il paradiso può attendere???
Mayadesnuda