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Racconto n° 4230
Autore: Nausica Altri racconti di Nausica
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Libera
La penetrazione fu dolorosa, nonostante fosse il quinto uomo che la possedeva quella sera. Non l'aveva neanche spogliata, e lei non aveva avuto il tempo di rivestirsi dopo il quarto. Aveva indossato solo la gonna e aveva ancora sul viso il seme di quello che era appena uscito dalla sua camera. Neanche il tempo di rivestirsi, lui era entrato e l'aveva presa, tirandole su la gonna e insinuandosi tra le sue gambe come una furia. Era da un pò che aspettava il suo turno, era indispettito per questo e il suo sesso era gonfio, pulsante, prepotente. La sovrastò ed entrò in lei con un colpo di reni secco e un grugnito. Lei si morse il labbro per il dolore e sentì il sapore dello sperma che aveva ingoiato. Lui tirò indietro il bacino e si preparò al secondo affondo, ancora più violento del primo. Lei allargò di più le gambe, sapeva che se gli facilitava l'ingresso sarebbe stato meno doloroso, e lui scivolò ancora dentro di lei schiacciandole il viso contro il suo petto. Le toglieva il respiro e sperava che finisse presto. Ne era certa, dato l'eccitazione e l'attesa sarebbe venuto subito. I grugniti aumentarono, insieme al ritmo, e ad ogni colpo la spingeva in su, verso la testata del letto, finchè non si ritrovò con la testa contro il ferrobattuto che la feriva ad ogni colpo. Lui vi si aggrappò per spingersi con più forza e all'affondo successivo lei urlò di dolore. Lui si fermò un attimo per guardarla negli occhi. Lei sapeva di non dover urlare, l'avrebbe eccitato di più. Lo guardò terrorizzata.

In un attimo fu seduto sopra i suoi seni, il peso le toglieva il fiato e le braccia erano bloccate sotto le sue ginocchia.

- Apri la bocca, puttana.

Lei obbedì e lui glielo spinse fino in gola. Soffocava per il peso e per quel cazzo enorme che le pulsava in gola provocandole conati di vomito. Lui si muoveva sopra di lei spingendolo sempre più in fondo, la teneva per i capelli e la guidava. Non respirava, il volto era rosso dallo sforzo e dal dolore delle braccia che sembrava si spezzassero sotto il di lui peso. Grosse gocce di sudore dalla fronte di lui cominciarono a caderle in faccia, sui capelli, negli occhi che teneva chiusi e dopo un'eternità fremette sconquassato dai brividi.

- Sta venendo... - pensò lei...ma lui si fermò ansimando. Resisteva. Aveva pagato, non voleva venire così in fretta.

La teneva ancora per i capelli, si alzò e per un attimo lei riprese fiato. La trascinò fino al tavolino nell'angolo della stanza, la piegò e le schiacciò il viso sul legno freddo.

Con l'altra mano le sollevò la gonna.

- Apri le gambe. Apri le gambe puttana.

Lei aprì le gambe e le sue mani cercarono i bordo del tavolino, e stringendoli con tutte le sue forze si preparò.

- Che ci faccio qui?- il pensiero arrivò da solo, come spesso accadeva, e come sempre lei lottò per mandarlo via. La risposta era più dolorosa della domanda. Rivide sua madre che la teneva per mano accompagnandola dentro quella casa, tanti anni prima, c'era un uomo che le aspettava. La mano ruvida di sua madre lasciò la sua e si allungò a prendere un rotolino di banconote. Poi si voltò e se ne andò, lasciandola lì.

- Tornerà a prendermi... - pensava lei.

Lui la prese per i fianchi e la penetrò da dietro. Una scossa elettrica la attraversò, dalla schiena fino alla gola, l'urlo si bloccò dal dolore. Lui affondava in lei violento, l'inguine era segato dal bordo del tavolo e sentiva che si stava lacerando.

Sua madre non era più tornata. Probabilmente era colpa sua, non si ricordava cosa poteva aver fatto per farla arrabbiare tanto, ma certamente era colpa sua se era stata portata lì. Sì, certamente, era così. Era stata cattiva, sua madre era stata constretta ad allontanarla da se perchè lei era stata cattiva. Probabilmente era una cattiva figlia. Grosse lacrime cominciarono a solcarle le ciglia mentre il dolore si irradiava fino alla punta dei piedi. Come poteva arrivare fino lì il dolore?

Lui si accasciò sopra di lei e venne con un urlo animalesco. Un minuto dopo uscì dalla stanza che lei era ancora lì, piegata sul tavolo. Sì sollevò piano, le faceva male tutto, non riusciva a stare dritta. Dalla porta entrò un uomo e la guardò. Stava tirando giù la zip dei pantaloni.

- Dammi cinque minuti, esci.

- No che non esco, sto aspettando da mezz'ora.

- Dammi cinque minuti. Esci!

Lui esitò un attimo, poi con lo sguardo più incazzato che mai si tirò su la cerniera e uscì.

Lei si sistemò la gonna, si infilò la camicetta sgualcita e indossò gli zoccoli. Uscì dalla stanza.

- Ehi dove credi di andare?- le disse l'uomo.

- Vado a prendere la legna per la stufa, arrivo subito. - attraversò il corridoio pieno di uomini dagli occhi venati di rosso, qualcuno la toccò mentre passava, dicendo qualche porcata. Dalle altre camere provenivano urla e gemiti e l'odore del sesso era ovunque.

Uscì e si diresse verso il capanno. L'aria gelida la attraversò. Qualcuna aveva provato a fuggire da quel posto, nessuna però era mai riuscita ad attraversare il fiume, e i loro corpi vennero ritrovati a valle. Altre furono riprese e la punizione superò il dolore della morte.

Stava lì, nell'aria gelida, ad ascoltare il rumore impetuoso del fiume. Girò intorno al capanno e si ritrovò davanti alle violente acque nere che correvano veloci verso la cascata. Si voltò lentamente e vide le luci della casa. Il suo sguardo tornò alle acque nere e con gli occhi della mente rivide sua madre. Non l'aveva mai guardata negli occhi sua madre, non era mai riuscita ad incontrare il suo sguardo.

Fece un passo avanti e l'acqua gelida la investì a spruzzi. Un altro passo avanti. Il rumore era assordante, non sentiva più le urla e i gemiti provenire dalla casa.

Un altro passo. E poi il vuoto.

Un milione di spilli le trafiggevano le morbide carni. Non poteva fare così freddo. Non poteva esistere un freddo così intenso. La violenza del fiume non le permetteva di muoversi, ma lei non voleva muoversi. Si lasciò trascinare per infiniti istanti. I polmoni cominciarono a reclamare, un fuoco rovente cominciò a bruciarle nel petto. Come poteva bruciarle il petto in quell'acqua gelida? E poi, finalmente, il grande salto. L'aveva immaginato un milione di volte, sarebbe stato come volare, ma non era così: era trascinata giù da una forza misteriosa quanto potente, ad una velocità impensabile. Era buio, freddo, rumoroso, senza senso. Senza senso. Come sempre, tutto era senza senso. E poi, ad un tratto, il silenzio.

Ssshhh...dormi tesoro, dormi.

Riposa tra le acque, qui nessuno ti disturberà.

Dormi bambina, dormi.

Puoi sentire le mura liquide vibrare di silenzio,

e le cascate, oh sì, le cascate mutare l'acqua

in incandescente miele e le nuvole del cielo

in mille forme trasformare.

Puoi vedere le rose dischiudersi di notte

e i duri cuori delle iene inebriare.

Ssshhh...dormi tesoro, dormi.


Dedicato a Marta.

Nausica

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