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Racconto n° 426
Autore: Cesare Paoletti Altri racconti di Cesare Paoletti
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L'autostoppista
Come tutte le sere anche quella sera Marco stava tornando a casa dopo la sua giornata di lavoro, trascorsa in un anonimo ufficio di un'anonima ditta in un'ancor più anonima cittadina di provincia. E come tutte le sere anche quella sera la giovane moglie, casalinga per scelta e per vocazione, lo stava aspettando e lui avrebbe trovato come al solito la tavola apparecchiata, la cena pronta, il volto sorridente di lei che gli apriva la porta. E tutto come sempre. Tutto come al solito. Monotono e noioso. Una vita senza grosse aspettative, tranquilla, grigia come il cielo che stendeva il suo velo triste sulla città quasi a suggellare la fine di una giornata come tante. Marco abitava qualche chilometro fuori dal centro cittadino, in campagna, e tutti i giorni faceva in macchina lo stesso percorso. Non provava sensazioni particolari, mentre attraversava incroci, si fermava ai semafori, guardava senza vederle le auto che affiancavano la sua, con dentro persone dai volti inespressivi come il suo. La sua anima era come anestetizzata, il suo mondo interiore come congelato, immobile, inesistente. Quella vita troppo regolare e "normale" era come se lo avesse inaridito dentro soffocando fantasia, immaginazione, desideri e sogni. Non c'erano in lui né tristezza né allegria, ma solo un grande torpore, come una sorta di atarassia che gli impediva di provare sentimenti, e anche i suoi pensieri erano banali e rallentati, insignificanti ed inutili. Nella sua mente passavano come in un film alcune scene relative ad episodi della giornata lavorativa, oppure immaginava la tavola apparecchiata a casa, e cercava d'indovinare cosa ci fosse per cena, ma tutto senza entusiasmo, con distacco e indifferenza, come se non lo riguardasse. Era come se quella vita insignificante e anonima non gli appartenesse, non fosse sua.
Intanto quasi senza accorgersene era uscito dalla città e stava percorrendo la statale che di lì a pochi minuti lo avrebbe condotto a casa. Era ormai sera inoltrata, e l'oscurità avanzava rapida e silenziosa. Ad un tratto, dopo una curva, vide una figura femminile ferma sul ciglio della strada nel tipico atteggiamento di chi fa l'autostop, con il braccio che sporgeva verso la strada e il pollice rivolto verso l'alto, che sembrava indicare il cielo sempre più scuro. Ai piedi aveva un grosso zaino che doveva essere piuttosto pesante. Senza riflettere, come se una forza misteriosa lo guidasse, fermò improvvisamente l'auto accanto a quella che pareva una giovane donna. Sì, era davvero giovane. Una ragazza. Avrà avuto diciotto o venti anni. Indossava una maglietta celeste, aderente e scollata, e un paio di jeans sdruciti e scoloriti.
Appena vide la macchina che si era fermata la ragazza si mosse rapida come una cerbiatta, muovendo le lunghe gambe e agitando le braccia verso di lui. Si accostò al finestrino. Allora poté vedere bene il suo volto. Era davvero bella. Bionda, occhi azzurri, un nasino ben disegnato, due labbra rosse e carnose, i lineamenti morbidi... Gli sorrise attraverso il finestrino chiuso. Marco allora aprì lo sportello e lei si affacciò e gli sembrò ancor più bella.
"Dove vai?" Fece lei.
"Dipende.Tu dove vai?" Rispose.
"Non so. Non ho una meta precisa. Mi fermo dove vai tu. Non importa il posto. Un posto vale l'altro. Sono tutti uguali. Uguali e squallidi. Come questa vita di merda!"
"Ehi ehi, cos'è questo pessimismo cosmico? Non è vero che tutti i posti sono uguali. Dipende da quello che ci si va a fare, dalle persone che incontri, insomma dipende da un sacco di cose!"
Improvvisamente si scopriva filosofo. Era come se quella ragazza, con la sua bellezza e il suo spirito d'avventura, la sua tristezza per così dire esistenziale, avesse risvegliato la sua curiosità e la sua immaginazione che la quotidianità monotona e sempre uguale a se stessa parevano aver assopito, e avesse acceso in lui una luce nuova, ma che forse nuova non era, ma esisteva da sempre dentro di lui, e adesso la riscopriva. La riscopriva in quel viso dolce e triste, un po' ribelle, un po' infantile, in quello sguardo malinconico, indifeso e sognatore, che pareva lanciare una sfida al mondo. Era la luce del desiderio di evasione, della libertà dai vincoli di una vita piena di condizionamenti, della ricerca di significati nuovi e più veri dell'esistenza. Improvvisamente gli venne voglia di avventura, di fuga, di spazi di libertà infiniti, di cieli azzurri dove galoppare con la fantasia.
"Allora? Posso salire o me ne devo andare?"
"Dai sali.Però non pensare che abbia in programma di fare il giro del mondo. La mia meta è a pochi chilometri da qui."
La ragazza si sedette accanto a lui, e mentre si sistemava alla meglio lo zaino fra i piedi borbottò a mezza voce:"Ho capito, sei anche tu uno dei tanti cosiddetti inseriti nella società. Immagino che tu abbia il tuo pallosissimo lavoro, che alla fine di una pallosissima giornata te ne stai tornando a casa tua dove tua moglie ti starà aspettando come tutte le sere. Ecco, mi vedo la scena. La porta che si apre, tua moglie che si affaccia con un sorriso fotocopia di quello che ti fa ogni giorno, tu che la saluti e la baci stancamente sulla guancia come ogni sera.Un bacio meccanico, senza passione, quasi un dovere da adempiere. Com'è andata... Cosa c'è per cena... Sei stanco... Bla bla bla. La solita stanca litania che si ripete ogni giorno."
Nel frattempo Marco aveva messo in moto l'auto e procedeva lentamente perché non voleva che quell'incontro finisse tanto presto.
"Be... In parte hai fotografato la mia vita. Ma secondo te c'è di meglio?Tu, per esempio, come vivi? Sei felice facendo l'autostop e girovagando senza meta, senza scopo?"
"Non lo so. E tu sei felice?"
"Non lo so". Quella ragazza lo stava interessando sempre di più, se non altro perché gli imponeva delle riflessioni nuove, lo metteva in discussione. Non che pensasse che fosse giusto vivere in quel modo, lui non avrebbe mai rinunciato a ciò che si era conquistato, un lavoro, una famiglia, le sue sicurezze, piccole o grandi che fossero. Però suscitava interrogativi sui valori e sui significati da dare alle cose che facciamo routinariamente nella nostra vita. E intanto lo sguardo gli cadde sui piccoli seni che premevano contro la maglietta, sulla scollatura generosa che ne lasciava vedere una parte, sui capezzoli che imprimevano la loro forma sulla stoffa.
"Come ti chiami?" Le disse.
"E' così importante? Potrei dirti qualsiasi nome, e non sapresti mai se è quello vero o un nome inventato."
"Mi basta un nome per chiamarti."
"Allora sono Eva."
"Eva, come la prima donna..."
Eva si era accorta che lo sguardo di Marco cadeva sui suoi seni, e avvertì il desiderio di lui. "Scommetto che sei di quelli che fai l'amore una volta la settimana nel giorno stabilito, magari il sabato, perché nei giorni di lavoro uno la sera è stanco e si va a letto presto."
Marco rimase per qualche istante in silenzio, imbarazzato da quella frase buttata là così all'improvviso. "E scommetto anche che scopate senza entusiasmo e fantasia, sempre nello stesso modo, come in un film già visto"
Era molto diretta nel dire le cose, senza peli sulla lingua.
"E tu come scopi?"
"Come capita, con chi capita, quando mi va e come mi suggerisce l'istinto del momento.Io mi lascio trasportare dall'istinto e dai sentimenti. Credo che noi siamo fatti soprattutto di istinto e sentimenti, e realizziamo noi stessi quando li sappiamo assecondare nel modo migliore. C'è tanta gente infelice e frustrata perché ha paura dei propri sentimenti e cerca di nasconderli lottando continuamente contro di essi. E' così che si diventa nevrotici, depressi, incazzati. Vogliono cercare di controllarti l'anima. Ma questo è contro la vita!"
Mentre diceva queste cose s'infervorò, e la sua voce si fece appassionata e decisa. Ormai sembrava un fiume in piena, e proseguì nel raccontare a Marco che l'ascoltava in silenzio la sua filosofia di vita. " Ma io voglio essere l'unica padrona del mio cuore e di me stessa. Per questo ho deciso di lasciare i miei e di girare il mondo per conoscerlo, incontrare gente, essere libera di vivere come voglio io!"
"I tuoi come l'hanno presa?"
"Non l'hanno presa. Nel senso che da tempo non c'era più dialogo. Troppo diversi da me. Mio padre fa l'avvocato, mia madre è casalinga. Gente tradizionalista, piena di pregiudizi e formalismi. Se fossi rimasta con loro potevo avere tutto. Soldi, una carriera. Ma a prezzo della libertà, a prezzo di vendere la mia anima e la mia vita. E allora un giorno ho parlato loro chiaro, e gli ho detto che me ne sarei andata a cercar fortuna, che ogni tanto mi sarei fatta viva, che non stessero in pensiero perché me la sarei cavata benissimo. Non sembravano molto preoccupati o incazzati. Forse ero un peso per la loro mentalità meschina e bigotta. Per me mia madre non gliel'ha mai fatta vedere a mio padre! Son capaci di fare l'amore a luci spente e senza un gemito di piacere perché non sta bene! Ormai sono tre mesi che me ne sono andata. Mi arrangio con quel che trovo. C'è sempre qualcuno che ti aiuta."
Per un po' ci fu silenzio. Ormai il cielo era quasi completamente scuro. Sulla strada le sciabolate di luce dei fari delle poche macchine che incontravano.
"Io sono quasi arrivato. Abito laggiù" Marco le indicò un gruppo di case illuminate sul ciglio della strada.
"Aspetta. Entra in quella stradina."
Marco ebbe un attimo d'indecisione. Sapeva quel che stava per succedere, ma non sapeva se faceva bene. Rallentò. Lei si voltò verso di lui. "Non sarai mica anche tu un bigotto complessato?"
Ma sì, valeva la pena lasciarsi andare ad una trasgressione, cedere per una volta all'istinto. Eva era bella, le piaceva, desiderava il suo corpo, il suo sesso. Svoltò nella stradina sterrata e la percorse per un centinaio di metri. Si fermò ai margini di un boschetto. Il posto ideale. Si guardarono per qualche istante in silenzio. Poi lui le carezzò i morbidi e lunghi capelli biondi. Sensazioni che da tempo non gli capitava di provare. Il cuore batteva forte. Il suo sesso cominciava ad indurirsi e trovava difficoltà ad alloggiare nei pantaloni. Lei lo lasciava fare e si lasciò andare sul sedile chiudendo gli occhi.
"Sì, ti prego, dai toccami, fammi vibrare di piacere!" Scese con le mani lungo il collo, poi scivolò sotto la maglietta. Trovò subito i capezzoli induriti, perché non portava reggiseno. Li massaggiò per lunghi istanti, mentre Eva mugolava di piacere e il suo respiro si faceva rapido e affannoso. Poi le alzò la maglietta fino al collo, e si tuffò nei morbidi seni di lei come ci si tuffa in un mare blu' e invitante. Li baciava con foga e passione. Passava la lingua sui capezzoli, poi li prendeva in bocca, li mordicchiava delicatamente, li succhiava, li leccava, e poi strofinava il viso sulla carne morbida e calda. Gli pareva di essere in cielo. Continuò così per alcuni minuti. Poi cominciò a sbottonarle i jeans e li sfilò, abbassandoli fino alle scarpe, mentre la ragazza lo aiutava sollevandosi leggermente sul sedile dell'auto. Le carezzò le gambe lunghe e snelle, risalì lungo le cosce e poi percorse l'orlo delle mutandine, titubante e indeciso. Lei lo lasciava fare e aspettava di essere tutta nuda nelle sue mani. Timidamente entrò sotto lo slip, trovò quasi subito la morbida peluria e si soffermò a carezzarla e massaggiarla, poi scese un po' più giù, percorse le grandi labbra che si schiudevano al passaggio della sua mano permettendogli di trovare le piccole labbra, umide e delicate e il clitoride, gonfio e bagnato. Mentre con l'indice massaggiava il bottoncino di carne, con il medio penetrò nell'umida grotta della vagina, esplorandola con voluttuosa curiosità. Eva si abbandonava completamente alle sue mani che la stavano facendo impazzire. Gemeva sommessamente e si muoveva appena distesa sul sedile dell'auto. Lui continuò a masturbarla per alcuni minuti fino a farla venire. Il corpo di Eva ebbe un sussulto violento, s'inarcò e si contrasse in uno spasmo di piacere, per un attimo restò come sospeso, irrigidito nell'estasi, e poi si afflosciò sul sedile accompagnato da un lungo gemito. Marco ritrasse la mano bagnata e si chinò sui suoi seni, baciandoli e mordicchiandoli, mentre Eva se ne stava come stordita, ad occhi chiusi, respirando piano, silenziosa, abbandonata con la testa reclinata sul sedile. Marco adesso le baciava il ventre, e poi le sfilò le mutandine, perché voleva ammirare tutta la bellezza della sua nudità. Si alzò e restò immobile a contemplare il corpo nudo di Eva, che giaceva davanti a lui lascivo e tenero, caldo e voglioso, completamente esposto al suo sguardo. E lo ammirò. E lei si lasciò ammirare così, nuda e aperta. Rimasero così alcuni minuti, senza parlare.
Poi Eva si scosse dal torpore, si sollevò e guardandolo con un sorriso sussurrò:"Adesso tocca a me!" Marco si stese sul sedile, lasciando che Eva facesse quel che voleva. Lei scese sul collo, poi cominciò a baciarlo e a leccarlo dietro l'orecchio, mentre con la mano gli massaggiava il sesso imprigionato nei pantaloni. Gli sbottonò la camicia, mettendo a nudo il petto villoso e il ventre, sui quali lasciò una lunga scia di saliva con la lingua. Poi arrivò alla cintura dei pantaloni. La slacciò, abbassò la cerniera e li fece scivolare rapida fino ai piedi. Sotto gli slip si vedeva il grosso promontorio del sesso di Marco che premeva per uscire, e allora Eva glieli sfilò rapida liberandolo da quella prigionia indesiderata, e poi restò qualche istante a contemplare quel grosso palo di carne, prima di scendere su di lui con la bocca. Sapientemente gli leccava il glande passandoci sopra più volte la lingua, mentre con la mano gli massaggiava delicatamente i testicoli. A Marco sembrava di essere in paradiso, e sensazioni forti scuotevano il suo corpo che da tempo non provava più un simile piacere. E intanto Eva lo prendeva piano dentro la sua bocca calda ed era come se gli carezzasse l'anima, e poi passava la lingua lungo l'asta e sul glande e di nuovo lo faceva scomparire tutto nella sua bocca e poi cominciò piano a scorrere su e giù, tenendolo tutto nella bocca, e poi sempre più veloce, e il piacere aumentava aumentava e poi gli sembrò che si aprisse una diga e sentiva l'onda liquida che saliva fino ad esplodere nella bocca di Eva, accompagnata da un piacere fisico che gli attraversava tutto il corpo come una scossa ed era così intenso da fargli emettere un grido soffocato, quasi di liberazione da una sensazione troppo forte per poter essere sopportata a lungo. Poi si lasciò andare sul sedile, sudato e spossato, mentre Eva non si fermava, perché dopo aver inghiottito tutto il suo sperma continuava a leccargli il sesso che stava perdendo la sua consistenza, a raccogliere con la lingua le gocce di sperma sul glande e lungo l'asta, e sembrava non voler smettere più. Sarebbe rimasto per sempre così, godendo delle straordinarie sensazioni di piacere che la bocca di Eva gli procurava giocando con il suo sesso come una bambina felice.
Poi lei si rialzò. "Adesso è bene che tu vada a casa! Tua moglie ti starà aspettando."
E non aveva finito di parlare che aprì lo sportello, uscì nel buio, si rivestì velocemente e scomparve come inghiottita nella notte. Marco rimase per un po' immobile al posto di guida, stordito e quasi incredulo dell'avventura che gli era capitata. Si tirò su slip e pantaloni e uscì. S'indovinavano le forme scure degli alberi che frusciavano piano nel buio. L'aria era pulita e frizzante. Respirò a pieni polmoni, e si sentì invadere da una sensazione di freschezza e di libertà. Guardò le poche stelle che sfidavano l'oscurità con la loro luce timida e lontana. Guardò la sua casa illuminata a poche centinaia di metri da lui. Fra poco sarebbe tornato alla normalità, alla routine. Fra poco la moglie gli avrebbe aperto la porta con il suo sorriso sempre uguale. Fra poco avrebbe dimenticato Eva, che sarebbe sparita per sempre nella notte dei ricordi lasciandogli forse la nostalgia tenera e impossibile di una vita che non esiste. Poi salì in macchina, e il rombo del motore, come un brusco risveglio al mattino, sembrò cancellare tutti i suoi sogni.

Cesare Paoletti

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