Primo giorno.
Il portone del castello si aprì lentamente, stridendo. Si lasciò la nebbia alle spalle ed entrò. Un'anziana signora dal lungo vestito nero con un grembiule candido legato ai fianchi, lo fece accomodare prendendo il suo cappotto.
- Prego signor De Carlis, la signora la sta aspettando nel salone. Lasci pure qui i suoi bagagli, ci penseremo noi. Mi segua.
- Guardi che c'è roba delicata lì dentro, dovete fare molta attenzione.
- Non si preoccupi. Mi segua.
Ammirò la maestosa scalinata in marmo che aveva di fronte, poi si girò e seguì la donna. Attraversarono due ampi soggiorni prima di giungere nel salone. I pavimenti in marmo erano ricoperti da tappeti bordeaux, che richiamavano le immense tende sulle vetrate, oltre il quale c'era... il nulla. Solo la nebbia. Sulle pareti enormi quadri di gente, sicuramente defunta, abbigliata in maniera antica.
In piedi davanti al camino acceso, lo stava aspettando la padrona di casa. Non gli si fece incontro, lo aspettò lì dov'era con un'aria indecifrabile, avvolta in un lungo vestito bordeaux e con i capelli neri severamente raccolti sul capo. Lui rise tra sé al pensiero che si fosse adeguata all'arredamento e si allungò per stringerle la mano.
- Lieto di conoscerla signora Montichiari. O forse dovrei chiamarla contessa? – le disse sfoggiando il suo sorriso.
- Mi chiami Matilde e sarà sufficiente, signor De Carlis, il piacere è mio. – rispose, senza sorridere.
Le mani si strinsero per una frazione di secondo, fu lei a ritrarla subito.
- E lei mi chiami Carlo.
- Carlo? Carlo De Carlis? Mi prende in giro?
- No. Purtroppo non la prendo in giro. – disse, assumendo l'espressione quasi esasperata di chi si aspetta lo stupore.
- Va bene Carlo. Immagino voglia fare due chiacchiere prima di ritirarsi per cominciare il suo lavoro.
- Sì, in effetti avrei qualche domanda preliminare da porle, se me lo consente.
- Si accomodi. Cosa le posso offrire?
- Uno scotch, grazie, senza ghiaccio.
- Maria, porti uno scotch al signore, grazie. Senza ghiaccio.
Si accomodarono sulle poltrone, di fronte al fuoco, lui tirò fuori dalla tasca della giacca un block-notes e una matita.
- Matilde, mi dica: da quanto tempo registrate i... fenomeni?
- Che io sappia da un centinaio d'anni.
- Ed è la prima volta che vi rivolgete ad un esperto per verificare tali fenomeni? Perché?
- Carlo, sarò sincera: se fosse per me lei non sarebbe qui. Trovo inutile quanto inopportuna questa verifica, come la chiama lei. E' mio padre che insiste affinché qualcuno faccia qualcosa. Come se si potesse fare qualcosa. Comunque, il motivo è che, ultimamente, i fenomeni sono aumentati considerevolmente.
- E come mai?
- Questo speravamo ce lo dicesse lei.
- Non mi sembra propensa a collaborare.
- Non sono qui per collaborare, solo per stare attenta che non si faccia male. Che non le accada nulla.
- E cosa potrebbe accadermi? Ah ah... santo cielo. Matilde, lei è stata molto schietta, lo sarò anch'io con lei. Ho 48 anni e sono alla ricerca dell'occulto da quando ne avevo 13. E mi creda, niente mi farebbe più felice di scoprire un autentico fantasma. Sono stato in tutti i luoghi papabili a tali incontri e sono sempre rimasto deluso. A volte ci sono stato ad un soffio, per poi comprendere, con mio immenso rammarico, che erano solo effetti ottici o sonori, dovuti a fenomeni naturali, quando non erano bufale ben costruite per attirare i turisti.
- Non abbiamo bisogno di turisti qui. Questa è solo una delle nostre residenze. Carlo, lei faccia quello che è venuto a fare, e poi torni alla sua vita. Non le si chiede nulla di più. Ora, se permette, concludiamo questa conversazione. Finisca il suo scotch, poi Maria la accompagnerà alla sua camera. Ci vediamo per cena.
Si alzò senza aspettare risposta e si allontanò con passi silenziosi sul tappeto. Che strana donna. Altera, senza dubbio, ma non altezzosa. Decisamente infastidita dalla sua presenza. Molto bella, indubbiamente. Non fosse stato per il rossetto e le unghie bordeaux. A quel pensiero rise, mentre Maria lo guardava allarmata.
Entrò nella sua camera da letto. Un camino acceso rendeva l'ambiente caldo e confortevole, i colori bianco e oro degli arredamenti lo sollevarono dall'oppressivo bordeaux. Un profumo intenso aleggiava nell'aria. I suoi bagagli erano già stati disfatti e i vestiti sistemati nell'armadio, solo la sua attrezzatura era rimasta nel borsone.
- Si cena alle 8 in punto signore, verrò a chiamarla per accompagnarla in sala da pranzo.
- Grazie Maria.
Pensò che aveva tutto il tempo di fare una doccia e di buttare giù un paio di appunti con le sue prime impressioni.
Il profumo dolciastro cominciava a diventare fastidioso. Si guardò in giro e ne individuò la fonte. Sul comodino, accanto al grande letto, un vaso con un ramo di magnolie bianche emanavano la dolce fragranza. Magnolie? In autunno? Che strano, chissà dove le hanno prese, Maria è piena di sorprese. Questo fu il suo pensiero. Prese il vaso, lo portò fuori dalla camera e lo appoggiò sul mobile sovrastato dal grande specchio che stava in corridoio, accanto alla porta, sperando che Maria non si sarebbe offesa per quella mancanza di delicatezza.
Fece la doccia e si rivestì, poi andò allo scrittoio dorato e cominciò a scrivere. Dopo un pò di tempo, qualcuno bussò alla porta.
- Avanti.
La porta si aprì e la domestica comparve sulla soglia.
- La cena è pronta signore, mi vuole seguire?
Infilò la giacca ed uscì dalla stanza, seguendola. A metà corridoio si fermò e si voltò. Il vaso con le magnolie non era più sul grande mobile.
- Maria, mi perdoni se ho tolto i fiori, i profumi intensi mi infastidiscono.
- Quali fiori? - rispose la donna, continuando a camminare.
La guardò incuriosito, senza rispondere, poi riprese a seguirla. Scesero la grande scalinata di marmo e attraversarono diverse stanze prima di giungere in una piccola sala da pranzo, molto accogliente, adiacente alle cucine. Matilde era già seduta a tavola e sorseggiava dell'acqua.
- Buonasera Carlo. Spero si stia ambientando.
- Buonasera Matilde, per ora sto curiosando un pò.
Maria portò due vassoi colmi di arrosti e verdure, poi si rivolse alla signora.
- Se non ha più bisogno di me, andrei.
- Vada pure Maria, a domani. Buonanotte.
La donna sparì in cucina.
- I domestici non dormono qui?
- No, preferiscono non restare qui di notte. Lo preferisco anch'io. Abitano in paese, per loro non è un problema spostarsi.
Un sorriso beffardo si dipinse sul volto di lui, lei fece finta di non coglierlo.
- Pensa che ci farà visita questa notte? - chiese con una punta di provocazione nella voce.
- Non saprei dirglielo. In genere non avvisa prima di arrivare. Arriva e basta.
- Un atteggiamento decisamente maleducato. - rise lui.
- In fondo è casa sua. Lei abitava qui.
Smise di masticare e la fissò socchiudendo gli occhi.
- Ha detto...lei?
Alzò gli occhi dal piatto e ricambiò il suo sguardo, senza dire una parola.
- Matilde, perchè non mi dice quello che sa o pensa di sapere? Mi risparmierebbe un sacco di tempo.
- Preferisco non sia influenzato dai miei racconti.
La fissò intensamente, cercando di capire a che gioco stava giocando e, cosa più importante, se stava giocando. Sembrava proprio di no. Era davvero convinta che ci fosse una qualche presenza nel castello. Per un momento gli dispiacque il pensiero di doverla deludere, quando avrebbe risolto anche quel mistero. O forse ne sarebbe stata sollevata, chi lo sa. Eppure avvertiva una sorta di strano rispetto da parte di lei, nei confronti della... presenza.
- Io non mi faccio influenzare facilmente.
- Facciamo un patto: le dirò qualcosa la prossima volta che me lo chiederà. E lei mi chiederà ancora qualcosa dopo che... - fece una pausa, cercando le parole.
- Dopo che cosa?
- Dopo che avrà avuto un primo contatto con lei.
- Con lei. - ripetè lui, fissandola incuriosito. Non gli stava mentendo affatto. Forse era semplicemente sbarellata. Molti ricconi, in fondo, lo erano.
- Va bene. Faremo così.
Finita la cena Matilde tolse le portate dalla tavola, trasferendole in cucina.
- Pensa di riuscire a tornare in camera sua?
- Non ne sono sicuro, in effetti.
- Venga, l'accompagno.
Rifecero insieme il tragitto e lui prestò attenzione, per memorizzarlo. Arrivarono davanti alla sua camera.
- La mia è l'ultima in fondo al corridoio.
- Questa non è la zona degli ospiti, vero?
- No. Preferisco averla vicino. Per tenerla d'occhio. Non esiti a chiamarmi, se dovesse avere bisogno.
Di nuovo il sorriso beffardo sul volto di lui.
- Anche lei Matilde, non esiti a chiamarmi se dovesse avere visite.
Il volto di lei restò impassibile, indecifrabile. Si voltò e si diresse verso la sua camera lasciandolo davanti alla porta. Lui la seguì con lo sguardo finché non si richiuse la porta alle spalle, senza voltarsi, poi abbassò la maniglia, ed entrò nella sua stanza.
Non appena aprì la porta, un profumo dolciastro e intenso lo raggiunse. Istintivamente guardò il comodino accanto al letto. Un vaso con un ramo di magnolie bianche. Alzò gli occhi al cielo, prese il vaso e lo mise fuori dalla porta, sul grande mobile in corridoio, poi aprì le vetrate per far cambiare l'aria. La nebbia si era leggermente diradata e poteva intravedere il parco. C'era qualcosa in fondo, sembrava una piccola collina... o forse no, la nebbia poteva ingannare la vista. Faceva freddo. Richiuse la vetrata, si spogliò e si mise sul letto con un libro, con l'intenzione di lasciar passare un po' di tempo affinché la signora si addormentasse, per poter fare un giro notturno indisturbato. Dopo pochi minuti, il sonno lo rapì.
Secondo giorno.
Fu svegliato dalla debole luce che entrava dalla tenda semi-aperta. Si sedette sul letto rendendosi conto che il suo proposito di fare un'esplorazione notturna, era saltato. Era da tanto tempo che non dormiva così profondamente. Si alzò, fece una doccia e si vestì. Guardò fuori dalla vetrata: solo la nebbia. Uscì dalla sua stanza e si diresse verso la scalinata, aveva fame, non vedeva l'ora di fare colazione. Maria era un'ottima cuoca. A metà corridoio si fermò. Si voltò lentamente e guardò il grande mobile. Il vaso di magnolie non c'era. Si avviò di nuovo ed entrò nelle cucine.
- Buongiorno signore, si accomodi pure in sala da pranzo, ora le porto la colazione.
- Buongiorno a lei Maria. Volevo farle un paio di domande.
La donna si fermò con il cucchiaio di legno a mezz'aria e lo guardò confusa.
- Lei sa perché sono qui, vero? – le disse.
- Sì signore, so perché è qui, ma non saprei proprio come aiutarla. Preferirei non mi chiedesse nulla... in merito.
- La prego, vorrei solo farle un paio di domande.
- Mi scusi signore, lei non dovrebbe stare in cucina, la prego, torni in sala da pranzo, ora le porto la colazione.
- Ha mai visto uno spettro qui al castello?
Maria sbiancò alla parola spettro e il cucchiaio le cadde di mano.
- Mi dispiace signore, non credo di poterle essere utile. – disse balbettando, mentre si chinava a raccogliere il cucchiaio.
- Va bene, la lascio in pace. Solo un'ultima domanda.
La donna lo fissò immobile e socchiuse un occhio, come chi si aspetta una bastonata in testa da un momento all'altro.
- Maria... - fece una lunghissima pausa. - Maria... lei pensa che la signora Matilde sia... a posto?
La donna sussultò a quella domanda, e sul suo volto si dipinse lo sdegno.
- Signor De Carlis, la signora Matilde è a posto, glielo posso assicurare. E' una delle donne più a posto che io conosca, non le permetto di fare insinuazioni! – disse roteando per aria il cucchiaio.
- Va bene, va bene, non si arrabbi! Era solo per chiedere. Vado di là.
Lasciò Maria tremante, con il cucchiaio ancora a mezz'aria ed entrò in sala da pranzo.
- Buongiorno Matilde, ha dormito bene?
- Buongiorno Carlo, ho dormito bene, grazie. E lei?
- Come un angelo. – disse con aria soddisfatta. - Non è che la nostra ospite vuole farsi desiderare, vero? – le disse schiacciandole l'occhiolino.
Lei non rispose e prese a mangiare l'omelette che aveva nel piatto.
Maria entrò con un piatto colmo di ogni ben di Dio, e glielo mise davanti con fare piuttosto brusco. Matilde smise di mangiare e la osservò incuriosita. La domestica si eclissò in cucina.
- Ha forse fatto arrabbiare Maria? Deve avercela messa proprio tutta, è praticamente impossibile farla arrabbiare.
- Chi? Io? Le ho solo fatto un paio di domande.
Per la prima volta lei sorrise, mentre a occhi bassi continuava a consumare il suo pasto.
- A proposito: può chiedere a Maria di non mettermi più le magnolie in camera? Non sopporto i profumi così intensi.
Lei alzò i grandi occhi nocciola dal piatto e lo guardò, sbiancando.
- Magnolie ha detto? Non ci sono magnolie in autunno. – disse quasi sottovoce.
Lui si fermò ad osservare il suo stupore.
- Sì, appunto. Era quello che pensavo anch'io.
- Va bene, glielo dirò. – disse cercando di tornare al suo pasto, ma era evidente che aveva perso l'appetito. La forchetta cominciò a giocare con l'omelette.
- Perché non mi dice qualcosa prima del ... contatto?
- Perché definirla scettico è un eufemismo, ed io non ho voglia di ammirare ancora il cinismo sul suo volto. Tragga da sé le sue conclusioni.
- Va bene, sì è vero, sono scettico e forse anche un po' cinico, ma so che è sincera. Può sbagliarsi, ma è sincera. Le prometto che la ascolterò senza essere prevenuto. Mi dica quello che sa.
Lo guardò a lungo negli occhi, combattuta, cercando di capire se poteva fidarsi e parlare con lui, senza risultare folle.
- Va bene, lo farò. Si ricordi che non voglio sentire i suoi commenti.
- Nessun commento, al massimo qualche domanda.
- Finisca la sua colazione, poi indossi il cappotto e mi aspetti nell'atrio. Le faccio vedere una cosa.
Si alzò da tavola e, silenziosamente come sempre, si allontanò.
Arrivò nell'atrio che lei era già lì, ad aspettarlo. Appena lo vide, aprì la porta ed uscì, incamminandosi lentamente. Lui le si fece accanto e la seguì. Camminarono a lungo, in silenzio, la nebbia inghiottiva le cime dei cipressi e dei grandi pini e il silenzio era surreale. Sembrava davvero un luogo incantato. Lievemente inquietante, ma decisamente affascinante. Passarono dietro al castello, camminarono per un po' e ad un certo punto lei indicò un punto lontano.
- Stiamo andando lì. – disse.
Lui intravide una piccola collina. Probabilmente era quella che si vedeva dalla finestra della sua camera. Proprio nel centro della collina c'era un albero semi-spoglio, isolato.
Quando giunsero ai piedi della collina, notò che c'era qualcosa sotto l'albero. Sembrava una figura accovacciata... o forse... no, non capiva cosa fosse.
- Che albero è quello? E' diverso da tutti gli altri.
- E' una magnolia. – disse lei, senza guardarlo.
Lui si arrestò di colpo. Lei proseguì, come nulla fosse. Ormai erano vicini, l'albero era quasi spoglio. Un solo fiore bianco lo ornava, stranamente sopravvissuto all'autunno.
Riprese a seguirla. Continuava a guardare lo splendido fiore sull'albero, ormai erano a pochi passi da esso, quando riportò giù lo sguardo e vide cosa c'era sotto.
Lei era già arrivata ai piedi dell'albero, si chinò e accarezzò lievemente la lapide di pietra. Lui si avvicinò e lesse ad alta voce:
- Matilde Canzi di Montichiari. Nata il 27 aprile 1884, morta il 13 novembre 1909.
La fissò con gli occhi ridotti a due fessure.
- Mi aveva promesso che non avrebbe fatto commenti.
- Non ho ancora detto una parola infatti.
- Sì, ma sta per farlo.
- Tra due giorni sarà il 13 novembre. Esattamente cento anni dalla sua morte. Ha il suo stesso nome.
- E' una mia prozia, sì, ho il suo stesso nome. E' consuetudine, nella mia famiglia, avere il nome di qualche nonno o nonna. Di Matilde ce ne sono a bizzeffe.
- Lei crede che sia di questa sua parente, la presenza nel castello?
- Ne sono certa.
- Come fa ad esserne certa?
Il suo silenzio gli fece capire che era la domanda sbagliata, e allora la cambiò.
- Come è morta?
- Si impiccò a quest'albero, il giorno del suo matrimonio. Aveva 25 anni.
- E come mai? Non voleva sposarsi?
- Oh sì, lo voleva, amava follemente l'uomo che stava per sposare. Ma successe... una cosa.
Lui la guardò, aspettando e sperando che continuasse da sola, ma lei restava in silenzio, chinata sulla lapide. Un petalo si staccò dall'unico fiore sull'albero e lentamente andò a posarsi sulla tomba. Lei lo raccolse e lo avvicinò al volto, aspirandone il profumo. Perfino lui poteva sentirlo da dove si trovava.
- Cosa successe Matilde?
- Rientriamo adesso, fa freddo.
La giornata passò velocemente, la padrona di casa gli fece da guida in ogni stanza del castello, evitando elegantemente ogni sua domanda riferita alla prozia. Solo durante la cena, lei stessa aprì l'argomento, quando all'improvviso, osservando la nebbia fuori dalla vetrata, disse:
- Stanotte verrà.
Lui appoggiò il cucchiaio al piatto e la fissò.
- Come fa a saperlo?
- Lo sento. La sento arrivare, a volte. Stanotte sarà qui.
- Terrò gli occhi aperti. – disse, cercando di non far trapelare il suo scetticismo. Forse era solo una donna bizzarra, non gli sembrava fuori di testa. Forse era la permanenza in quei castelli inquietanti ad averla ridotta così. Forse era depressa. Forse era esaurita.
- No, non sono nulla di tutto questo. – gli disse, alzandosi da tavola.
La fissò sorpreso, senza riuscire a dire nulla di sensato.
- Buonanotte Carlo.
- Buonanotte Matilde.
Era stranamente stanco, sapeva di non aver fatto nulla di particolare, ma si sentiva quasi spossato. Abbassò la maniglia della porta ed entrò in camera. Il profumo lo pervase. Restò sulla porta e guardò il comodino. Nulla. Poi lo vide. Un unico fiore di magnolia nel centro del letto. Decise di non chiedersi neanche chi poteva averlo messo lì, lo prese e lo appoggiò sul mobile, fuori dalla porta e la chiuse alle sue spalle. Forse questa fantasma si è innamorata di me, pensò, e rise forte. La porta si spalancò, come spinta da una folata di vento impetuoso e vide il fiore volare giù dal mobile, sospinto dallo stesso vento. Si girò a controllare la vetrata. Era chiusa. Andò a raccogliere il fiore e lo rimise sul mobile, poi entrò e chiuse di nuovo la porta. A chiave. Subito dopo averlo fatto, si sentì stupido. Girò la chiave.
Andò allo scrittoio e si mise a scrivere. Aveva sufficienti appunti per passarvi mezza nottata. Più tardi sarebbe andato in giro per il castello con i suoi marchingegni, alla ricerca di ciò che, suo malgrado, non aveva mai rilevato. Dopo un paio d'ore decise di fare una pausa, posò la matita e si stropicciò gli occhi. Guardò fuori dalla vetrata. Solo la nebbia.
- Ma dove cazzo sono finito? – si chiese ad alta voce.
All'improvviso sentì un rumore provenire dal corridoio. Un rumore indefinito, come un lamento.
- ooohhh... finalmente ci siamo eh? – disse sfoderando un sorriso a 32 denti. – Forse è l'ora della verità. – si alzò e si diresse verso la porta, abbassò lentamente la maniglia e l'aprì. Il corridoio era buio, lasciò la porta della sua stanza aperta affinché ci fosse un po' di luce. Un altro lamento, un po' più forte. Proveniva dal fondo del corridoio, dove c'era la camera di Matilde. Si avvicinò lentamente, i passi erano silenziosi sui tappeti. Arrivò davanti alla porta, una debole luce usciva da sotto, insieme ad un leggerissimo fischio, come se ci fosse del vento, e poi lo sentì ancora. Un gemito, proveniva proprio da lì. Bussò leggermente alla porta.
- Matilde. Matilde è sveglia?
Nulla.
Bussò, più forte.
- Matilde, posso entrare?
Un gemito soffocato lo raggiunse.
Abbassò la maniglia, aprì lentamente la porta, e attraverso il velo di tulle bianco del baldacchino la vide. Matilde era stesa sul letto, completamente nuda, i lunghissimi capelli neri ricoprivano tutto il cuscino. Le mani sopra la testa stringevano il ferro-battuto del letto, le gambe aperte e le ginocchia sollevate. Emise un altro gemito, inarcò la schiena e in quel momento vide qualcosa tra le sue gambe. Qualcosa di indefinito, sembrava una leggerissima nebbia, ma forse era l'effetto del tulle. No... non era il tulle, si muoveva sopra di lei, con lei.
- Matilde! – il nome uscì da solo, senza che se ne accorgesse, in quello stesso attimo la strana nebbia si fermò. E poi fu come lo spostamento d'aria di un'esplosione, tutto volò per aria e i mobili sobbalzarono, la strana nebbia attraversò in un lampo il tulle e gli si fermò di fronte. Lui cercò di capire cosa stesse succedendo, non riusciva a muoversi né a parlare, fissava la consistenza bianca che aveva di fronte cercando di capire, di mantenere la lucidità, e poi... e poi intravide due occhi che lo fissavano in quel candore. Gli occhi più dolci che avesse mai visto. Di nuovo il violento spostamento d'aria, la nebbia lo attraversò gelandolo, e scomparve. Rimase immobile, cercando di riprendere un briciolo di ragione, pensò che la prima cosa da fare, forse, era ricominciare a respirare. Sì, certo, era importante. Fece, un respiro, poi un altro. Sentì il cuore martellargli nel petto e con lo sguardo tornò al letto. Matilde era nella stessa posizione, le mani ancora strette al ferro-battuto, le ginocchia ancora alzate, tra le gambe i suoi umori avevano bagnato le lenzuola di seta, anche l'inguine era madido. Continuava a muovere lentamente il bacino, gemendo, con gli occhi semichiusi e lo sguardo perso nel vuoto. Era bellissima. Spostò il velo del baldacchino e si chinò su di lei.
- Matilde, mi sente?
Le toccò la guancia gelida, non appena l'ebbe fatto lo afferrò per la camicia e lo trascinò sopra di lei. Le braccia lo circondarono dietro la schiena e le lunghe gambe lo avvinghiarono per i fianchi, mentre la lingua ghiacciata si insinuava alla ricerca della sua. Matilde era gelida e bianca. Era terribilmente bella. Doveva fermarla, questo era il suo pensiero intanto che sentiva i suoi fianchi muoversi sotto di lui, cercandolo, andandogli incontro, mentre con le gambe lo tratteneva, spingendolo verso di lei. Sentiva i suoi pantaloni inumidirsi al contatto con lei e sentiva la sua eccitazione esplodere. Non poteva essere in una situazione tanto assurda, sarebbe stato così facile lasciarsi andare. Sarebbe stato così naturale penetrarla in quel momento, chiudere gli occhi ed entrare in lei, che non chiedeva altro. Sapeva di doversi fermare, di doverla fermare perché non era in sé, e invece cominciò a muoversi sopra di lei, assecondandola. Ora mi fermo, ora mi fermo, continuava a pensare, mentre il suo sesso duro la sentiva oltre la tela e reclamava per uscire dai pantaloni. I gemiti diventarono lamenti, stava cercando di possederlo con tutte le sue forze. Ora mi fermo, pensò ancora, mentre lei si inarcava con una forza sovrumana, fino a sollevarlo, e poi sentì una mano insinuarsi oltre la cintura. Ora mi fermo. Udì un altro gemito e si accorse che era stato lui. Sentì la sua mano fredda tra i loro corpi aderenti, cercarlo avida e impaziente, fino a trovarlo. Entrambi gemettero forte, insieme. Ora mi fermo!
- Matilde! MATILDE!
Lei spalancò gli occhi, lo guardò e, urlando, lo scaraventò per terra, mentre con una mano tirò su il lenzuolo per coprirsi.
Si mise seduto sul pavimento e la guardò stordito. Lei lo fissava con gli occhi sbarrati.
- Oh mio Dio, oh mio Dio. – disse coprendosi il volto con le mani, mentre un rosso acceso le infiammava le guance.
- Oh mio Dio, era qui vero? L'hai vista? L'hai vista?
- Io... veramente... non lo so cosa ho visto. Cioè... non lo so. – si alzò barcollando e si avvicinò a lei. – Stai bene? – disse sedendosi sul bordo del letto, mentre l'aiutava a coprirsi con il lenzuolo.
- Sì, sto bene.
- Bene, sono contento che stai bene, perché ora dobbiamo proprio parlare.
- Sì, dammi solo qualche minuto. – e così dicendo, si sdraiò di nuovo.
Lasciò passare un po' di tempo, fino a quando non vide un colorito più o meno normale sul suo volto.
- Ti era già successo? – le chiese, passando automaticamente al tu.
- Sì, mi è già successo. Mi succede quando c'è un uomo nel castello.
- Immagino ti sia fatta un'idea del perché.
- Suppongo di sì.
La guardò in silenzio, aspettando che trovasse le parole.
- Il 13 novembre del 1909 Matilde stava per sposare l'uomo che amava. Ma lui non era l'unica persona che amava. Lui voleva farle una sorpresa prima di vederla vestita da sposa. Voleva salutarla quella mattina e portarle un regalo. E così, sentendosi ormai in diritto di farlo, entrò in camera sua, all'improvviso, senza bussare. L'aveva aspettata per tutto quel tempo, lei era ancora... illibata. Quando aprì la porta, la vide. Non era da sola.
- Vuoi dire che la sorprese con un altro uomo?
- No. Non con un altro uomo. Con una donna. Con Nina, la sua cameriera personale.
- Oh...
- Le trovò qui, su questo letto, Nina aveva il volto affondato tra le gambe di Matilde. E' l'unica cosa che sappiamo in realtà. Nina fu mandata via dal castello immediatamente, si disse che fu rispedita a casa sua. In verità, i genitori di Nina scrissero per mesi qui al castello, chiedendo notizie di Nina. Nessuno ne seppe mai più nulla. Matilde fu trovata impiccata all'albero di magnolie un'ora dopo, mentre lui, sconvolto, torno a casa sua, prese il fucile da caccia, se lo infilò in bocca e si sparò.
- E tu pensi di sapere cosa vuole Matilde? Perché è qui?
- Sì, penso di saperlo. Io... la sento quando è qui. Sento il suo dolore, la sua rabbia, la sua dolcezza e ... e la sua eccitazione. Vuole la sua prima notte di nozze, tutto qui.
- Tutto qui? – ripetè lui sgranando gli occhi. Non poteva credere a ciò che aveva visto, ma questa volta l'aveva visto, come quell'altra volta, in realtà. Quella volta che non osò mai raccontare a nessuno. Non pensava gli sarebbe accaduto, in questa vita, di imbattersi per due volte in un ... non riuscì neanche a pensarla, quella parola.
- E come pensa di fare?
- Credo voglia usare me per... sì, insomma. A volte entra in me, in tutti i sensi. Probabilmente sarei venuta da te questa notte, ma non sarei stata io. E' già successo due volte, con due ospiti che sono scappati a gambe levate. Per questo motivo mio padre vuole che Matilde vada via, perché io non riesco a lasciare questa casa, finché sento che lei è qui. E' come se mi chiedesse aiuto, sarebbe come abbandonarla. Non ci riesco. – e dicendo queste parole, grosse lacrime cominciarono a rigarle le guance.
- Va bene, stai tranquilla. Va tutto bene. – disse lui avvicinandosi e prendendola tra le braccia.
- Resto con te adesso, andrà tutto bene.
Si sdraiò accanto a lei, tenendola stretta, accarezzandole i lunghi capelli e continuò fino a che non la senti rilassarsi, addormentata. Era calda adesso, sentiva la sua pelle attraverso il lenzuolo leggero. Le guardava il viso e avrebbe voluto svegliarla baciandola, avrebbe voluto fare l'amore con lei, così dolce, fragile e al contempo così forte e determinata. Chiuse gli occhi e provò a dormire, ma il suo fu solo un dormiveglia confuso, popolato da dolcissimi sogni e terribili incubi.
Terzo giorno.
Aprì gli occhi e si sentì distrutto. Era stanchissimo, sentiva le palpebre gonfie e i muscoli indolenziti. Si guardò intorno e ricordò dov'era... ma lei non c'era. Andò in camera sua, fece la doccia e si preparò per la colazione. Arrivò in sala da pranzo, ma lei non c'era. Maria gli portò la colazione.
- Buongiorno Maria, dov'è la signora?
La donna lo guardò corrucciata.
- Non saprei, ho trovato un biglietto in cucina in cui mi comunicava che oggi sarebbe stata fuori. – e così dicendo, tornò da dove era venuta.
Non aveva appetito. Si alzò da tavola, mise il cappotto e uscì nella nebbia. Camminò a lungo pensando, chiedendosi dove fosse, perché fosse andata via, quando sarebbe tornata. Cosa doveva fare. Non sapeva cosa doveva fare. Non sapeva cosa potesse fare. All'improvviso si ritrovò sulla collina, sotto la magnolia. Si chinò fissando la lapide.
- Allora Matilde prozia, è vero quello che pensa Matilde pronipote? E' davvero quello che vuoi?
Una lieve brezza mosse i rami dell'albero. L'ultimo petalo del fiore cadde ai suoi piedi. Si alzò e si incamminò lentamente verso il castello.
Entrò e vide Maria alle prese con l'argenteria.
- E' tornata la signora?
- No, ancora no. Tra mezz'ora le servo il pranzo.
- No, lasci stare. Non ho fame.
Andò in camera sua, aprì la porta e si fermò un attimo inalando l'aria, in attesa di sentire l'aroma familiare. Nulla. Entrò e si stese sul letto. Lesse e rilesse i suoi appunti, ne prese altri e poi li rilesse.
Smise che fuori era buio, uscì dalla camera e corse di sotto in direzione delle cucine.
- Buonasera Maria, è tornata la signora?
- No, ancora no.
- Non è preoccupata? – chiese ormai allarmato.
- No. – rispose lei, sinceramente stupita per la domanda. – Tra mezz'ora è pronta la cena.
- Lasci stare la cena.
Tornò di sopra, si buttò sul letto in preda ai pensieri più assurdi, e così si addormentò.
Fu un intenso aroma dolciastro a svegliarlo in piena notte. Aprì gli occhi e la vide, ai piedi del letto.
- Matilde, dove sei stata? Ero preoccupatissimo per te. Matilde...
Lo fissava con degli strani occhi e aveva indosso una leggera vestaglia trasparente, leggermente aperta. Sotto, nulla. I capelli erano sciolti e il viso era bianco come la porcellana.
- Matilde... sei tu?
- Sì, sono io – rispose lei, con una voce che lui non aveva mai udito prima. Una voce dolcissima e profonda, calma come un lago in una notte serena.
Rimase pietrificato a guardarla. Non sapeva cosa fare, ma quegli occhi rapivano i suoi e non riusciva a distogliere lo sguardo. Quegli occhi che aveva già intravisto nella nebbia, la notte precedente. Lei fece un passo e si avvicinò. Lui istintivamente si tirò su, sui gomiti. Lei fece un altro passo, sollevò un ginocchiò e lo appoggiò sul letto. Lui continuava a fissarla impietrito. Lei appoggiò le mani sul letto, poi l'altro ginocchio e fu sopra le sue gambe. Si fissarono a lungo così, i pensieri di lei erano quasi trasparenti, i suoi occhi parlavano e la sua bocca gli sorrise. Lentamente si avvicinò al suo volto, restando sopra di lui, senza toccarlo, fino a quando le labbra non furono ad un centimetro di distanza. La vestaglia aperta faceva intravedere i seni rotondi e perfetti. E poi, lentamente, le due bocche si toccarono lievemente e lui si accorse che era calda. Era meravigliosamente calda. Fu lui a schiudere la bocca, delineando i contorni delle sue labbra con la lingua. Lei rimase immobile come a prolungare il più possibile quel contatto umido, poi schiuse la sua bocca e le lingue si avvinghiarono avide. Il profumo così intenso non era più fastidioso ora, anzi...era piacevolmente inebriante. Lo emanava da ogni centimetro, anche il suo alito aveva la fragranza della magnolia. Lei prese la sua mano e se la portò al seno, lui sentì il piccolo capezzolo turgido oltre la seta della vestaglia, allungò automaticamente l'altra mano sull'altro seno e la tirò a sé. La sentì abbandonarsi, aderendo completamente a lui, mentre le braccia candide gli cingevano il collo. Cominciò a muoversi lentamente sopra di lui, mentre le piccole dita sbottonavano la camicia, rivelando il petto ansimante. Continuò a muoversi sopra di lui, lentamente, mentre le labbra si spostavano dalla bocca alle guance, fino all'orecchio, per poi scendere al collo, indugiando a lungo con le labbra, con i denti, con la lingua fino al petto trattenendosi all'altezza del cuore, quasi a voler parlare a lui con leggeri gemiti e poi ancora giù, fino a che il volto non fu all'altezza del ventre e lì si fermò. Le mani, lentamente ma senza indugio, tolsero la cintura e slacciarono i pantaloni, abbassandoli. Si sollevò, restando seduta sulle sue gambe e osservò il glande rigonfio che spuntava dagli slip. Allungò una mano e lo sfiorò. Un gemito gli sfuggì. Prese ad accarezzarlo dolcemente sentendolo indurirsi sotto la sua mano e lentamente lo liberò dagli indumenti, sciolse la cintura della vestaglia e in un momento fu nuda. Si sollevò sulle ginocchia e si prese i seni tra le mani, mentre i fianchi cominciarono a muoversi dolcemente, senza neanche sfiorarlo. Non lo stava toccando, eppure lui la sentiva, la sentiva muoversi sopra di sé, dentro di sé, ovunque, poteva avvertire le sue profondità anche così. Le mani di lei scesero lentamente dai seni, arrivando al piccolo ciuffo di peli neri tra le gambe e quando cominciò ad accarezzarsi lui si sentì le dita umide. Le guardò e le scoprì bagnate. Allungò la mano fino ad incontrare le sue, lei lo guidò mentre l'accarezzava lungo la fessura umida alla ricerca delle sue profondità. Un dito la penetrò e lei gemette forte mentre i fianchi presero a muoversi più velocemente sulla sua mano. Sentiva la sua eccitazione attraversarlo scuotendolo come una foglia al vento. Il dito si muoveva dentro di lei, scoprendone ogni angolo inesplorato, sentendola contrarsi ad ogni movimento. Estrasse il dito imperlato di lei e continuò ad accarezzarla ad occhi chiusi. Poteva ancora vederla. Le sue mani si appoggiarono sui fianchi e l'avvicinò a sé. Lei si inarcò, appoggiando le mani sulle sue gambe e il glande sfiorò le piccole labbra, schiudendole. Lei gli si fece incontro e lui le sprofondò dentro, in tutti i sensi.
Quarto giorno.
Un raggio di sole che penetrava dalla tenda semi-aperta, lo svegliò. Aprì gli occhi e la vide, accanto a sé, coperta solo con il lenzuolo leggero. Era sveglia e lo stava osservando con uno sguardo sereno. Il profumo di magnolia era completamente svanito.
- E' andata via. – gli disse sorridendo.
- Allora siamo stati proprio bravi. – le rispose lui, ricambiando il sorriso.
- Tu sei stato bravo, io non c'ero. Non ricordo nulla.
- E' meglio che tu non sappia. – le rispose lui, con un ghigno malizioso.
- Perché non me lo racconti invece?
- Ho un'idea migliore. – le disse, mentre si allungò per baciarla.
Femmina la notte nera
nell'ombra del mantello tace
differendo visioni oniriche e miraggi
in indulgente attesa
d'intravedere comparir l'aurora.
Femmina la luna piena
di fittizia modestia mascherata
all'ulular del lupo non impallidisce
bensì in cuor suo gioisce
della considerazione conquistata.
Femmine le bianche ossa
detentrici degli ultimi segreti
in conciliante brama
che finalmente giunga il dolce canto
a rinnovar le membra.
Nausica