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Racconto n° 4285
Autore: Morgause Altri racconti di Morgause
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L'oro di Natale
Sta nevicando, il traffico va a rilento e io sono in ritardo. Non mi è stato possibile liberarmi prima e ora mi pare che non arriverò mai all'aereoporto in tempo per vederti comparire tra la gente all'improvviso, per provare quel vuoto assoluto dentro che per un attimo mi comprime i polmoni e il cuore in una morsa, come mi succede ogni volta, da quando eravamo ragazzi.
Non ti vedo da quattro mesi e non so neppure quanto tempo avremo per noi oggi: sono disposta a rischiare ogni attimo della mia vita presente per toccarti, averti, sentirti dentro. Mi piego sul volante, il crampo al ventre è violento, doloroso.
Né con te né senza di te, la nostra storia è infinita, un romanzo che un giorno forse scriverò.
Finalmente intravedo le luci dell'aereoporto; mi rilasso e penso con rassegnazione che devo essere orribile così, senza trucco, non ho fatto in tempo, con il berrettone di lana che mi arriva sugli occhi raccogliendomi i capelli e vestita di nero, il mio colore invernale preferito che mi fa ancora più alta, magra e, oggi ne sono sicura, spaurita; nero sì, ma sotto la lunga gonna di lana pesante ho una sorpresa per te, un tesoro scintillante che aspetta solo di essere scoperto, un tesoro al servizio della tua fantasia erotica, delle tue mani, del tuo sesso orgoglioso.
Non ti guarderò, non ti toccherò, voglio morire dal desiderio della tua pelle, sentirmi tua schiava, il tuo oro di voglia, la tua preda di guerra.
Basta... devo calmarmi, del resto sono arrivata.
Parcheggio la macchina in malo modo, sbilenca e a razzo entro nel multicolore aereoporto
rutilante di luci e addobbi natalizi. Scopro che il tuo volo è in leggero ritardo causa neve: sono arrivata in tempo.
Ora resto immobile, anche il respiro rallenta, gli occhi fissi, protetti come al solito dai Ray-Ban neri, ai primi viaggiatori in arrivo.
E ti vedo.
Sei in divisa, segno che stasera o stanotte ci sarà un altro aereo da prendere, ma non importa... non importa.
Mi vedi, sorridi e corri verso di me mentre io ancora una volta mi meraviglio di quanto ci assomigliamo: se non fosse per i tuoi capelli biondi cortissimi potremmo quasi essere gemelli; già da piccoli ci guardavano con curiosità e ora...ora mi prendi tra le braccia e in mezzo al via vai di sconosciuti mi baci con violenza, un bacio lungo, mentre io ti stringo a me come se tu fossi la mia zattera di salvataggio: il tuo ventre preme contro il mio in una muta richiesta; ci stacchiamo ansimanti mentre mi pare di sentire i pensieri della gente:
-La donna del soldato, lui è finalmente arrivato a casa-

Abbracciati voliamo alla macchina, sotto la neve, scivolando, ridendo, io sono fuori di me dalla felicità.
-Guida tu, per favore, sono troppo eccitata, ma non correre, tanto l'albergo è qui vicino, lo sai-
Clandestini, noi; dopo 12 anni siamo ancora dei clandestini destinati a esserlo per sempre, oltre la morte.
In macchina scende un silenzio denso d'attesa, palpabile, appena interrotto da qualche frase, da risposte stentate, monosillabiche. Ti guardo di sottecchi le mani, forti, agili, dalle dita fatte per suonare Rachmaninov non per tenere in mano una M12, tu fai lo stesso con me fino a che:
-Apri il cappotto, tira su la gonna, fammi vedere-
me lo ordini e io, anche se siamo quasi arrivati, ubbidisco senza fiatare.
Slaccio il lungo cappotto, faccio scivolare in alto la gonna, mentre il respiro si blocca in gola.
Allora appare l'oro delle calze, fili brillanti nella seta con il bordo di fitto pizzo pesantemente decorato, barocco, corona di lussuria; e poi il delta nudo, come un frutto maturo da cogliere tra quella preziosità.
Mi abbandono sul sedile, il capo reclinato all'indietro mentre tu sospiri solamente e mormori:
-L'oro di una cortigiana di Bisanzio, la valle delle rose più bella del mondo- e mi passi una mano prima sul pizzo del bordo e poi sul sesso, a taglio.

-Siamo arrivati-mormori- non è possibile desiderare di più una donna, ti ho pensato per tutto il viaggio-
-Faremo un gioco e tu hai capito quale vero? Mi leggi nella mente, da sempre, vorrei morirci di piacere oggi in quel letto, amore mio-
E la mia voce è un soffio mentre mi ricompongo.

La camera del K.Hotel è carica di stucchi, barocca, una camera per la lussuria, un rifugio blindato contro il mondo esterno.
Mi allontano da te, che ti limiti a gettare la giacca di pelle su una poltrona e resti a guardarmi: il rito d'Eros è cominciato, siamo in perfetta sintonia. Di fronte al grande specchio mi spoglio, cappotto, stivali, gonna e pull a terra per restare davanti al cristallo nuda, orgogliosa, solo l'oro delle calze e il bordo pesante scintillano nella tenue luce soffusa ad arte. Dietro di me ti vedo riflesso, immobile gli occhi ridotti a due fessure, le mani lungo i fianchi.
Mi avvicino allo specchio e premo il corpo contro quel gelo, protendendo in avanti il ventre, baciando la mia immagine con la bocca e con quelle altre labbra di femmina che ardono.
Mi arrivi alle spalle velocissimo per prendermi tra le braccia e buttarmi sul letto: apro le gambe nell'offerta, guardandoti fisso:
-Ti amo, da sempre; sei la mia maledizione e la mia ragione di vita, tu sei...-
Non mi fai continuare, mi premi una mano sulla bocca, mentre ti chini su di me per baciarmi il sesso, con tenerezza e io chiudo gli occhi in attesa.
-Bendami, il piacere di guardare il tuo corpo voglio conservarlo per dopo, ora ti immaginerò, per scolpirti nella mente, a modo mio-
Sento un fruscìo e il peso del tuo corpo sul letto, poi:
- Ti bendo con la cravatta, con il mio odore-
Sollevo il capo per facilitarti la manovra e i mei occhi non possono più aprirsi mentre il tuo odore/sapore mi stravolge facendomi lacrimare il ventre.

Non ti spogli non sento altri rumori se non il fruscìo delle tue mani che lentamente mi sfilano le calze , accarezzandomi, facendomi inarcare la schiena, gemere come una cagna in calore.
Perché ora sono solo quello, la lingua sulle labbra aride a pregustare il piacere che mi verrà da te.
Gentilmente mi avvicini le gambe, ma è stretto il nodo con cui mi imprigioni le caviglie
nell'oro di seta e pizzo, come lo è altrettanto quello che mi stringe i polsi, le braccia allungate sopra la testa.
Ora sono immobile e cieca: un corpo bruno da cui si sprigionano note di eccitazione, una bocca che geme piano.
Cerco di allargare un poco le gambe, non ci riesco è faticoso, ti voglio come non mai , ma resto muta, so che non devo parlare, solo ascoltare il tuo respiro.

Allora le tue mani si muovono sopra di me, le dita, lunghe e agili , vanno a tuffarsi nel folto bruno dei capelli, sparpagliandoli a raggiera sul lenzuolo. Quasi acconciassi una bambola o una vittima sacrificale. All'improvviso si leva un vento leggero che soffia tenero sul mio corpo, facendomi rabbrividire.
Desiderio, amorosa attesa, gioia. Con tocco d'artista mi scolpisci gli occhi, la bocca, le orecchie, come se prima non fossero stati altro che grezza materia. Impalpabile il vento delle tue dita ridisegna il mio corpo, passando a volte come un fresco tepore, a volte indugiando, su e giù, fino a divenire brezza insopportabile.
Ora scala i mille gradini dei seni fino alla loro sommità, alle piccole scure frecce di carne dove indugi tracciando cerchi concentrici attorno alle fragole rosso-cupo delle areole per scendere poi sul ventre piatto, percorrendolo quasi fosse una pianura, girando intorno all'ombelico, minuscola conchiglia vuota.
Qui le tue mani sono pennelli sapientemente maneggiati che in dotto volteggio insistono in linee dapprima spesse per disperdersi poi in altre più sottili che completano un magico ideogramma.
Ideogrammi, vento, che come zefiro si avvicina al mio giardino segreto, nudo di carne nuda.
Vorrei che i morbidi intrichi del mio sesso fossero petali di orchidea, per essere accarezzata da te come un fiore raro e prezioso.
Vorrei che il vento, così come gioca con le curve, i recessi e gli stami di quel fiore-labirinto, penetrasse nell'universo altrettanto tortuoso della mia ferita.
Fiore-ferita.
Il vento turbinante nel suo dedalo giunge in lunghi soffi, seguendo i viali spogli, i solchi laterali segreti come un esercito di aquiloni che conosce bene il territorio da occupare.
D'un tratto, invasi quei recessi, diventa burrasca pronta ad assalire la gemma rosata che separa quelle forre.
E comincia a girare vorticosamente intorno alla cima, un merletto delle alture, un monticello tenero.
Il vento è implacabile, con instancabile violenza attacca il chicco di rubino pallido mentre io respiro e vivo solo per quel bocciolo, quella corolla di me stessa che invia in ogni più remoto angolo del corpo onde e lampi di piacere, colpi di gong, battiti cardiaci accellerati.
Mi pare di morir d'arsura, terra ricoperta all'infinito da ossa di persone morte nel vano miraggio dell'acqua.
Ora la dolcezza delle tue dita diventa vento di supplizio fino a quando un ciclone si abbatte sulla mia carne calcinata mentre miliardi di lance liquide finalmente scendono a bagnarmi.
Grido sinistro, quasi di martirio, il mio, che tuttavia è quello della gioia, della beatitudine, dell'estasi, che però subito si tramuta in ingorda preghiera:
-Ora , ti voglio, ora, non farmi più aspettare-
-Sì amore mio, sì, stai ferma, grida se ti faccio male, voglio sentirti urlare, per tutti gli altri uomini che hai avuto, che hai, per...
-Per tutte le tue donne- vorrei urlarti, invece:
- Assicurati che le braccia siano legate strette, altrimenti le mie unghie ti saran coltelli-
E sei sopra di me, ancora vestito, la stoffa ruvida dei pantaloni a graffiarmi il ventre, il sesso rigido e imperioso che cerca di farsi strada tra le cosce che mi sforzo di allargare il più possibile, ma una fitta di dolore alle caviglie mi blocca; intanto con una mano d'acciaio mi tieni fermi i polsi sopra la testa e la tua bocca divora la mia.
Spingi sempre più forte, mi fai male, il mio urlo si blocca nella tua bocca fino a che entri in me , dentro il ventre che ti aspetta famelico: mi divincolo per muovere i fianchi, mentre tu mi mormori nei capelli parole senza senso, poi scendi a mordermi i capezzoli, con rabbia, dolore e piacere, piacere dolore, ti lacero un labbro con i denti, bevo il tuo sangue mentre le spinte si fanno più violente, io non resisto più, mi arrendo all'orgasmo, te ne accorgi e ti svuoti in me senza un grido, solo un gemito prolungato, di liberazione, mentre io ti seguo
ruotando ancora intorno al tuo fallo eretto fino a scordare tutto nella petite mort .
Ora mi rendo conto di quanto strettamente ti tenevo dentro di me, le caviglie e i polsi sono indolenziti, il ventre mi brucia, ma non mi lamento.

Poi sei tu che mi liberi baciandomi le caviglie e i polsi profondamente segnati: ti inginocchi a infilarmi le calze, ora le dita suonano davvero Racmaninov sulle mie gambe. Infine mi sbendi e io, sollevata su un gomito ti guardo spogliarti, ammirando con golosità quel corpo che adoro.
Venendo verso il letto, mormori:
-Tienilo addosso tutto quell'oro, voglio ricordarti così, amore mio, per tutti i giorni a venire-
Ma io non ti faccio finire, con un grido di esultanza ti salgo sopra, le cosce strette ai tuoi fianchi, la seta scintillante che ti accarezza mentre la tua bocca famelica mi cerca i seni...




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