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Racconto n° 4300
Autore: Morgause Altri racconti di Morgause
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La Lupa
Comincia così, con soprassalti sempre più frequenti, soprattutto di notte; al mio risveglio l'esaltazione sale, incontrollabile e scatenata.
Allora so che devo placare la mia fame affrontando i labirinti oscuri della mente e del corpo.
Tu che spesso mi dormi accanto, con il tuo viso pulito di giovane uomo che sogna con me casa e famiglia neppure ti accorgi di questi miei notturni incubi, quando mi risveglio con gli occhi aperti nella notte e il cuore che batte tra le costole chiedendo di uscire.
Jekyll e Hyde in me convivono da tempo.
Così, quando questa mia fame si fa insopportabile, quando il mio demone chiede quello che non posso e non voglio negargli allora Jekyll fa sua una notte, per saziarsi.
E niente lo può fermare, neppure la morte.
L'unico accorgiamento che uso per non esser riconosciuta, io, una professionista seria che
pur di arrivare alla meta che si è prefissa darebbe via l'anima- e forse davvero ho stipulato un contratto infernale senza saperlo- è una parrucca, corta e liscia , con una lunga frangia, castano dorata che copre i miei lunghi capelli neri e ricciuti.
Quando mi guardo allo specchio prima di uscire noto la solita trasformazione del corpo: gli occhi diventano statici, le iridi paion di marmo, verdastre, opache; le labbra si gonfiano e i denti sembrano ancor più grandi e bianchi; la mascella si allunga, dando al mio viso una forma appuntita, a cuore.
E il resto, carne di ibrida donna vestita sommariamente di una gonna corta di pelle nera e di un top identico, si snoda, sembra non aver più ossa, braccia e gambe paiono allungarsi e la camminata si fa lunga: divoro l'aria con i piedi che si muovono su alti tacchi dorati.
Tace la ragione, acuiti allo spasimo i sensi, sento batter il cuore d'un umano a metri di distanza.
I capezzoli son rigidi, e il ventre ha spasmi crudeli, mentre pregusto quel pasto che avrò, tra breve, quel piacere sublime che potrò raggiungere uccidendo Hyde per qualche ora.
La Voce che ormai conosco mi alita sul collo:
-Forza, andiamo , ho fame-
Ma nello specchio, dietro di me, non c'è nessuno.
Tra le cosce sono umida, a stento controllo il respiro.
Afferro il solito borsone di pelle da portare a tracolla e scendo direttamente dall'appartamento al garage; nessuno in giro, è già tardi, salgo in macchina: so dove dirigermi, alla città vecchia, per i vicoli che san di urina stantia e di acqua marcia di lago, di vomito e di pizze appena sfornate.
Lascio l'anonima utilitaria bianca e comincio a scendere per una delle sordide viuzze che mi trovo di fronte: subito due uomini mi apostrofano con pesanti complimenti, accompagnati da gesti osceni.
Li guardo: no, non saranno loro a sfamarmi.
Quando si avvicinano, bloccandomi la strada, li fisso negli occhi: allora mi - vedono - davvero e fanno un passo indietro.
Anche perché un coltello a serramanico dalla lama tagliente è comparso nella mia mano insieme alla voglia di uccidere.
-No, fermati, non è ancora il nostro tempo-
mormora la Voce carezzevole d'uomo al mio orecchio.

La loro mente realizza e retrocedono di fronte al mio strano sorriso per sparire in un vicolo laterale.
Cammino ancora un poco, senza incontrar nessuno, fino a che non vedo l'insegna di un pub: guardo dentro, mi pare sufficentemente sporco e affollato di uomini giovani.
Non ci sono mai stata, del resto questa è una zona della città vecchia che non ho ancora battuto.
Entro e per un attimo il vociare si ferma: conosco l'effetto che faccio sui maschi, quando sono in cerca di quello, del cibo: emana da me un odore inselvatichito di sconosciuta femmina in calore, aspro, me lo sento addosso da sola.
Mi guardo intorno e lo vedo; la mia preda è lui, ne pregusto in bocca il sapore della carne.
Carne di giovane uomo.
E' seduto a un tavolino sporco, in un angolo, insieme a una ragzza sciatta e pesantemente truccata.
La testa completamente rasata ha una strana bellezza di giovane guerriero mongolo.
Sui 20 anni, direi, leggermente fatto non so se di alcool o d'altro
Lo voglio, la mia fame, sesso e carne, è ormai incontrollabile.
Arrivo vicino alla ragazza seduta, le stringo una spalla- dita d'acciaio ora- mormorandole:
-Vattene, lui è mio-
Lei mi guarda negli occhi.
Fiuto la sua paura, capisce di esser in pericolo, forse ha il dono della vista oscura senza saperlo: sente, come in un lampo, una delle mie mani dalle unghie come artigli squarciarle il petto.
E si alza in fretta.
Mi siedo di fronte al ragazzo, che mi guarda , assente.
-Sei una puttana?-mi domanda accendendo una sigaretta
-No, solo una che ha voglia di un uomo come te-
Non lo spavento, se mai vedo brillare una luce di curiosità in quegli occhi annebbiati e lontani.
-Possiamo uscir di qui e andare a parlare da qualche parte? ti pagherò, i soldi servono sempre, vero tesoro?-
Lui annuisce, si alza, barcolla leggermente
-Andiamo a casa mia, sorella, abito qui vicino, ma chi sei, la fata dai capelli turchini? Una come te che può volere da uno come me? -
Ha un odore penetrante, di sudore leggero, fumo e clorofilla, sì, tipo gomma americana.
In silenzio arriviamo a casa sua, che effettivamente è a due passi dal pub.
Mi trovo nel suo appartamento: due stanze buie, in disordine, che danno su un vicolo, e sanno di chiuso e di abbandono.
Sul pavimento della cucina son sparse alcune ciotole per gatti.
-Mi chiamo Nico e tu?- dice il ragazzo, stravaccandosi sul divano.
-Eva- è il primo nome che mi viene in mente.
E mi siedo di fronte a lui, le gambe aperte, sotto non porto slip; lui guarda e si lecca le labbra.
-Mi darai anche dei soldi?- mormora – caspita è la mia notte fortunata questa-
-Non saprai mai quanto- mormoro tra me
Lui ha un lungo brivido, ora ha letto qualche cosa al di là del mio sguardo di donna vogliosa.
-Ma chi sei, mi fai quasi paura-

-Tranquillo, ragazzo, voglio solo un uomo stanotte, e voglio te; e ti piacerà vedrai, ti pagherò, o sì che ti pagherò: ora però lasciami fare-
Mi spoglio in un momento, e mi alzo in piedi, perché la mia preda mi veda bene:
-Cazzo, sei una modella? sei bellissima- dice lui, cercando di allungar le mani verso di me
Ma io son più veloce.
Mi inginocchio e gli scivolo sopra, gli apro i pantaloni e inizio lavoramelo di bocca, con esaltante perizia.
La mia mente è un mare di onde rosse: la fame più urgente ora è quella del piacere che devo soddisfare.
Il ragazzo è pronto, geme e mormora parole sconnesse; allora le mie labbra fameliche si spostano sui suoi capezzoli che sono una delizia, sul collo liscio e delicato come quello di una donna e infine sulla sua bocca in cui mi perdo mentre con un lento affondo d'anche lo prendo dentro di me.
E poi è buio di fianchi che ruotano come in una danza derviscia , di seni che le sue mani afferrano con ingordigia, di piacere che sale come marea, fino a tracimare nel sole di un orgasmo che arriva finalmente a placare -una- fame.
Il giovane guerriero mongolo con un'ultima spinta si sfinisce nel mio ventre famelico, in silenzio, rovesciando la testa all'indietro sulla spalliera del sudicio divano.
Allora riconosco il mio Demone: eccolo, è arrivato, è alle mie spalle, le sue mani sui seni ancora gonfi di eccitazione.
Sta per iniziare il nostro banchetto.

-Cavolo, mai provata una cosa simile, sei una bomba, sorella- dice Nico restando abbandonato, la gola bianchissima offerta.
-Ora, è il momento, ora, amoremiogrande- mormora la voce.

Il ragazzo fa in tempo a spalancar gli occhi e la bocca in un grido muto, prima che le mie
unghie, affilate come rasoi, con una zampata gli taglino la gola.
E resta lì, a fissar l'orrore del mio viso per l'ultima volta.
Poi...ho ricordi confusi: è facile squarciare il petto e mangiare il cuore, insieme ai grappoli perlacei dei polmoni mentre Lui , che azzanna e divora insieme a me, mi sospira nell'orecchio:
-Sei la mia preferita, tu, la sola-

Mi ritrovo, come sempre succede, in una doccia dal pavimento sporco, mentre sotto il getto d'acqua il sangue scivola dal mio corpo verso lo scarico.
Sono felice, tranquilla, saziata.
Non vedo l'ora di tornare a casa, da te.
Mi rivesto con quel che ho portato nel borsone: pantaloni e maglietta, ai piedi scarpe da ginnastica.
Inforco gli occhiali da vista e tiro indietro i capelli ancora umidi.
Raccolgo da terra gli abiti vecchi senza curarmi del fantoccio di carne fatto a pezzi rimasto sul divano né del sangue che bagna il pavimento.
Poi esco, tranquilla, con andatura da ginnasta, mordicchiandomi le unghie di una mano, tanto lo so che nessuno mi scoprirà mai.



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