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Racconto n° 4304
Autore: morgause Altri racconti di morgause
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La sete di sangue della Bellezza
Questa è la vera storia di un giovane mercante napoletano di nome Francesco che visse a Napoli nel quattordicesimo secolo
L'uomo girava il mondo per comprare e vendere pietre preziose, ma soprattutto per placare la sua insaziabile sete di conoscenza.
Affascinato dalla medicina e dall'astronomia, era interessato anche agli usi e costumi dei popoli che incontrava sul suo cammino: amava studiarne la cucina, la religione e le pratiche amorose.
Prendeva appunti di viaggio, con l'intento di riordinarli poi, una volta tornato a casa a Napoli: sarebbero andati ad arricchire la sua vasta biblioteca.
Era travolto dalla Bellezza e dalle donne che, per lui, ne erano l'essenza stessa, manifestazione della divinità su questa terra.
Lo stregavano a ogni latitudine, sotto qualsiasi cielo.
Avvenne che nel suo viaggiare arrivasse a Bagdad, la città di cui tanto aveva sentito parlare.
Giunse con una carovana di mercanti come lui, che percorreva la via della seta.
La mitica città dove alla corte del Califfo Harun Al Rashi erano state ambientate le Mille e una Notte di cui tanto Francesco aveva sentito raccontare, termine occidentale della via della seta e settentrionale delle rotte marittime dalle Indie, era quanto mai animata e vitale: s'incrociavano per le strette vie della capitale orientale lingue di ogni parte del mondo conosciuto.
Rimase conquistato dai suoi giardini profumati di rose di tutte le varietà e colori - sapeva che i persiani avevano una passione per questo fiore - ricchi di ruscelli e di uccelli dai vistosi piumaggi che li rendevano simili a paradisi terrestri.
Vide il ponte di barche che attraversava il fiume Dijlah, il Tigri, e lo percorse con il suo cavallo per immergersi nel brulicar di uomini e animali che affollavano il lungofiume di Bagdad.
Sapeva che il Signore della città, chiamato Scià, aveva raccolto intorno a sé i migliori astronomi allora viventi.
In quel momento erano proprio le rotte celesti a interessare di più Francesco; decise quindi di chiedere udienza al sovrano per poter conferire con i sapienti persiani.
Mentre si dirigeva verso il quartiere karhk, precluso a tutti al di fuori della corte, fu attratto da una strana donna avvolta in un chador rosso che mal si confaceva alla sua età avanzata, che intuì per le mani grinzose e le dita deformate dall'artrosi.
Leggeva la fortuna ai passanti tracciando strani segni sul terreno.
Incuriosito le si avvicinò: la donna alzò gli occhi neri e lucidi e senza parlare mosse la sabbia ai suoi piedi, tracciando con una bacchetta magici segni; poi mormorò:
-Guardati dalla sete di sangue della bellezza-

Francesco rimase un attimo a fissarla negli occhi, scrollò il capo, le diede una moneta, risalì a cavallo e si allontanò.
Arrivò davanti alla Porta d'oro che immetteva nell'enorme cortile di fronte al palazzo dello Scià, parlò con le guardie, mostrando loro un salvacondotto e chiedendo di conferire con il Sovrano, spiegandone i motivi. Sapeva che era un uomo di scienza, molto curioso per tutto ciò che riguardava l'Occidente e il suo sapere.
Di lì a poco fu accolto a palazzo con ogni riguardo e condotto al cospetto del re.
Si trovò in una sala tappezzata di splendidi arazzi che ricoprivano anche il pavimento.
In mezzo a un mucchio di cuscini stava sdraiato lo Scià.
Francesco si stupì, ben sapendo che il paese era mussulmano, di vedere accanto a lui distesa una bella e formosa donna e un'altra, un poco in disparte, che teneva il viso abbassato. Dunque, anche le donne erano ammesse alle cure del regno.
Capì di trovarsi di fronte alla prima consorte e forse alla principessa figlia, fanciulla in giovanissima età.

Ebbe modo di constatare che i persiani non soffocavano le loro femmine al modo dei musulmani: i loro occhi erano visibili al di sopra di un chador che mostrava in trasparenza il naso, la bocca e il mento.
Indossavano poi una blusa e un corpetto, mentre le gambe erano avvolte dal pi-jamah.
Tuttavia questi indumenti non erano pesanti e molteplici come quelli delle donne arabe ma leggeri e traslucidi, per cui le forme dei loro corpi potevano essere apprezzate facilmente.
Francesco venne presentato ai saggi astronomi di corte, e dopo lo scambio dei saluti di rito, fu invitato a ritirarsi nei suoi appartamenti fino all'ora di cena, quando tutti insieme avrebbero ripreso la conversazione.
Il mercante si inchinò doverosamente e quando rialzò lo sguardo incontrò due meravigliosi occhi verdi che lo fissavano.
Erano quelli della principessa Sole, la figlia prediletta dello Scià.

La ragazza s'era avvicinata in silenzio, curiosa di vedere un occidentale da vicino: il padre, ridendo, disse che era la prima volta per lei.
Giovanissima, alta e di carnagione chiara, dalle sopracciglia scure e dagli occhi color del mare in tempesta aveva un corpo che risplendeva sotto i veli leggeri.
Francesco sentì la morsa improvvisa del desiderio - era forzatamente casto da tempo - e quella era la donna più eccitante che avesse mai incontrato.
Lo sguardo di lei era carico di promesse, pareva trasmettergli un messaggio, che non poteva aspettare.
Il mercante uscì fuori, confuso ed eccitato.
Accompagnato da un servo percorse un lungo corridoio e alla fine di questo si trovò di fronte uno spettacolo straordinario: una grande aiuola circolare, divisa in dodici spicchi, ognuno dei quali conteneva fiori diversi. Tutti nello stadio della fioritura, ma in dieci spicchi i petali erano chiusi, mentre nei due rimanenti si stavano aprendo mostrando carnosi petali bianchi e rosa che riempivano l'aria del loro profumo.
-E' la gulsa'at, la meridiana dei fiori. - mormorò vicino a lui la voce della principessa Sole, che continuò:
- Ogni varietà di fiori si schiude spontaneamente a una certa ora del giorno o della notte e si richiude a un'altra. Silenziosamente annunciano ognuna delle dodici ore che contiamo da tramonto a tramonto-
- E' una cosa stupenda. Stupenda come voi, Principessa. - mormorò Francesco, guardandola negli occhi.
Intanto si accorse che il servo era sparito e capì che i due erano d'accordo.
La sua eccitazione crebbe ancora.
Fu lieto d'avere indosso un ampio pi-jamah, che nascondeva in qualche modo l'erezione.
Lei dovette però intuirla, perché lo prese per mano e lo portò al riparo di alcuni alberi.
Lì, bruscamente, chiese:
-Vorreste fare l'amore con me, vero?-
Francesco rimase senza fiato, tanto quelle parole gli parevano impossibili sulle labbra di una ragazza così giovane e di tal rango.
Lei continuò, guardandolo con una leggera aria di scherno:
- Possiamo farlo, senza che nessuno si accorga di niente. Venite stanotte nelle mie stanze, manderò una schiava a prendervi. Vi avviso: ci sarà una condizione che dovrete rispettare, ma state tranquillo, non avrete da lamentarvi, vedrete-
Si allontanò poi silenziosa e così in fretta che il mercante stropicciò gli occhi per convincersi di non aver sognato.
Lo stato d'eccitazione in cui si ritrovava denunciava però la realtà di quanto accaduto.
Seguendo il servo, miracolosamente ricomparso al suo fianco, si avviò verso le stanze che gli erano state assegnate.

Durante il primo incontro con i sapienti dello Scià, non fu molto attento: il suo pensiero correva in continuazione all'appuntamento amoroso con la bella Sole e al mistero che l'accompagnava.
Finalmente, preceduto da una schiava per i meandri del palazzo reale, arrivò alle stanze di lei.
Sole lo chiamò e Francesco, guidato da voce suadente, si ritrovò nella camera da letto, in una confusione tumultuosa di trasparenti tende multicolori e arazzi scintillanti che rivestivano le pareti.
Il pavimento – all'infuori di dove erano poste meravigliose lampade la cui luce danzava sulle pareti in magici riflessi - era sommerso di cuscini, anche questi dei colori dell'arcobaleno.
Lei stava in piedi, priva di chador, gli occhi verdi, brillanti, fissavano i suoi.
-Benvenuto nelle mie stanze Mizra Francesco. – mormorò - Eccovi quello che tanto desiderate –
Così dicendo sciolse l'unico che sosteneva le vesti impalpabili. Scivolarono a terra, lasciandola nuda di fronte all'uomo, nella luce calda delle lampade, vestita solo della propria bellezza, un sorriso provocante e un unico ornamento: un mazzolino di tre ciliegie vivide e rosse nei capelli.
Sullo sfondo chiaro della parete il candore del suo corpo era ravvivato dal verde degli occhi, dal rubino delle ciliegie, dal nero-blu dei capelli e del triangolo ricciuto tra le cosce. I capezzoli impertinenti che s'ergevano su dei seni di marmo erano brillanti chicchi di melograno.
Lui ansimava, quasi avesse attraversato di corsa l'intera Bagdad per arrivare fino a lei, in quella stanza incantata.
Allungò le braccia per afferrarla, ma Sole si scostò, veloce come un gatto.
- Aspettate, mio signore, vi avevo parlato di una condizione-
- Sì - mormorò lui con voce roca di desiderio: in quel momento avrebbe dato la vita pur di averla.
-Prima di tutto io sono vergine e devo rimanere tale. Se la mia membrana della verginità venisse lacerata, nessun Principe di sangue reale mi vorrebbe più, sarei fortunata se non mi decapitassero per essermi concessa così impudentemente-

Sorrise nel vedere l'espressione costernata dell'uomo e continuò:
-Noi faremo l'amore e non lo faremo, ascoltate: ho una sorella, che amo molto, bellissima e sfortunata. Tempo fa fu rapita dal capo di alcune tribù nostre nemiche, che la desiderava da tempo. Come la ebbe in suo potere la violentò; poi la diede in regalo ai suoi ufficiali che ne fecero la loro puttana. Non ne sapemmo più nulla fino a poco tempo fa, quando ritornò, immaginate in quali condizioni. Era riuscita a fuggire e ci raccontò delle violenze subite; mio padre avrebbe dovuto farla decapitare per riscattare la famiglia reale dalla vergogna di cui anche il popolo era venuto a conoscenza ma non ebbe il coraggio di dare un tale ordine; così la costrinse a restare chiusa per sempre nelle sue stanze, ricoperta di drappi pesanti; le erano concessi solo due buchi per gli occhi. Nessuno avrebbe più dovuto nominarla.

In pratica ha seppellito viva la mia povera sorella. Luna, questo è il suo nome, da quel giorno molto spesso rimpiange di non essere morta, sia perché si vergogna moltissimo di essere stata disonorata a quel modo sia perché la prigione eterna è condanna troppo dura da sopportare. Più di tutto la principessa soffre di una fame inconsueta e insaziabile: infatti, dopo aver conosciuto l'uomo, anche se in situazione così infausta, è rimasta preda di un desiderio vivissimo per quella parte che voi maschi avete tanto cara. Io ho trovato il modo di aiutare la poveretta. Ascoltate: voi vi sdraierete supino e io mi metterò a cavalcioni sul vostro corpo, in modo che mi abbiate sempre di fronte. Mentre noi due godremo delle nostre mani e bocche e quant'altro ci verrà in mente, mia sorella dietro di me scivolerà su di voi, facendo in modo che non la vediate, che troppa è la sua vergogna, come già ho detto. Nel frattempo, Mizra Francesco, vedrete e toccherete solo me. Ci ecciteremo fino al delirio, per cui quando la mirhab di Luna vi circonderà voi spargerete il seme dentro di lei e non vi accorgerete davvero della differenza, ma guai se parlerete con qualcuno di tutto questo.
- Tutto ciò è grottesco. - ribatté Francesco, frastornato.
- Puoi rifiutare, se vuoi. - mormorò Sole sfiorandolo con i seni e passando disinvolta al tu, mentre un sorrisetto malizioso le animava la bocca.
Per tutta risposta Francesco si spogliò sdraiandosi sul letto dai cuscini multicolori, mentre la principessa andava in giro a spegnere le luci, ma lasciando accese soltanto quelle vicino a loro.
Quindi drappeggiò il proprio corpo intorno alla vita del giovane e iniziò ad accarezzarlo con dita di farfalla, soffermandosi lieve sugli occhi, sulla bocca, lungo i contorni del viso, fino ai capezzoli.
Poi gli infilò due dita in bocca perché lui le leccasse.
Con quelle, bagnate della sua saliva, cominciò a titillarsi i capezzoli, mentre i lunghi capelli le ondeggiavano intorno come un mantello di seta scura.
Il giovane la guardava ipnotizzato. Sole tese una mano dietro per accarezzare quella parte di lui eccitata allo spasimo. Ciò procurò a Francesco un'insopprimibile urgenza di piacere, tanto che, se la ragazza non fosse stata accorta nel somministrare le sue carezze, avrebbe di certo eiaculato in aria.

Lui le toccava il sesso, morbido e caldo, passando le dita tra quelle labbra rosee, giocando con i neri riccioli, stando ben attento a non penetrarla, fino a che la principessa, le pupille dilatate e le labbra umide e aperte sui denti bianchissimi non gli si mise a cavalcioni sul torace, il pube contro il viso, mormorando: - La lingua non può lacerare la membrana della verginità. Usala come vuoi, ma dammi piacere.-
S'accorse che quel fiore di femmina sapeva di felci, umide di rugiada.
Provò per la prima volta una strana sensazione: gli parve che là sotto, un'altra lingua incontrasse la sua, avvolgendola in uno strano eccitante bacio in grado di procurare alla donna un parossismo di piacere incessante, diminuito a volte d'intensità come il lamento che l'accompagnava, un canto senza parole.
Quando Francesco eiaculò, pensò davvero di averlo fatto dentro di lei.
Solo quando ricominciò a connettere s'accorse che un'altra femmina cavalcava la metà inferiore del suo corpo: la sorella reclusa Luna.
S'accorse anche di uno strano profumo: rose e carne corrotta, come un insolito, sottile, odoroso marciume; in verità questo aroma lo eccitò ancor più, pensò addirittura a una qualche essenza afrodisiaca.
Dal peso leggero che sentiva su di sé ne dedusse che la seconda donna era piccola e fragile.
Stava per parlarne alla principessa ma lei di nuovo lo incalzava, con baci e carezze, finché lui ricominciò a fare del suo meglio per mandarla sempre più lontano e più in alto, fino al tetto del piacere.
Più volte si unì a lei in questa sublime esultanza e di conseguenza varie volte eiaculò nella mihrab estranea, senza curarsi in realtà di sapere a chi appartenesse.

Questo gioco amoroso durò per parecchie notti. Di giorno Francesco deliziava la mente incontrando medici e astronomi di corte e mai il suo cervello fu tanto recettivo.
Intanto, fatalmente, fantasticava sulla principessa Luna, immaginando che non fosse vera la storia raccontata da Sole: in verità lei era una fanciulla bellissima che aveva avuto un solo grande amore, forse un principe nemico, e che per punizione e per invidia delle altre donne, Sole compresa, fosse tenuta prigioniera.
Così, quando di notte labbra che non conosceva gli baciavano il fallo, ingoiandolo ed eccitandolo con perizia, immaginava una bocca di melograno con perle al posto dei denti.

Un giorno le delizie della carne dovettero terminare: la carovana ebbe a ripartire. Arrivarono, infatti, notizie di una probabile invasione nemica con il consiglio di rimettersi in cammino.
La decisione fu improvvisa, tanto che Francesco non ebbe tempo d'aspettare la notte per salutare la principessa, dovette recarsi subito dallo Scià a prender congedo e ringraziare per l'ospitalità e la disponibilità sua e dei suoi Sapienti.
Il sovrano si mostrò dispiaciuto per l'improvvisa partenza dello straniero che aveva imparato a stimare molto, aggiungendo con fare malizioso che forse anche sua figlia, la principessa Sole, lo sarebbe stata.
Allora Francesco, senza pensarci, disse:
- Infatti, mio signore, vorrei pregarvi di porgere i miei saluti più sinceri, con tutta la mia ammirazione, alla principessa Sole e anche alla sorella che ha il nome del bianco astro notturno-
Non finì la frase, l'espressione impietrita del sovrano lo bloccò.
Capì che stava rischiando la testa. Che cosa gli aveva raccomandato Sole? La sorella era da considerarsi morta per la famiglia, il disonore ne aveva fatto una sepolta viva.
Di colpo però il viso dello Scià si distese e sorrise, con tristezza: - Allora avete saputo, Mizra Francesco, della sventura capitata all'altra mia povera figliola. La lebbra è una malattia che non perdona, non solo fu disonorata ma anche infettata da quell'orrendo morbo. Per questo la poveretta è confinata nelle sue stanze, da dove non uscirà mai più viva-
Ora fu il giovane a restare impietrito, mentre il gelo della paura saliva su, dalle gambe al petto, attanagliandogli il cuore.
Da dietro una spessa tenda si udì un risolino beffardo, come un gorgoglio di fontana.
Ricordò immediatamente le parole della vecchia, giù al fiume:
- Guardati dalla sete di sangue della bellezza-














morgause

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