Guardo fuori della finestra: il sole sopra la neve agita riflessi rossastri, roghi sparsi su tutto quel bianco.
Sono accovacciata nella vecchia poltrona vicino al camino acceso con il portatile in grembo e questo incendio invernale mi ricorda te, mia bellissima, che dormi nel lettone ignara di quello che sto scrivendo.
Ti guardo attraverso la porta spalancata della camera: il nostro rifugio sull'Apennino non è un palazzo, due stanze soltanto e un piccolo bagno.
I tuoi capelli rossi risplendono sul cuscino; di te non si vede altro, il piumone ti copre tutta , ma il corpo...lo intuisco chiaramente sotto la pesante coperta.
L'ho ancora nelle dita la tua carne bianca di rossa, soda e tenera, tutta da divorare.
Il mio pasto di questa notte, vera abboffata dei sensi.
Forse in altre epoche ti avrei anche sbranata, per tenerti per sempre con me.
Quando ci siamo incontrate e subito prese, ho pensato a te come a una donna di Renoir dalla pelle lentigginosa e lattea, con lunghe gambe dalle cosce piene, come i seni e le anche, snella di vita, le braccia e il collo esili, il viso molto più giovane dei tuoi anni, gli occhi verdastri striati di marrone, dalle strane palpebre socchiuse a filtrare lo sguardo ammiccante.
Ho notato con un brivido di eccitazione la tua bocca carnosa, grande, con il labbro superiore a forma di cuore e l'altro rigonfio, una bocca sensuale, da riempire di baci, con il mento tondo abbellito dalla fossetta nel centro e i capelli, una selva soffice, gonfia, una fiamma a coprire la fronte e le orecchie.
Una testa da paggio o meglio da cherubino.
Mentre ti guardavo mi sentivo stordire da quello strano odore che alcune donne emanano; è il profumo di un nettare, di un miele che viene fuori dalla loro pelle, dai capelli, dalla peluria , da tutto.
E che ha il potere di rendere vana ogni difesa della mente e dei sensi.
Così, mentre tu parlavi, il viso già complice accostato al mio in quella confidenza tenera che a volte si instaura subito tra femmine ho sentito una straordinaria dolcezza sciogliermi le ossa e rendermi debolissima, tanto presa dal desiderio di te da vergognarmene.
Allora ti ho proposto questo fine settimana nel mio rifugio, tra la neve, e tu accettasti subito con entusiasmo; dicesti che volevi allontanarti anche solo per due giorni dal tuo uomo e dalla vita solita
-Che bello stare con una donna, per un intero week-end; ne ho bisogno Fede, ci divertiremo, vedrai- hai detto candidamente.
Così siamo partite dalla città, con il mio fuoristrada, abiti pesanti e viveri.
Lungo il cammino abbiamo cantato a squarciagola le canzoni di Vasco, l'Unico, una comune passione.
Dentro la macchina l'atmosfera era già rovente, l'odore di sesso tutto al femminile si tagliava tanto era denso ed io per la prima volta dopo parecchi giorni mi sentivo felicemente eccitata, pregustando quello che mi aspettava, che ci aspettava, perché non avevo dubbi che anche tu volessi quello che volevo io.
Ti è piaciuto subito il mio rifugio, una autentica casa delle fate sommersa da pini e castagni, in completa solitudine.
In effetti l'ultima abbondante nevicata conferiva al paesaggio forme e colori di magia.
-Ma è proprio come me l'avevi descritta, Fede, ci mancano solo i folletti e gli gnomi-
dicesti scendendo dal Nissan pick-up e sprofondando nella neve con i tuoi stivali cittadini.
Poi ci demmo da fare, una volta sistemata la macchina nella baracca che funge da garage, a portare in casa i bagagli.
Cominciasti a saltare rabbrividendo per il gelo delle stanzette. Dalla volta precedente avevo lasciato nel ripostiglio legna in abbondanza e subito mi son data da fare ad accendere i grandi camini, che occupano due pareti della minuscola abitazione.
Ti meravigliasti di quanto fossi veloce a trasportar legna e abile con il fuoco. Subito l'atmosfera cambiò; ci togliemmo i giacconi e di fronte al fuoco cominciammo a spogliarci per rivestirci di indumenti più comodi...
Rivestirci?
Tremavo, nell'attesa di vederti nuda e da come ci guardammo capii che per te era lo stesso.
Allora i gesti si sono fatti lenti, studiati, perché tutte e due abbiamo l'orgoglio sfrontato del nostro corpo.
Fino a che tu, amore mio, non rimanesti con un body verde chiaro, sottile, quasi estivo, che ti fasciava il corpo, lasciando sporgere dal pube piccoli ciuffi da leoncino.
Sorrisi tra me notando che per venire in mezzo al freddo ti eri messa velatissime autoreggenti sotto stivali dai tacchi alti, anche se robusti. Mi guardasti diritto negli occhi e io in slip e reggiseno non sentivo il freddo: bruciavo di desiderio senza sentirmi per una volta la femmina che il maschio cerca di violare, conquistare , soggiogare come mi succede solitamente nella guerra amorosa che contraddistingue i miei rapporti con gli uomini e che mi porta a volere, anche se inconsciamente, sopraffare il patner tanto che buona parte del piacere sta proprio in questa specie di battaglia erotica.
Al contrario stavo annegando nella tua femminilità, nel tuo odore, mentre la lingua fremeva al pensiero di gustarti.
E non ti avevo ancora toccata.
Lo facesti tu.
Con un gesto rapido prima sfilasti il body poi mi slacciasti il reggiseno e facesti scivolar giù per le gambe lo slip.
Poi ti sei stretta a me con tutto il corpo e io sentivo le punte dei tuoi seni bucarmi, mentre spingevi il pube contro il mio, comprimendo e sfregando.
Avevi tenuto gli stivali, così le nostre bocche erano allo stesso livello: ti infilai le mani nei capelli, mi parve di entrare in un nuvola rossa, e ti baciai: un bacio profondo, affamato di te. Non trascurai la minima superficie della tua bocca, le labbra, la lingua, il palato, tanto che non so se il nostro bacio sia durato minuti oppure ore.
E rimanemmo per qualche minuto così, come due strani lottatori ubriachi che si sorreggono a vicenda per non perdere l'equilibrio. A un certo punto ti sei staccata da me e nascondendomi il viso nel collo hai cominciato a strofinarti contro una delle mie cosce, mentre le dita si intrufolavano violente nel mio sesso che ti voleva tanto da star male.
Allora ti ho spinto sul letto e finalmente ho potuto aprirti le gambe per guardare da vicino l'oggetto del mio desiderio: la micia dai riccioletti rossastri e dal monticello di carne gonfio e rigido, al di sopra delle labbra gemelle umide dei tuoi sapori.
Poi ho immerso il viso in te baciando e leccando i petali vermigli del tuo fiore per tutta la loro lunghezza, cercando il clitoride per aspirarlo, stimolarlo, bagnarlo di saliva, mentre ti facevo scivolare dentro le dita; volevo sentirti gridare, volevo il tuo piacere, volevo il tuo corpo per aprirlo e vedere come sei fatta dentro, per cercarti l'anima...
Come se mi avessi sentita, ti inarcasti contro di me gemendo per poi ricadere sul letto come una bambola di pezza, mentre io continuavo a leccarti per bere di te fino all'ultima goccia;
Che strano sapore, forse aveva ragione quel tale che diceva che a seconda del tipo di donna, bruna, rossa, bionda, castana, varia il sapore dell'intimo nettare.
Il tuo assomiglia a quello di una qualche spezia del lontano Oriente, ne sono sicura.
Ansimando mi sdraiai vicino a te abbracciandoti.
Restammo così, strette l'una all'altra in un piacere lattiginoso, snervante, anche se io avevo ancora il fuoco tra le gambe.
Mi guardasti tra l'arruffio dei capelli rossi e senza parlare ti chinasti su di me, cominciando dai seni, che succhiavi come farebbe un bimbo mordendoli leggermente, hai dei denti così piccoli, e procurandomi brividi di sovraeccitazione; poi scendesti sul ventre e mentre i miei gemiti si intensificavano, ti alzasti di colpo.
Non capii subito quale era la tua intenzione, fino a che non ti vidi prendere una bacinella, aprire la finestra e riempirla di neve
-L'ho visto fare in un film, proviamo?-
Mi preparai a stare al tuo gioco, conosco quel film, ero sicura mi sarebbe piaciuto oltre ogni limite.
Così cominciasti a deporre dei piccoli fiori di neve sui miei capezzoli, tra i seni, nell'ombelico. Gridai per il freddo tendendo i muscoli , ma subito il grido si trasformò in mormorii di piacere perchè tu leccavi con destrezza quella neve, riscaldando la pelle con la lingua bollente: mi pareva di impazzire per le mille sensazioni che il mio corpo stava provando.
E laggiù, tra le cosce, stavo bruciando al rogo dei tuoi capelli.
Mi apristi le grandi labbra con delicatezza, per deporre anche lì i tuoi fiori di neve; spalancai la bocca, ma restai muta: la sensazione acuta di freddo che equivaleva ad una scottatura, nel pensiero, nella realtà mi procurava un lancinante ambiguo piacere.
Poi la tua lingua arrivò a spegnere il calore del mio ventre, succhiando la neve , sciogliendola sulle mucose vermiglie.
Le dita erano abili quanto la bocca mentre ti pascevi del mio sesso, leccando, aspirando, odorando; mi mordesti leggermente il clitoride e l'orgasmo fu immediato, travolgente, pareva non aver fine , mentre trattenevo dentro di me, strette, le tua dita dalle unghie corte, infantili.
E poi fosti tu a sistemarti accanto a me, le braccia sul mio seno, la bocca nell'incavo tra il collo e la spalla, dove continuasti a somministarmi piccoli baci mormorando parole senza senso proprie degli amanti soddisfatti.
Ma questo era ieri pomeriggio, poi abbiamo avuto una lunga notte, una delle più belle che io ricordi, ci vorrebbe un romanzo per descriverla. Siamo tutte e due molto fantasiose.
Che sarà di noi quando torneremo nel mondo?
Non voglio pormi per ora questo problema; vedo che ti stai agitando, sei quasi sveglia, preparo un altro caffé, anche per te: mi è tornata la voglia di farti l'amore.
Morgause