Ho 29 anni, nome in codice Blade, professione: eliminatore di umani scomodi.
Preferisco questa definizione a quella di killer, perché in quest'ultima ci sono sempre implicazioni romantico-morbose: vedi libri e films sfornati a iosa sull'argomento.
Considero il mio un lavoro speciale che è sì ben pagato ma che richiede anche una grandissima professionalità, insieme a udito, odorato e tatto molto sviluppati, una mira infallibile, conoscenza perfetta di ogni tipo d'arma, leggera e pesante e infine un corpo agile, scattante, con tutti i muscoli pronti ad agire in ogni momento all'unisono.
Ho una mente asettica, non conosco né il rimorso né il rimpianto.
Non sono quasi mai me stessa: riesco a travestirmi alla velocità della luce, con il trucco e una parrucca faccio miracoli.
Normalmente, per chi mi vede per strada, sono una insignificante giovane donna con l'aria di una seria professionista oppure di un' eterna studentessa.
Anonimato, solitudine e anche parecchi soldi a disposizione: questa è la vita dell'eliminatore.
Ma questa sera, a Mexico City, la faccenda è abbastanza complicata.
Il mio incarico è difficile, altri prima di me hanno fallito.
L'indesiderato è un agente corrotto della CIA, passato al soldo di uno dei più potenti cartelli colombiani di narcotrafficanti, quello di Manuel Escobàr.
Nessuno conosce il suo vero nome, si fa chiamare Macno.
Tutte e due le agenzie, CIA ed FBI lo cercano, per motivi diversi.
E anche io, non so per conto di chi, ma se voglio incassare l'altra metà della cifra pattuita devo eliminarlo prima di loro.
L'ho scovato in un albergaccio del centro, grazie a un mio particolare informatore, al mio infallibile fiuto e ad una gran botta di fortuna.
Così, dopo averne studiato le abitudini per qualche giorno, anonima dimessa donna confusa tra la gente, oggi mi sono appostata dietro all'abbaino della casa di fronte alla sua finestra e per ore, sotto una pioggia calda e insistente, ho aspettato che rientrasse.
Di lui avevo visto solo foto sfuocate, con baffi, senza baffi, eterni occhiali scuri, cappelli dalle strane fogge in testa e alcune riprese video, piratate dall'archivio della Cia, dove compariva, ma sempre di sfuggita, al fianco di Escobàr.
Notizie della sua vita privata pressoché nulle; mille identità diverse portano all'azzeramento di ogni informazione, lo so ben io.
Alle mani porta sempre dei guanti neri, di pelle.
L'uomo sa di essere braccato e si muove con l'astuzia di un cobra, pronto a colpire in ogni momento prima di essere attaccato.
Improvvisamente la finestra di fronte a me, dall'altra parte della strada stretta e soffocante, si illumina.
E un'ombra si muove dietro ai vetri.
Impugno il mio Dragunov silenziato e guardo nel binocolo: lo vedo, accanto ad un
tavolino sgangherato, finalmente tutto per me.
Si toglie gli occhiali scuri e si passa una mano sugli occhi, volgendosi contemporaneamente verso la finestra.
Non può vedermi protetta come sono dall'abbaino, grigia nel grigio della pioggia.
Ha in testa un cappello, una specie di borsalino grigio, i capelli nerissimi lunghi fino alle spalle e un viso dagli zigomi larghi, dalla pelle scura, da indiano: sì, da qualche parte ho letto delle sue probabili origini cherokee.
Indossa sdruciti jeans e una giacca nera di pelle sopra una T-shirt a girocollo bianca.
Alle mani gli inseparabili guanti neri, ai piedi stivali fino a metà polpaccio.
Mi stupisco di quanto sia bello, gli guardo la bocca, carnosa, poco maschile.
-Spara- mi dico- falla finita, ora -
Ma in quel mentre lui si toglie i guanti e rimane così, fermo, a guardarsi le mani.
Sono tutte una cicatrice: lunghi tatuaggi biancastri, dai bordi arrossati, memorie di gravi ustioni; ma sono anche le più belle che abbia mai visto: le dita lunghe, snelle, i palmi grandi e quei fiori ruvidi di carne a ricoprirle.
La loro velocità nell'uccidere è leggendaria.
Poi l'uomo si china sul tavolino e si arrotola lentamente un cigarillo, con meticolosa attenzione.
Ma cosa mi sta succedendo?
Quelle mani mi stanno ipnotizzando, all'improvviso mi pare di sentirle non su di me, ma vicino a me, al mio seno, che già si stava gonfiando nell'eccitazione.
I palmi martoriati lo avviluppavano e ne sposano ogni curva, appena un quarto di millimetro più avanti e mi toccheranno.
Sento il loro calore, come se la punta dei capezzoli e il cavo di quei palmi funzionassero da contatore Geiger.
Poi scendono, sempre vicinissimi, senza toccarmi , lungo il ventre, fino ad intrufolarsi nei pantaloni per cercare il sesso già umido, insolitamente caldo, dove le dita martoriate si fermano per accarezzare, premere, toccare quel mio cuore di donna che non avevo mai sentito battere così in fretta.
Assurdo, semplicemente assurdo.
Sobbalzo e mi rintano dietro l'abbaino, stringendo al petto il fucile.
Ho paura, per la prima volta nella mia vita mi rendo conto di essere vulnerabile, di provare un'emozione che può essermi fatale, io che di emozioni credevo di essere digiuna.
Improvvisamente avverto una sensazione acuta di gelo sotto la pioggia che continua a cadere.
-Pericolo, lui ha vinto il primo round, ma sei ancora in tempo, dai, spara, non ti capiterà un'altra occasione- mi avverte la solita voce all'orecchio.
Ritorno nella mia posizione, ombra grigia raggomitolata su se stessa e guardo nel cannocchiale.
Al centro della crociera c‘è il mio uomo, si è tolto la giacca di pelle nera e appoggiato alla ringhiera del balcone, incurante dell'acqua che scende fitta dal cielo, guarda verso di me.
Ho la certezza che mi sta vedendo, anzi mi pare che quelle labbra morbide sorridano: quell'uomo sa, sta rilanciando.
Il dito si ritrae fulmineo dal grilletto, in un momento decido quello che voglio, nonostante il pericolo che ho fiutato: lui, Macno, voglio lui, vivo, perché devo soddisfare questa voglia improvvisa e nuova per me.
Sto violando le regole che mi sono imposta, eppure ora il pericolo del gioco che sto per intraprendere non fa altro che aumentarne l'eccitazione: so che –dopo- uno dei due morirà, è una specie di roulette russa.
-No, spara ora - mi urla all'orecchio la solita voce- ti ha fiutato forse ti troverà per primo-
Ma non l'ascolto.
Ripongo rapidamente il fucile nella custodia e ombra grigia confusa con la pioggia abbandono la mia postazione.
Mi sbrigherò in fretta, tutto deve essere finito prima di sera.
Così vado a incontrarlo a El pendulo il locale dove ogni pomeriggio si rintana a bere tequila e Corona e mangiare chili di manzo con tortillas.
Sempre che non prenda il volo in queste due ora...ma sono sicura che non lo farà, lo so.
Ricorro al look quasi-mignotta, quello che mi trasforma completamente: capelli arricciati, voluminosi, vestitino smilzo, aderente, cortissimo e scollato, sandali col tacco alto e naturalmente niente intimo; trucco vistoso ma non troppo.
Nella tracolla appesa alla spalla viaggia con me la mia fedele Beretta 92.
La borsa si apre a strappo in un attimo anche dal fondo e questo mi permette di estrarre facilmente l'arma ad ogni minimo sospetto.
La popolazione maschile che incontro è visibilmente interessata al mio nuovo aspetto; sorrido: ottimo, funzionerà, gli uomini a letto diventano indifesi, tutti, allora, dopo, porterò a termine il mio lavoro.
Questo l'ho già fatto, rientra nelle regole.
Arrivo alla porta della taverna, scendo tre gradini ed entro.
Rimango ferma per un attimo, il sole alle spalle, l'ombra di fronte.
Tocco con il gomito la mia automatica nella sacca: lei è lì, pronta a proteggermi.
Mi guardo intorno e lo vedo, seduto a un tavolo in fondo alla stanza, le spalle al muro.
Trattengo un attimo il respiro, poi mi muovo.
Indossa la solita giacca di pelle, in testa un basco scuro alla Che, occhiali neri nonostante la penombra del locale, capelli legati dietro sul collo, un cigarillo che si consuma tra le dita, una Corona davanti e un piatto di enchiladas di verdura che trangugia lentamente.
Parecchi sguardi si incollano alle mie tette e al mio sedere mentre avanzo nel locale e mi siedo ad un tavolo di fronte al suo, appendendo la sacca alla parte destra della sedia.
Lui alza il viso dal piatto, mi guarda e sorride, quel sorriso che gli ho già visto e che mi fa di nuovo rabbrividire: ho la sensazione che qualcuno cammini sulla mia tomba, come dicono gli inglesi.
Non riesco a scorgere i suoi occhi dietro le lenti nere; scuoto i capelli, gonfio il seno e fingo di leggere una carta bisunta che è il menù.
Sento il suo sguardo, percepisco che si è tolto gli occhiali e mi sta fissando.
-Ci siamo- penso tra me, la nostra partita è cominciata.
Alzo lentamente il viso e anche io lo guardo diritto negli occhi che sono bellissimi,
neri come l'ossidiana e altrettanto lucenti e taglienti; luccicano come lame nel viso dagli zigomi larghi e dalla pelle olivastra.
Quelle lame scendono sul mio seno, con ostentazione e sapienza: mi sta eccitando con gli occhi tramettendomi il suo desiderio che mi brucia lì in mezzo alle cosce.
Poi ritorna a fissarmi e lentamente si sfila i guanti; con negligenza si accende un altro cigarillo.
Ed io resto immobile, sono ipnotizzata da quelle cicatrici, dalla bellezza sinistra di quei palmi. E'come se fossero già su di me mentre la solita voce mi urla all'orecchio:
-La pistola, dove la terrà?-
Ma non la sento, ascolto solo lui che mi rivolge la parola in uno spagnolo stentato chiedendomi se sono di Mexico City oppure una turista.
Il mio spagnolo è fluente, rispondo che sono madrilena, giro un po' di qui e un po' di là , mentre il mio sguardo è un chiaro invito.
E la parola attesa non tarda ad arrivare:
-Vamos?-
Mi alzo, dopo aver appena assaggiato i miei tacos, e in silenzio lo seguo.
Stringo la sacca con forza, il pericolo prima d'ora non mi ha mai eccitato, se mai ha reso ancora più ferreo il mio autocontrollo.
Ma in questo momento non so se sono più bagnata di desiderio per l'uomo o per quello che inevitabilmente succederà.
Si volta e mi prende per mano: è poco più alto di me, sul metro e ottanta direi e sui 75 kg di peso.
Distrattamente annoto questi dati, deformazione professionale, potrebbero servirmi.
Per caso abbasso lo sguardo e vedo che gli stivali neri di pelle sono sdruciti e impolverati.
La solita voce mi farfuglia qualche cosa, ma i miei sensi sono ottenebrati dal desiderio.
Qualche cosa di nuovo si è scatenato dentro di me, una donna che non conosco ha preso il posto di Blade.
La sua mano calda e ruvida mi trasmette scosse elettriche per tutto il braccio, azzerandomi la salivazione.
Intanto mi spiega che abita poco lontano, come se non lo sapessi.
Passiamo di fronte a una portiera grassa che dorme su una sedia sgangherata e in silenzio arriviamo alla porta della sua stanza.
Mi fa entrare, chiude a chiave e restiamo così, immobili, uno di fronte all'altro, a guardarci negli occhi: tutti e due sappiamo.
Sì è così: la tensione è palpabile, l'odore di sesso stordisce.
Con garbo, sorridendo, mi sfila la sacca e la lancia sul letto, poi si toglie la giacca che getta vicino alla mia sacca.
-La pistola, se non è nella giacca, dov'è -chiede la mia solita voce- controlla, addosso, controlla-
Ma è tutto inutile, perché Macno non mi porta sul letto, con una mossa improvvisa mi spinge contro il muro e mi bacia con violenza mentre io vado in paradiso.
La sua lingua non è nella mia bocca, diventa la mia bocca e mentre con una mano mi tiene fermo un polso contro il muro, con l'altra mi fruga il seno.
Poi si abbassa, mi prende tra le mani le tette e avvicinati i capezzoli li succhia avidamente, mentre io gli infilo le dita nei capelli e lo stringo a me.
Che magnifica sensazione desiderare un uomo in questo modo, non mi arrivano più i segnali di pericolo, solo quelli di femmina eccitata dalla vicinanza del maschio che vuole possederla.
-Querida- mormora e si inginocchia di fronte a me, baciandomi l'ombelico.
Ora potrei colpirlo con un colpo a taglio sulla nuca, in un lampo la mia mente capisce che è l'ultima occasione, non me ne saranno offerte altre.
Ma è solo un momento di lucidità, subito ripiombo dentro il mio ventre avido di lui.
Con delicatezza mi solleva il vestito e sempre inginocchiato mi apre le gambe per baciarmi il sesso ed accarezzarmi a lungo il clitoride col respiro prima che con la lingua.
Poi inizia a leccarmi, a mordermi, a entrare in me quasi volesse divorarmi e i miei gemiti si fanno sempre più forti mentre ripeto come una litania:
-Ti voglio, ti voglio, ti voglio-
Ed esplodo in mille stelle di piacere, contro quel muro sporco; lui mi deve sostenere,
le gambe non mi reggono.
Un attimo dopo è in piedi, mi afferra una coscia ed io gli uncino con la gamba un fianco mentre mi penetra con violenza, riempiendomi.
Poi inizia a spingersi dentro di me, sempre più a fondo, inchiodandomi al muro.
-Ecco che cosa vuol dire far l'amore con un uomo che parla al tuo sangue- penso con stupore sommersa da onde di piacere- è questo sentirsi riempita, aspettando con ansia che lui venga per bagnarti del suo seme, per farti sentire terra da arare, deserto da fecondare-
Lo abbraccio stretto mentre le mie mani inconsciamente scendono alla cintura: niente armi.
L'uomo si svuota in me con un grido ed io mi stringo a lui, per trattenerlo ancora nel mio corpo, perché questa sensazione bellissima non finisca.
Ma lui con mossa fulminea si stacca, si abbassa e un attimo dopo sento il freddo del metallo sotto il seno sinistro.
-Nello stivale, ecco dov'era la pistola, facile... - il pensiero mi esplode nella mente –che peccato, proprio ora che avevo capito ...-
-Troppo tardi -sussurra la mia voce
Tutti nella vita prima o poi incontriamo il nostro assassino, il mio l'ho davanti.
Mentre lo guardo fisso, immobile, completamente ipnotizzata dall'ossidiana dei suoi occhi, lucidamente penso:
–E' una Beretta PX4 Storm, leggerissima e minuscola, perfetta per uno stivale-
-Querida... sorry -mormora lui fissandomi negli occhi; poi tutto finisce con il rosso di un dolore acuto che immediatamente si dissolve.
Blade killer è morta, domani troveranno il suo corpo abbandonato in questa squallida stanza.
Anche Macno morirà, tra poco.
Questione di giorni; lui ancora non lo sa, ma la sua fine non sarà piacevole come la mia.
-Querido, my amor, que làstima! che peccato –
Morgause