Alessandro e Roberta erano oltre l'amore.
Piccola donna acerba, riccioli neri scomposti: lei. Capelli lisci ormai bianchi, spalle possenti e mani sicure dove Roberta trovava rifugio: lui. Si amavano di un amore disperato, da naufraghi della vita. Morsi, baci, leccate, fonemi crudi, fonemi dolci, risate, schiaffi. Metterle due dita dentro mentre beveva il cappuccino al bar era normale quanto dirle ‘ti amo'. Succhiarglielo in un parcheggio affollato era normale quanto urlargli ‘mi manchi'.
Erano fuochi d'artificio quando scopavano, bombe a orologeria, drogati in astinenza quando i giorni di distacco si prolungavano. E ogni volta che si vedevano si sbranavano, s' incollavano con voracità, smaniosa frenesia. Bruciava la casa, il letto, le loro anime, tutto s'incendiava dentro e intorno a loro, diavoli e sacerdoti di riti pagani, furente re e viziosa regina di regni cupi e paradisiaci.
Lei lo inghiottiva nel suo sesso ingordo e feroce, lui le colpiva ripetutamente l'utero mentre scopavano. Era come se volesse entrare dentro di lei, tutto, gambe e braccia, per sempre. Era il suo modo per volerla tutta, donna e madre. Ma Robi non poteva aver figli. Quelli di lui avevano solo qualche anno meno di lei.
Ale e Robi erano folli, malati, febbricitanti, felici. Roberta, bulimica di sapori nuovi, lo accoglieva sempre senza mutande e fradicia fra le gambe. Era complessa, contorta come un rampicante, eppure candida e fresca, come i suoi vent'anni da poco compiuti. Ale di anni ne aveva più del doppio. Aveva occhi che non si meravigliano davanti a niente, nessuna commozione, un forte ego e un cinico distacco dalle brutture della vita. Eppure quella ragazzina era riuscita a insinuarsi nella scorza e a far uscire un liquido caldo e brodoso da quel cuore invecchiato.
Da quando la moglie era morta, Ale passava da una donna all'altra così come usava i pennelli: strisciate di rosso, di arancio, di nero, frammenti di stoffa lacerata, spruzzi e sbuffi di colori accecanti. Come ogni artista lui non cresceva mai, non conosceva la quotidianità, l'ordinario, il lavoro e il non lavoro, la veglia e il sonno. E aveva tempo per l'amore. Alessandro amava Roberta di un amore egoistico. Robi era una studentessa al terzo anno d'ingegneria navale. Studiava poco, rideva e scopava, tanto. Amava follemente. Lui.
- Portami a giocare - . Era un refrain che sussurrava spesso, le labbra carnose tinte di rosso sfacciato, i capelli raccolti in una coda corta, l'abito bianco, le ballerine a pois.
- Bambina cattiva, piccola cagnetta in calore - , rispondeva lui.
E giocavano. Ale amava esibirla. In macchina lei stava sempre con la gonna alzata e le gambe aperte sul cruscotto. Lui infilava dentro due dita, oppure la stuzzicava con il piccolo vibro. Poi si affiancava a un camion e lei guardava l'autista con occhi sgranati da lolita perversa. Di solito finivano nelle piazzole di sosta, il camionista che se lo menava con ardore, gli occhi imbarazzati e colpevoli. Lei temeva sempre che Ale aprisse il finestrino, unica barriera fra la sua bocca e quel cazzo sconosciuto. Sapeva che prima o poi l'avrebbe fatto, e che lei avrebbe detto di sì.
Alessandro adorava quell'universo maschile diametralmente opposto al suo mondo d'intellettuali benestanti: operai, camionisti... la portava nei bagni pubblici, la toccava dal meccanico. Offriva quel corpo sodo e profumato di gioventù a stalloni obbedienti, che lui dirigeva, e a donne mature, che lui guardava rapito mentre si strofinavano alla piccola donna che a modo suo adorava. A volte si univa, ma preferiva godersi lo spettacolo. La bocca impertinente di Robi su un cazzo sconosciuto glielo faceva venire duro in un attimo, e allora la prendeva, da dietro, fregandosene di quelli che stavano intorno. Iniziavano una danza per loro soli, a un ritmo che gli altri non potevano conoscere. Ale immergeva i suoi denti famelici in quel collo bianco da bimba. La sbatteva, la riempiva, la picchiava, finché le natiche diventavano color porpora. Alla fine la abbracciava teneramente, cullandola e coprendole il corpo di baci. Cucinava per lei, le lavava i capelli ribelli, le massaggiava la schiena con oli profumati. Allora lei si sedeva sulla sua faccia, offrendogli il sesso bagnato e lui leccava quel sapore acre e denso come seta liquida, cibandosene, spesso innaffiandolo con champagne che faceva colare sulle piccole labbra di quella donna che amava con ogni fibra del suo corpo.
Lei indossava sempre biancheria bianca, rosa o celeste, mai nera, e andava nei club privé con i jeans. Ale ricorda ancora la prima volta che la portò al Daemonia, un lussuoso privé dove lui era di casa. Lei gustava tutto come Alice nel paese delle meraviglie: sensazioni visive e tattili, musica, mani sconosciute che s'insinuavano dentro di lei. Ballando lui le tirò fuori le tette dalla camicetta, le massaggiò e le strinse. Poi si sbottonò i pantaloni. Lei s'inginocchiò e sorridendo glielo prese in bocca, davanti alle coppie danzanti. La applaudirono, aveva fatto il suo ingresso trionfale in quel mondo di corpi scambiati e goduti. Ma loro non erano mai scontati, e non scopavano mai sui letti, ma in piedi nei corridoi oppure in mezzo alla gente.
Poi un giorno, in un privé in stile giapponese tutto nero e testa di moro, con bassi tatami ed enormi piante nodose, entrarono nella sala delle torture. Un moderno dungeon, appena rischiarato dalla luce fioca di lampade aranciate. Robi ridacchiava mentre s'immolava sulla croce, lui la legava con polsiere metalliche e le copriva gli occhi golosi con la benda rossa che portava sempre con sé. Poi lei si piegò in avanti, sulla gogna, infilando testa e braccia nei fori. Allora Ale la bloccò, sussurrandole parole oscene e le tirò giù i jeans e le mutandine di pizzo rosa, spingendola verso il muro in modo da salvare la sua bocca da ingressi non voluti. Poi in silenzio uscì. Lei lo chiamò, più volte. Checcazzo fai? Dove sei andato? Intanto delle coppie entravano e la guardavano, lei poteva solo vedere le gambe: pantaloni da uomo, scarpe anonime, calze a rete su cosce grasse, decolleté sformate, odori sgradevoli di profumi troppo dolci.
Poi niente e nessuno. Lo chiamò più forte e imprecò. Finché non sentì un rumore dietro di lei e poi due scarpe, nere, su pantaloni scuri e una mano che la accarezzava incerta. Iniziò a tremare, mordendosi le labbra e pensando dove sei?
- Ti piace? Quanto ti piace questa piccola troia? -
La sua voce, finalmente.
L'uomo rispose: - È bella, è troppo bella... -
- Toccala, non vedi quanto le piace? -
L'uomo iniziò a toccarla più forte, lei si aprì e iniziò a colare. Ale gli si mise davanti e le disse, quasi con cattiveria: - Dimmi quanto ti piace, dimmi cosa vuoi ora. -
Lei sorrise con una smorfia di piacere e gridò: - Voglio che lui mi scopi! -
- Sentito, questa puttana cosa vuole? - e la baciò, lievemente.
E poi fu la volta di scarpe marroni e pantaloni chiari, di jeans e stivaletti, e ancora scarpe scure, e mani ingioiellate di donne, mentre Ale la baciava teneramente sussurrandole sulle labbra ‘ti amo'.
Finché Ale batté le mani, due volte. Suoni secchi che lacerarono l'aria e i dildi a due gambe sparirono. La liberò, le accarezzò la faccia, massaggiandole i muscoli intorpiditi, poi la prese in braccio e la portò a dormire.
Ale e Robi erano oltre l'amore.
Andavano a fare kinky shopping non solo nei sexy shop e nelle fetish boutique, ma nei negozi per animali, dove le provava i collari bianchi con strass da barboncina e poi uscivano disinvolti, con lei che si sarebbe messa a camminare a quattro zampe, com'era solita fare in casa. E ridevano.
Ale la appendeva al gancio che pendeva dal soffitto, braccia legate dietro la schiena, accendeva la musica e iniziava a cucinare: gnocchi di melanzane con sugo di triglia. Lei era bendata e succhiava l'impasto che usciva dalla sac à poche, implorando di scoparla, ma lui le strizzava un capezzolo e se ne andava, oppure la baciava con dolcezza, o le infilava dentro un qualsiasi attrezzo da cucina. Quando poi decideva di scopare la sua schiava principessa lei gli si avventava sopra come una furia, cavalcandolo fino a smuovere il letto, lasciando segni sul petto e sulle cosce di lui. E veniva urlando come un'indemoniata.
Ale e Robi erano oltre l'amore.
Lui la riempiva di regali: abiti in stile burlesque, dildi colorati, copri capezzoli di strass bianchi, lingerie da lolita. Un giorno si presentò con un dolce alla panna e un piccolo frustino color fucsia. Gli attrezzi di lui erano tutti neri e cupi, cuoio e acciaio. Lei era un arcobaleno di allegria. S'incuriosì, volle provarlo su di lui. Ad Alessandro bastò guardarla senza dir niente, perché lei capisse. Poi disse: - Ti procurerò degli schiavi - .
Fu così che Robi iniziò a plasmare degli uomini a suo piacimento. Si eccitava davanti a corpi legati che gemevano e s'inarcavano, ma non era sadica e non faceva mai male vero. Si limitava a piccole torture fisiche e verbali, adorava il face sitting prolungato. D'altronde la sua vagina profumata era una delizia, così come la sua pipì, che gli schiavi reclutati da Ale gustavano come fosse un Blanc de Blancs.
Ale si eccitava guardandola e questo dark side di Robi aveva dato ad Ale una nuova spinta artistica. I suoi quadri avevano una sensualità più infuocata. Divenne famoso e partì per New York. Lei lo avrebbe raggiunto a Natale.
(fine cap.1)
Amelia