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Racconto n° 4391
Autore: Morgause Altri racconti di Morgause
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Number One
Sono gli ultimi giorni di un Luglio apocalittico: l'unica consolazione è questa terrazza, vero gioiello del mio appartamentino all'ultimo piano di un vecchio palazzotto situato nel centro storico.
Per tutto l'inverno la nebbia ha nascosto il sole facendomi rischiare congelamenti vari.
Ora invece mi pare di soffocare avvolta da un lenzuolo di perenne umida calura.
Il sottile vestito che indosso è bagnato di sudore: lo tolgo e rimango nuda, tanto so che i miei vicini Paolo e Laura, proprietari della terrazza confinante con la mia, sono fuori per una vacanza.
Mi alzo per andarmi a bagnare alla piccola fontana che uso per innaffiare i fiori.
Mentre tengo sospesa la gomma sopra la testa guardo il panorama oltre l'antica ringhiera di ferro: la cupola del Battistero e l'imponente sagoma del Duomo accerchiate dai tetti rossastri delle case offrono una magica scenografia alla luce diffusa dei lampioni; più lontane spuntano le sagome delle antiche mura, e oltre luccica il fiume, ormai ridotto a un rigagnolo.

Si, è una gran bella vista, ma non si muove un filo d'aria.

Quando anche i capelli sono fradici torno alla sdraio e mi abbandono perdendomi nella contemplazione della boungavillea rosso- lacca che sono riuscita a trasportare qui e che mi ha invaso il terrazzo, sovrastando con il suo acceso colore gli altri fiori: pare di stare in mezzo a una fiamma che per fortuna non riscalda.
Chiudo gli occhi e mi prende improvvisa e violenta la voglia di fare l'amore.
Dopotutto sono a digiuno da 28 giorni e per me che considero il sesso un bisogno primario come mangiare e bere questo tempo è un'eternità.
Ma ti ho fatto una promessa prima che partissi: ti sarei stata fedele per due mesi, a qualunque costo, per tutto il periodo della tua assenza.
Solo che improvvisamente l'appartamento vicino al mio, sfitto da secoli, è stato occupato da una coppia, Paolo e Laura appunto.
Li ho conosciuti qualche giorno dopo la tua partenza; comunque con Paolo non c'è stato ancora niente, almeno per ora.
Sfinita dalla calura abbandono braccia e gambe come una bambola di pezza mentre ripenso a questo ultimo torrido mese, a quello che è successo su questa terrazza.
Mi accarezzo con dolcezza il ginocchio sinistro ancora malandato e il livido bluastro sulla coscia mentre la mente vaga, forse tra poco mi addormenterò, intanto mi perdo nel ricordo.

Tu eri appena partito e il caldo già imperversava quando mi dissero che l'appartamento vicino al mio, sfitto da secoli, era stato affittato ad una coppia che però l'avrebbe occupato non prima di settembre.
Ne fui felice pensando che avrei potuto godermi il mio ampio balcone per tutta l'estate senza il timore di essere spiata: infatti le ringhiere unite delle due terrazze formano un grande angolo ottuso mandando a farsi benedire la libertà cui tengo tanto.
Appena arrivata nel nuovo appartamento ho collocato sul basso muretto che divide i due spazi contigui degli enormi vasi di fiori in modo da avere un po' di privacy, anche se minima ed evitare al mio adorato gattone troppi giri sui tetti vicini.
Così quella sera dei primi del mese, già afosissima, me ne stavo sdraiata come ora, nuda e bagnata d'acqua e di sudore ad aspettare un alito di vento che mi rinfrescasse; l'ultima cosa che ricordo, prima di addormentarmi, fu la coda del micione che spariva tra i due grossi vasi di ortensie.
Il miagolio del felino mi svegliò: aprii gli occhi e vidi il viso sorridente di un uomo spuntare tra i fiori. Stringendo tra le braccia la belva, con assoluta noncuranza per le mie nudità chiedeva:
-E' suo questo?-
Balzai in piedi e afferrai un asciugamano ma il viso del mio nuovo vicino rimase imperturbabile: neppure un'occhiata alle tette o alle gambe, continuava a guardarmi in viso, porgendomi il gattone miagolante.
-Ma lei chi è?- chiesi, domanda pleonastica.
-Il suo nuovo vicino, tra poco arriva anche mia moglie, abbiamo deciso di anticipare i tempi, domani traslochiamo-
-Bene, quando è così, venga- risposi porgendogli una sedia - mi metto un vestito e facciamo conoscenza, visto che le nostre terrazze sono confinanti-

Chiaccherammo un po'; era meno giovane di quanto mi era sembrato tra le ortensie, sulla quarantina, molto alto e robusto, aveva un aspetto solido; nel viso spiccavano gli occhi azzurri e mobilissimi; parlava pacatamente, con gesti misurati, disse anche, mentre io mi stavo liquefacendo, che quella era la sua città e che tutte le estati erano così, lui non sentiva poi tutto questo caldo.
Mentre parlava accarezzava il gattone che beatamente gli dormiva in grembo.
Nulla di sessuale scattò tra di noi, nessun mistero biochimico attirò i nostri corpi; di lì a poco conobbi anche la moglie, una ragazza sui trentacinque, piccola - faceva un certo effetto vicino a lui così alto- mora e carina, gentilissima.
Comunque, anche se un certo interesse l'avessi provato, l'avrei soffocato a tutti i costi, fedele alla regola numero uno: - Gli uomini sposati sono off limits, mai essere sleali verso un'altra donna, costi quel che costi-
Ma questo era un mese fa a digiuno sessuale appena iniziato.
I nostri rapporti divennero più stretti, spesso ci trasferivamo sulle rispettive terrazze per chiaccherare fino a tarda notte, cenavamo insieme, ci scambiavamo gli amici.
Naturalmente dovetti imparare a girare per la terrazza vestita perché alcuni dei loro ospiti erano visibilmente intenzionati ad alleviare la mia solitudine - sapevano che ero temporaneamente libera e forse intuivano anche affamata- mentre lui non pareva affatto accorgersi del mio corpo.
Galeotto fu Prada, parafrasando il Poeta.

La settimana scorsa decisi di farmi un super regalo, un paio di sandali color turchese di Prada; ho una vera passione per i sandali allacciati alla caviglia, con il tacco alto e sottile, possibilmente di marca prestigiosa: è la mia unica debolezza.
Concluso l'acquisto li volli indossare subito ma andavo di fretta come al solito e il mio equilibrio su quei trampoli era alquanto instabile.
Arrivata nel portone di casa quasi di corsa scivolai sul pavimento lucido; mi ritrovai a terra, con un gran dolore al ginocchio sinistro e il palmo delle mani rovinato e sanguinante.
Mi sentii sollevare come fossi una ragazzina gracile da due braccia robuste e mi trovai di fronte il viso preoccupato di Paolo che mentre usciva mi aveva trovata gemente stesa a terra a pelle di leone.
-Ma come hai fatto a cadere, sono questi tacchi, magari correvi, andiamo, ti accompagno a casa-
E mi prese in braccio come se pesassi venti chili, invece dei miei cinquantaquattro.
Tranne mio padre quando ero piccola nessuno l'aveva mai fatto, anche perché non sono proprio una bambolina, vista l'altezza.
Mi piacque da morire starmene al sicuro tra quelle braccia maschili, avrei voluto che le scale non finissero più.
Come fummo in casa mi fece accomodare sul divano, poi chiese dove fossero disinfettante e garze e con una delicatezza infinita cominciò a ripulirmi, prima le mani, poi il ginocchio; si accorse che a mezza coscia mi si stava formando un grosso livido e ci passò sopra la mano, come per farlo sparire.
Stava con il capo chino e io mi accorsi di quanto fossero fitti i suoi capelli che avevano qualche striatura bianca e mi sorpresi a desiderare di infilarci dentro le dita.
Sospirai piano quando la mano mi accarezzò la coscia; anche lui si accorse che qualche cosa era improvvisamente cambiato tra noi.
Alzò lo sguardo dritto nei miei occhi, poi mi toccò con dolcezza il viso e i capelli e... suonò il suo cellulare.
Il momento magico era passato; si alzò :
-Ciao,Laura, si, sto arrivando; comincia tu, ho aiutato Fede che è caduta, si, anche io, a presto-
E poi:
-Fede, allora noi domani partiamo per l'Elba, torniamo tra una settimana-
La voce era incerta mentre io mi davo della stupida, mi ero scordata che era sposato? Non avevo mai infranto la regola numero uno, fino ad oggi; poco prima avevo appena rischiato di farlo.
-Ciao, Paolo, saluta anche Laura, io me ne vado a letto presto, mi fa male il ginocchio-
Ci salutammo così....oh, finalmente un poco d'aria, che sonno...

Un odore penetrante di tabacco mi fa starnutire, mi sveglio, apro gli occhi e lui è appoggiato alla ringhiera, Malboro tra le dita.
-Che ci fai qui, Paolo?- chiedo- non dovevate tornare domenica?-
-Infatti sono solo, ho dovuto far una salto in studio, Giacomo, il mio socio, non trovava dei documenti- bugia, bugia, bugia.
Ora lo guarda, eccome, il mio corpo nudo: non si muove, ma mi accarezza tutta con gli occhi; anche io resto immobile, trattenendo il respiro, mentre l'eccitazione mi sale dentro in onde concentriche, sempre più ampie.
Poi spegne la sigaretta, mi prende per le spalle e mi fa alzare: rimaniamo uno di fronte all'altro per un attimo, io con il viso alzato verso il suo.
Gli getto le braccia al collo e mi alzo in punta di piedi per baciarlo: lui mi stringe contro di sé e mentre ci azzanniamo le labbra solleva con forza il mio sedere verso il suo grembo; io gli stringo i fianchi con le gambe in una mossa a tenaglia e sento contro il mio sesso aperto il duro della sua erezione.
Mi spinge contro il muro, le mani a fondo nelle natiche, mentre io gli apro i pantaloni liberandolo
e strusciandomi contro la sua voglia.
Sento il rosso caldo del desiderio scorrere tumultuoso nelle arterie.
Lui geme, mentre all'orecchio gli soffio quanto lo voglio.

Con un colpo mi entra dentro, inchiodandomi al muro:
-Sapessi quant'è che mi immagino di scoparti, dalla prima volta che ti ho visto sul terrazzo, ti ricordi? Fede, ti ricordi?-
Non posso rispondere, sto per venire, lo voglio, tu non esisti più e neppure sua moglie, ci sono solo il mio ventre affamato e il suo fallo che vuole riempirmi, una femmina e un maschio che si accoppiano con violenza contro una parete.
Grido a lungo, mentre Paolo si spinge sempre più a fondo dentro di me per finire con un rantolo, svuotandosi del seme.
Sono sconvolta, scivolo sotto di lui , entro in casa e mi butto sul letto. Resta ancora appoggiato al muro per un attimo, poi mi segue e si spoglia, allungandosi al mio fianco.
Mi abbraccia stretta, nessuno dei due parla, a che servirebbe? Le parole sono menzognere.
Non so per quanto tempo restiamo così, in silenzio. Quando la sete si fa sentire io mi alzo per andare in cucina a preparare da bere.

Mentre traffico perlustrando il frigo approfitto dello sportello aperto per rinfrescarmi; mi chino in avanti e:
-Il tuo sedere parla, noi emiliani abbiamo un debole per le chiappe sode come queste-
Mi è arrivato alle spalle senza che me ne sccorgessi; mi struscio contro il suo sesso e lo sento di nuovo rigido.
Mi fa appoggiare al tavolo, mi stringe i fianchi tra le mani e mi prende da dietro:
-Pare di entrare in un bagno di olio caldo- mormora.
E ricomincia a spingersi dentro di me con sempre maggior violenza: raramente ho sentito dentro un uomo come sento lui in questo momento.
E' proprio questo sentirsi che sublima l'eros.
Glielo dico in frantumi di parole e poi mi pare di svenire dal piacere, mi gira la testa, mi appiglio al bordo del tavolo per non cadere.
Lui mi riempie di nuovo con un lungo gemito.
Siamo ansanti, stravolti, i nostri corpi lucidi di sudore emanano l'odore dolceaspro del sesso goduto appieno.
- Paolo, facciamo una doccia- suggerisco
-Si, credo proprio sia necessaria, sono a tappeto, non ho più l'età per queste maratone, colpa tua , erano anni che una donna non m'intrigava così-
Entriamo sotto la doccia insieme: che meraviglia l'acqua fresca sulla pelle infuocata.
Paolo mi lava i seni con lenti movimenti circolari; lo guardo negli occhi e lui:
-No, fai la brava, no, Fede-

Ma io sono già in ginocchio a baciargli il sesso, sotto l'acqua che scorre e intanto penso che mi sono sforzata davvero di esserti fedele lo sono stata per un mese intero, poi ho ceduto. Sì, Paolo
è sposato, ho infranto la mia regola numero uno, ma non succederà mai più, è stata una eccezione.
E non è proprio l'eccezione che conferma la regola?

Morgause

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