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Racconto n° 4424
Autore: Morgause Altri racconti di Morgause
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Poison
Il rumore secco e improvviso proveniente dal fondo della Chiesa bloccò il salmodiare del prete e tutti, me compresa, seduta proprio in bordo alla panca pronta a balzar via a rito terminato, ci voltammo per vedere che cosa era successo.
Era arrivata Elettra per esser presente alla funzione che si stava celebrando: un funerale.
Avevo diciotto anni e mi ero appena iscritta all'Università di quella città del Nord dove il defunto, persona assai conosciuta, risiedeva.
Così la mia famiglia mi aveva supplicato di far atto di presenza in loro rappresentanza.
Fu allora che in una antichissima chiesa romanica mi innamorai di una donna per la prima volta.
Fin da piccolissima la bellezza in ogni sua forma, intesa come perfetta armonia di contrasti, mi ha sempre inesorabilmente affascinato.
La sconosciuta, perché allora era tale per me, tenendo spalancate le porte come se fossero quelle di cartapesta di un palcoscenico, si bloccò per un attimo all'entrata della Chiesa stagliandosi contro la luce del primo pomeriggio quasi fosse una regina pronta a ricevere gli omaggi di sudditi devoti.
Mi apparve come un Walchiria uscita da una qualche opera di Wagner, un'amazzone appena rientrata dal campo di battaglia, un cavaliere dell'Ade.
Era alta, più di me, sul metro e ottanta, molto più impressionante che se fosse stata una statua.
Il vestito nero che indossava, di taglio perfetto, aveva lo scopo e l'effetto di farla sembrare un punto esclamativo fasciando un corpo incredibile: carni lattee nel buio.
Restai imbambolata a fissare quel viso disgustosamente bello, dove, sotto il taglio pericoloso delle sopracciglia, gli occhi splendevano di un innaturale azzurro metallico del tutto diverso da quello del cielo o del mare.
Le spalle erano larghe e forti, il seno opulento, i fianchi stretti e le gambe dalle caviglie sottili evidenziate dai tacchi altisplendide.
-E' una dea- pensai.
Abbagliata e confusa in quel momento avrei dato la vita perché mi notasse, quella donna mi attirava inesorabilmente: fu il classico colpo di fulmine; fino ad allora nessun uomo aveva mai esercitato su di me una tale magnetica attrazione tanto che mi vennero in mente alcuni versi di Saffo dei quali, al liceo, non avevo capito la magica intensità:

-E ora spicca
tra le donne di Lidia come quando,
tramontato il sole,
la luna dalle dita di rosa vince tutti gli astri,
e ferma la sua luce sul salso mare
e ugualmente
anche sui campi in fiore-

Lei ora spiccava per me tra le donne di Lidia, anche se non capivo ancora di che genere di attrazione si trattasse.
L'avrei capito presto.
Con la stessa ineluttabilità di un missile lanciato da Cape Canaveral Elettra iniziò a percorrere la navata centrale.
All'orecchio mi arrivarono brusii:
-Elettra, chi l'avrebbe detto che si sarebbe fatta viva; era sua figlia ma il vecchio l'aveva bandita tempo fa...ti ricordi, quella storia col fratellastro, ne parlavano tutti-
-Ma da dove viene, Stoccolma?-
-Bella? mah, fa colpo, guarda se è il modo di conciarsi per il funerale del padre, però assomiglia a Karin, la prima moglie te la ricordi?-
E intanto io pregavo che la Dea si voltasse verso di me, che mi notasse quando mi fosse arrivata vicina.
Veleggiava verso l'altare nel silenzio generale mentre l'unico rumore che si sentiva era il frusciare del suo vestito di seta nera.
Un grande cappello dello stesso colore le copriva con l'ala parte del viso; improvvisamente
i suoi occhi si fissarono nei miei.
E si fermò un attimo chinando il capo in un saluto.
Feci in tempo a notare gli orecchini, perle e diamanti, che indossava, la perfezione dei denti e delle labbra nel sorriso che mi rivolse: talmente complice e sfrontato da farmi arrossire e chinare il capo.
Aveva capito che mi ero infatuata di lei a prima vista oppure, cosa più probabile, sapeva chi ero, magari tramite mio padre, che era l'unico della famiglia ad aver avuto rapporti stretti con il morto?
Sì, quest'ultima era la spiegazione più plausibile e io avevo sicuramente travisato, nel mio entusiasmo, il significato di quel sorriso.
Chinai il capo mentre il profumo della donna si diffondeva ovunque.
-Dior, deve essere Poison- mormorò la solita comare e io convenni che doveva aver ragione, perché una creatura tanto bella doveva anche essere pericolosa, eccome.

Rialzai il capo e la guardai avanzare ancora un attimo, per poi ripensarci e invece di dirigersi verso le prime panche, accomodarsi al lato opposto al mio, rispondendo agli sguardi esterefatti dei presenti con un mezzo sorriso tra il modesto e il gentile.
Visto da vicino il suo vestito era uno spettacolo: apparentemente un semplice modello che rieccheggiava gli anni cinquanta con una scollatura a trapezio fermata agli angoli da due fibbie di brillanti, nel complesso abbastanza anonimo.
In verità, appena con mosse che parevano una danza si fu accomodata a sedere, aderì al suo corpo come una seconda pelle, scoprendo in parte le gambe lunghissime.
Il candore marmoreo di quella pelle dentro tutto quel nero mi parve lo spettacolo più bello che avessi mai visto.
Mi sbagliavo, naturalmente, il meglio doveva ancora venire.

Ci alzammo in piedi e allora lei si voltò verso di me, sorridendomi di nuovo, con le labbra piene che non avevano certo bisogno di collagene e c'era un che d'interrogativo nel suo sguardo che mi percorse da capo a piedi come corrente elettrica.
I suoi occhi brillavano di un inconfondibile calore e notai una bizzarra ciocca biondissima sfuggire da sotto il cappello.
Come una imperfezione che rendeva ai miei occhi ancor più sublime quella meraviglia di donna.
Non riuscivo a sfuggire alla sensazione che quello fosse il sorriso di una vecchia amica,
forse che mi aveva conosciuta, da piccola, e io non la ricordavo?
Una cosa era chiara comunque: quel sorriso stava durando troppo, mi sentivo imbarazzata.
Era tempo di distogliere lo sguardo, perché mi pareva di camminare verso una creatura aliena in una strada deserta: ero attratta da lei ma anche spaventata da quel che provavo per la prima volta.
Intanto le sorrisi per contraccambiare ma temo di essermi prodotta in un'espressione sciocca e compiaciuta, ci mancavano solo le fusa, manco fossi stata un micio accoccolato accanto al fuoco.

E poi il mio corpo iniziò a parlare.

Cominciò con una sensazione di calore, di pienezza, per diventare qualche cosa di elettrico che crepitava, dapprima lentamente, poi sempre più in fretta fra la pelle e i leggeri slip che indossavo.
Se avevo davvero un centro vitale, allora tutto ebbe inizio là, e mi sentii improvvisamente umida tra le cosce.
Per un attimo inorridii...perdite improvvise innominabili?
Poi inspirai profondamente e capii.
Ora la chiesa stava scomparendo e il profilo perfetto di Elettra che sbirciavo a capo chino diventava sempre più grande, riempiendomi la mente di seduzioni sconosciute, svuotandola di tutti i pensieri.
Lei mi stava suonando come uno strumento, carezzando le corde della mia pelle tesa con un archetto di seta e non c'era nulla che io potessi fare per sottrarmi a quel polo biondo di attrazione.

Finalmente la cerimonia finì e io fuggii, disorientata e confusa, con un unico pensiero in testa : lei.
Ripensavo continuamente a quanto fosse bello quel corpo che nudo nessuna statua avrebbe potuto certamente uguagliare.
Cercai di persuadermi di aver immaginato tutto, il suo sorriso, lo sguardo, forse mi aveva scambiata per un'altra.
Fino al giorno in cui me la trovai fuori dell'Università, molto diversa in jeans e camicia bianca sbottonata fino in vita, il seno in mostra, appoggiata alla sua auto, sigaretta tra le dita, che mi aspettava.
Era diversa, ma ancor più bella.
Per un attimo il respiro si bloccò.
Poi, sotto lo sguardo allocchito del mio ragazzo d'allora che lasciai senza pronunciar parola le presi la mano che mi porgeva e la seguii.
Fino a casa sua.
Naturalmente mi trovai subito a mio agio con lei, sapevo che cosa voleva e anche quello che io desideravo.
Ora era tutto chiaro, stavo per scoprire una meraviglia, ne ero sicura.
Quando si spogliò in un attimo rimanendo nuda di fronte a me poco mancò che non mi inginocchiassi come di fronte a una dea.
I seni grandi davvero parevan scolpiti nel marmo, con l'azzurro delle vene appena trasparente sotto il candore della pelle e i fianchi stretti racchiudevano un setoso delta dorato: eccolo, il tesoro.
Mi disse di fare altrettanto e io esitavo: di fronte a lei sarei sembrata un ragazzo, così magra, un ragazzo con un seno pesante, che pareva completamente fuori posto appeso allo scarno torace.
Infatti disse:
-Sei magra, ragazzina, ma ti rimpolperai vedrai- e la risata, che non dimenticherò fino alla fine dei miei giorni, fu rauca, di gola e sigarette.

Allungai una mano, curiosa, e toccai quei seni incredibili mentre pensavo:
-Sarà questo che prova un uomo?-
Poi mi chinai golosa per prender in bocca i capezzoli, che parevan due fragole, mentre con una mano mi intrufolavo nel sesso morbido che sia aprì docilmente alle mie dita incerte e curiose.
Elettra mi serrò tra le cosce forti mentre cercava la mia bocca e con violenza mi stringeva a sé.
Mi spinse sul letto e allora fu tutto un accarezzare, frusciare di stoffe, odori di donna mescolati a quelli di costosi profumi.
Fu lei per prima a baciare quelle altre mie labbra con un tocco completamente diverso da quello di un uomo: lo fece con tale perizia da farmi arrivar quasi subito al piacere tanto che esclamò:
-Che velocità-
E poi... fu un pomeriggio indimenticabile.
Non stavo amando me stessa in lei, come in uno specchio; cercavo di conoscere davvero il corpo di un'altra donna esplorandolo centimetro per centimetro; volevo darle piacere e ne provavo mentre lo facevo.
Così mi innamorai di Elettra e fu davvero bello fino a che divampò il fuoco.
Era un'artista, dipingeva e dipinge con successo e molto ebbe da insegnarmi sulla bellezza e quei particolari canoni, che secondo lei, la governano.
Comunque a quel primo incontro ne seguirono altri; fu davvero l'esplorazione di un territorio sconosciuto, un paradiso che neppure avevo immaginato potesse esistere.
Ci furono altre donne dopo Elettra, ma nessuna mai riuscì a prendermi come lei.
Lei era una dea e tale è rimasta, in tutto il suo splendore, nel mio ricordo.

Morgause

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