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Racconto n° 4464
Autore: Morgause Altri racconti di Morgause
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V come Femmina
Venezia e Verona sono due città legate strettamente alle mie storie amorose fin da quando ero ragazzina.
Venezia, con il suo splendore bizantino che io ritrovo sempre anche nella nebbia e nello sporco, ne segna l'inizio, un viaggio inaugurale a Venezia è d'obbligo con un nuovo amante, mentre a Verona, l'altezzosa scaligera, torno per consumare la tristezza e il rimpianto della fine, che per altro ho quasi sempre provocato io, più o meno di proposito, Indiana Jones femmina alla ricerca
costante di nuovi orizzonti da esplorare.
Così in questo inizio Ottobre ancora caldo mi ritrovo a passeggiare senza meta per il centro storico della città abbracciata dall'Adige, inappetente di corpo e di spirito, in una specie di lacrimoso ramadan personale.
Alcuni amici mi hanno passato un invito per la presentazione dell'ultimo libro di un autore che non è certo tra i miei preferiti e che si terrà al Castello di S. Giorgio.
Sarò sola, loro non verranno.
Mi annoierò di sicuro ma anche la noia fa parte del complicato cerimoniale di autopunizione
ed espiazione.
Decido di andare a piedi, camminare lungo il fiume mi piace, soprattutto di sera.
Mi vesto meccanicamente e i tacchi alti che penso di indossare per l'occasione non mi fanno tornare sulla mia decisione di rinunciare alla macchina.
Esco e le occhiate interessate dei maschi per strada mi lasciano indifferente.
Brutto segno, chiaro sintomo della crisi ancora in atto.
Arrivo alla sala del castello predisposta per la cerimonia e occupo la prima sedia che trovo libera.
L'autore sta già parlando; distrattamente guardo il mio vicino.
E' un uomo oltre i quaranta, alto e robusto, molto elegante, come è elegante il resto del pubblico.
Io con il mio leggero vestito balneare e la pelle cotta dal sole sono decisamente fuori
posto.
Decido che ha un buon odore, il mio vicino.
Profuma di signorile eleganza e costosa colonia: un ottimo esemplare di maschio della Verona bene.
Poi è lui a voltarsi verso di me, incuriosito.
Finché decidiamo di smettere quel balletto di sguardi curiosi, ci salutiamo e ci presentiamo:
-Fede-
-Francesco-
Scopriamo di essere senza compagni tutti e due, decidiamo che decisamente quell'autore è pomposo e noioso, ma restiamo fino alla fine.
Beviamo anche qualche cosa insieme, nel rinfresco che segue, chiaccherando del più e del meno.
Lui è conosciuto, saluta parecchia gente ma non si ferma con nessuno.
Fino a quando ritengo che è l'ora di andarmene .
E' passata mezzanotte da un pezzo e devo tornare a casa a piedi.
Non mi preoccupo di eventuali aggressori notturni, ma delle mie povere estremità che cominciano ad essere doloranti.
Comunico la decisione a Francesco, che decide di venir via con me.
Arrivati sulla strada allungo la mano per salutarlo e lui:
-Ma non ha la macchina? non vorrà andare a piedi a questa ora di notte. Io abito qui vicino, venga con me, così l'accompagno con la mia-
Questo detto con assoluta naturalezza infatti mi guarda come se fossi trasparente, neppure per una volta ha dato un'occhiata alle mie tette oppure alle gambe che pur sono in mostra
e che pare siano il mio pezzo forte.
Io, d'altro canto, sono priva di ogni impulso sessuale, verso chiunque, come una neonata.
Ribatto che intendo tornare a piedi, ho bisogno di pensare, i tacchi non sono un problema per me, eventualmente toglierò i sandali, non sarebbe la prima volta.
Mi chiede se può farmi compagnia, è così bella Verona di notte e in questa notte poi, ancora calda, pare che quest'anno l'estate non voglia proprio finire...
Capisco che desidera parlare con me, ha bisogno di qualcuno che l'ascolti, un estraneo qualunque, mi ha confidato che sta divorziando con dolore, e in questi casi a volte una persona che non si conosce sa ascoltare molto meglio dell'amico più caro.

Così gli chiedo se posso prenderlo sottobraccio e lui mi risponde che in questo caso dovremmo darci del tu.
Iniziamo a camminare lentamente sul lungadige, mentre le luci della città lasciano intravvedere solo poche stelle oltre la mole di Castelvecchio in lontananza e i tetti dei palazzi intorno.
-Come si chiama tua moglie?-
Allora comincia a raccontarmi di lei, del matrimonio naufragato, con voce pacata, mentre l'accento veneto così morbido e cantilenante conferisce alla sua storia una sfumatura di favola.
E mentre lui parla me la vedo di fronte questa bella donna con la quale l'amore è finito senza un perché, per noia, abitudine, chissà, lasciando un dolore acuto che è come una ferita non ancora cicatrizzata.
Forse è difficile uscire indenni dal naufragio di un rapporto durato dieci anni.
Vorrei aiutarlo perchè mi commuove, questo è un uomo non un ragazzo come i soliti compagni delle mie storie tempestose, che scelgo inspiegabilmente con estrema cura.
Ora sta parlando di un figlio voluto e mai avuto, quando:
-Porc... ahia che male!-
Rapita dal racconto del mio compagno sono appena inciampata in un'aiuola torcendomi la caviglia destra.
Siamo ormai arrivati al ponte Scaligero, di fronte c'è un giardino pubblico con alcune panchine.
Finalmente mi accorgo che Verona è deserta a quest'ora.
Francesco mi sorregge premuroso, ma ride alle mie esclamazioni e mi suggerisce un temporaneo riposo per controllare gli eventuali danni.
Attraversiamo lo stradone e la prima panchina tra gli alberi è la nostra.
Ci chiniamo insieme sulla caviglia disastrata che poi tanto disastrata non è e le nostre mani si sfiorano.
Succede qualche cosa, un contatto improvviso come un temporale d'estate, forse è colpa di tutta questa insolita tenerezza che provo per lui oppure Francesco si è accorto di quanto è liscia la mia pelle, non lo saprò mai.
Ci rialziamo e rimaniamo a guardarci per un attimo, poi i nostri visi si avvicinano lentamente e le labbra si sfiorano appena, come volessimo assaggiarci.
Per finire a baciarci fondi toccandoci dappertutto; le sue braccia sono forti, hanno una violenza stordente, deliberata e controllata a cui soccombo con gratitudine.
E'passione quella che all'improvviso si accende tra noi, naufraghi in un giardino deserto, una specie di amoroso calore da regalarci a vicenda come un dono prezioso.
Così Francesco insinua una mano sotto la gonna e lentamente risale tra le cosce che deve forzare per farsi strada, quasi che inconsciamente il mio corpo stia ancora rifiutando il piacere.
Arriva titubante agli slip e poi al sesso umido, dove le labbra che mi piace immaginare color cremisi nell'eccitazione si aprono finalmente riconoscenti ad accogliere quelle dita così esperte.
Mi fruga, accarezza, penetra con dolcezza, delicato e senza fretta, mentre al contrario continuiamo a baciarci come se volessimo divorarci.
E mentre lui mi porta in vetta a quel piacere che è musica per il movimento dei miei fianchi io resto appesa alla sua bocca, stordita da un appagamento che non è solo carnale ma anche amoroso, perché provo una gran gioia nel dargli sollievo pur se momentaneo con quel corpo che lui ha risvegliato alla gioia di vivere.
Per un attimo ho la netta sensazione di averlo già incontrato, Francesco, chissà, forse in un'altra esistenza.
E tutto nella notte è bianco e nero, di un bianco di luna e di un nero di carboncino, tutto è tenero, vellutato e misterioso.
Ascolto il grosso acero stormire sopra di me e in sottofondo l'Adige scorrere, mentre apro i pantaloni dell'uomo e lo tengo in mano, sentendo le sue vene gonfiarsi contro il palmo e palpitare più forte.
Mi ritrovo per un attimo a pensare ancora una volta che meraviglia sia il sesso maschile, capace di tante metamorfosi.
E mentre anche noi diventiamo figure in bianco e nero, fatti di quella luce speciale che si insinua sulle forme come i gatti sui tetti di notte, mi inginocchio di fronte a lui, perchè diventi nella mia bocca parte di me.

Il mio ramadan è finito, credo proprio che per Capodanno sarò di nuovo a Venezia.



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