Mi sfiori lentamente una spalla mormorandomi all'orecchio:
-Devo andare, tra due ore parte il mio aereo-
Poi, allontanando il piumone, e accarezzandomi dalla schiena fino alle caviglie continui:
-Voglio ricordarti così, visto che per un mese dovrò fare a meno di te; ma ti telefonerò spessissimo, amo anche la tua voce, mi fa pensare al letto...-
Io viaggio nel beato dormiveglia languoroso del dopo amore; abbiamo passato il pomeriggio tra le lenzuola, visitando i porti di ogni fantasia erotica possibile.
Dentro ho un sole che illumina e riscalda: faccio le fusa come una gatta.
Non son preparata a quello che succede ora; mi afferri una mano e la porti sul tuo sesso, di nuovo pronto, poi ti sposti sopra di me e mi sollevi le natiche; passi velocemente una mano a taglio tra di loro, poi mi prendi, da dietro, con un colpo solo, in silenzio, ripercorrendo una via appena esplorata e ancora bagnata di te.
-Ecco il maschio che fino all'ultimo vuol marchiare la sua femmina- penso io, adattandomi subito alle tue spinte, eccitata dal tuo desiderio, ancora così impetuoso nonostante i nostri molteplici giochi pomeridiani.
Mi tocco tra le gambe bagnate del tuo seme: ma tu allontani la mia mano per sostituirla con la tua che scava, preme, accarezza senza sosta.
E poi arrivi al piacere, gemendo, quasi una sofferenza, riempiendomi di nuovo.
Ansimanti ci abbandoniamo sulle lenzuola, impregnate dell'odore dolciastro del sesso che è poi quello della nascita, come scrisse Miller.
-Non sei venuta, vero? perdonami, non ce l'ho fatto a trattenermi-
-Non importa, forse sono troppo stanca anche per un altro orgasmo. Vai ora, che io mi rimetto a dormire-
Mi baci una guancia, i capelli, mi risistemi addosso il piumone e te ne vai.
Io scivolo nel sonno, ma per breve tempo.
All'improvviso mi sveglia il sibilar del vento che soffia forte sul lago e frusta senza pietà i rami dei salici e dei pioppi e le vecchie finestre della grande casa.
Fuori fa molto freddo, mentre all'interno la temperatura è fin troppo alta.
Ho sete, mi alzo per scender in cucina a bere.
Trovo la tua camicia abbandonata in fondo al letto e me la infilo.
Scalza, apprezzo il contatto dei piedi sulla folta moquette che riveste anche le scale: qui ci proteggiamo bene dal freddo.
Arrivo in cucina, mi verso un bicchiere d'acqua e guardo il lago, al di là dell'ampia finestra.
Gli alberi si piegano sotto il vento del nord, le acque si agitano e nel buio di questa serata invernale le luci sulla riva opposta paiono gemme cadute alla rinfusa dal cielo.
Allora, improvvisamente, come un lampo in un cielo sgombro da nubi, il pensiero corre a te, a te che non incontro da mesi, ma che ora vedo al di là della vetrata, i tratti del viso netti, come se fossi davvero qui, i capelli scuri agitati dal vento e quegli occhi azzurro cupo che san sorridere prima della bocca.
Sei il mio uomo proibito, quello di cui non si può parlare, l'altro, quello che non potrà mai stare con me: sono le leggi degli dei e degli umani. Ma non è forse ciò che non si può avere che spesso diventa una ragione di vita?
Gli inguini mi dolgono per tutto l'amore appena fatto, ho addosso l'odore- e non solo- di lui ... eppure ora è te che desidero come non mai.
Stringo forte le cosce, un crampo mi contrae il ventre mentre inizio a muovere
le labbra, in una silenziosa profana supplica:
-Ma dimmi, perché non posso averti,ora, subito?
Non so se è amore quello che provo per te, in questo momento, ma se non lo è gli assomiglia molto.
Quando ci incontriamo e ci sbraniamo a vicenda nel tentativo di placar una lussuriosa antica fame, mi ripeti che nessuna è come me, che sarà per sempre così.
Allora vorrei sapere se, una volta tornato nella lontana antica città ormai ridotta a un cumulo di macerie, ti capita di desiderarmi come ti vorrei io adesso, nonostante il mio uomo mi abbia appena lasciata.
Perché se è così, allora...
Amore mio, non è assurdo, inconcepibile, che tu non sia qui, vicino a me, che in questo momento non ti possa baciare, accarezzare, eccitare ed eccitarmi con il tuo odore, che non ti possa prendere in bocca per saziarmi di te?
Che non ti possa permettere di saccheggiare tutto il mio corpo, dai seni, al sesso,al sedere, in modo che possa saziarti della mia carne, quanto e come vuoi?
Perchè non c'è la tua lingua dentro di me, quando tanto disperatamente la voglio a penetrarmi con perizia, facendomi sussultare dal piacere?
E le tue mani, dalle dita lunghe e snelle, perché non sono sui miei seni a racchiuderli mentre accarezzano i capezzoli eretti come piccoli soldati?-
Il vento continua a soffiare, implacabile; e io, all'improvviso, sono disperata.
Niente mi pare abbia più valore, forse neppure la mia vita.
Fino a cinque minuti fa ero una giovane donna sicura di sé che si sentiva bella, intelligente, in carriera, con accanto un uomo altrettanto giovane e innamorato e ora, che ci fai tu qui, tra le mie cosce, tu che non fai parte della mia vita, ma che ne entri ed esci a tuo piacimento?
Con la mente piena di questi pensieri che ormai non riesco più a governare è fatale che la mia mano scenda ad accarezzare il sesso; intanto guardo fuori sul lago: il vento è cessato, sta nevicando.
Voglio te , solo te, e non ti avrò mai: dolore, rabbia e rassegnazione, mi piegano in un orgasmo violento, acuto, che è piacere e dolore insieme.
Ma se la carne è momentaneamente placata, i pensieri si affannano ancor più.
E la mia preghiera continua:
-Perché non mi è possibile offrirti il buchetto tra le colline gemelle delle natiche affinché tu lo penetri e mi cosparga di seme anche lì, per poi stare distesi,vicini, a parlare di qualsiasi cosa anche degli angeli con naturale confidenza, mentre ti accarezzo il sesso, piccolo e indifeso, giusto così, per un eccesso di vitalità?
Perché non ti posso stendere sulla schiena e mordicchiarti i capezzoli e leccarti l'ombelico e prenderti in bocca fino a farti mugolare per l'eccitazione?
E salirti sopra per permetterti di scivolare dentro di me e imprigionarti, per poi farti uscire e leccare con ingordigia i miei stessi umori?
Perché non posso farti finire nella mia bocca, in modo che il tuo sapore penetrante mi rimanga sulla lingua, e qualunque cosa mangi per un po' sappia di te?
Perché non posso appoggiarti le gambe sulle spalle e lasciarmi guardare da te, aperta, in modo freddo, distaccato, scostando le mie labbra di femmina, e tu sei talmente vicino che ne avverto il respiro e vengo senza neanche aver bisogno della tua lingua?
Come è successo a Venezia, nel piccolo appartamento di calle della Màndola, ti ricordi? Eravamo due ragazzini allora.
Perché non sei qui, per mettermi a pancia in giù e disegnarmi con le unghie sulle natiche decorazioni simili a quelle delle uova pasquali, fino a farne zampillare piccole gocce di sangue?
Perché non posso far l'amore con te usando tutte le parole morbose e volgari che conosciamo solo noi due, parole che riempiono la bocca, per poi prenderci con pudore, quasi timidamente?
Perché non posso svegliarmi accanto a te, prepararti, nuda, una opulenta colazione, sventolando le tette sopra le tazze di cioccolato caldo e il pane tostato, per poi, seduti vicini, occhiaie gloriose a testimoniare una notte memorabile, parlare stancamente di golosità, quanto è buona la sacher, come la divoreremmo volentieri e alla fine, sazi, guardarci negli occhi, scoppiare a ridere e ricominciare a far l'amore?
Un far l'amore che dura a lungo, questa volta, ma non è faticoso, perché non siamo mai stati vicini come ora, i nostri corpi si toccano così intimamente da lasciare tra noi uno spazio tanto esiguo da non riuscire a farci passare una mano per accarezzarci, un far l'amore in cui si insinuano movimenti convulsi solo poco prima di raggiungere il piacere.
Sono stanca di pensare, di pensarti, potrei masturbarmi di nuovo, ma non voglio far l'amore da sola, io voglio te e le tue dita non le mie, voglio la tua lingua e il tuo sesso e da questo desiderio le mie mani non riusciranno davvero a liberarmi.
Domattina avrò di nuovo tutto sotto controllo, certo sarà un lunga notte, ma la capacità di avvertire in ogni centimetro di pelle il folle desiderio di te mi fa sentire viva come non mai.
Perché, perché, perché...
Morgause