Quel quadrato nero, quell'ombra chiara, quel gioco di chiaroscuri, quel gioco di luce.
Dentro a quella forma geometrica il tuo fascino, e prepotente la tua voglia di giocare, la tua sicurezza e la spavalderia di chi sa di piacere e di chi conosce bene i suoi punti di luce e chiama per nome la sua oscurità. Sono una donna indecente perché continuo a guardarti negli occhi e continuerò a farlo sino a che potrò, non abbasserò mai lo sguardo, come un punteruolo affilato ti entrerò dentro l'iride e poi alla tua pupilla, arriverò sino al tuo cervello e lì annuserò di che materiale sei fatta. Gomma? Plastica? Ferro? Legno? O semplicemente aria. Sei una donna d'aria e acqua. Aria che legherò con fili colorati per tenerti con me, acqua che berrò quando sentirai i miei capelli neri in mezzo alle tue gambe, quando lentamente ti sfiorerò le cosce, dipingerò sulle tue gambe il mio nome, ti marchierò a sangue la vita. Presuntuosa donna dai ritmi caldi e avvolgenti, trasgressiva nelle parole, distante nell'anima. Una lunga catena da metterti al collo, fredda sulla pelle, pesante nel cuore. Passeggerai con me dentro i meandri del mio castello, strisciando sul pavimento di legno che odora ancora di te e di me e di quando ti ho scopata con la lama del mio coltello. Tremavi come una foglia che fatica a stare sul ramo come una bufera di sesso, eri nuda su quel lastricato color bronzo, e io in piedi a gambe aperte sopra di te. Un guizzo nei miei occhi, un fascio di luce madreperla, l'impugnatura del mio strumento. Strumento di piacere? Di tortura? Di entrambi? Mi chinai in avanti verso di te, disegnai con la punta tutto il tuo corpo, dalla testa, ai piedi. La lama fredda sulla tua pelle, il mio silenzio, i tuoi occhi impauriti ed eccitati, il mio sguardo di sfida. Avrei potuto regalarti il piacere estremo o la morte. Iniziai dalla fronte, dipinsi il tuo profilo, leggera m'incamminai verso il collo, spinsi un po' la punta per farti sentire che io c'ero e bastava poco perché tu non ci fossi più; i tuoi seni lisci e morbidi, cerchi concentrici intorno ai tuoi capezzoli. La lama ed io ci fermammo lì, venni più vicina a te, volevo guardarti, osservarti bene e baciare le tue labbra mantenendo la lama in quella posizione, un tocco più pesante e ti avrei tagliata. Un taglio sul seno, avrei succhiato il tuo sangue e l'avrei riportato dentro alla tua bocca. Linfa vitale.
Non potevi muoverti, il tuo corpo ghiacciato, fermo , immobile; vedevo i tuoi brividi, sentivo il tuo respiro leggero. Andai più giù, sino ad arrivare al pube, ti sentii sobbalzare, appena percettibile un movimento e inarcasti leggermente la schiena, la mia lama era lì aspettava di pettinarti, di entrarti, di scoparti senza tagliarti.
Accarezzai piano con mano ferma le piccole labbra, mentre con la mia lingua leccai la lama del coltello per sentire il tuo odore, odore acre di ferro dolciastro, la bagnai con la mia saliva, giocai ancora un po' fuori mentre sentivo il tuo respiro farsi più corto, iniziavi a gemere e con una mano mi afferrasti il braccio. I tuoi occhi, due perle di terrore; i miei, due perle.
Ti aprii leggermente le gambe, mi inginocchiai davanti a te come se pregassi, la mia preghiera d'amore eterno per te. Regalarti un piacere sconosciuto o una morte sacra?
Ero stanca, volevo scoparti, volevo sentirti, volevo goderti e ascoltare come pronunciavi il mio nome, se solo l'avessi pronunciato in modo errato, la mia mente si sarebbe ribellata e avrei iniziato a farti a pezzi li dove esce la vita, sarebbe uscita solo la morte. Una morte rossa, rossa come la nostra passione, rossa come i tuoi abiti, rossa come le nostre luci.
Luci Rosse. Amore.
Girai il coltello, e con l'impugnatura entrai velocemente.
Tu gridasti, e io iniziai a muovere quella magnifica madreperla dentro e fuori di te.
Ritmo brasiliano, veloce, allegro, solare. Ora ti muovevi, ora non avevi più timore, non potevo più tagliarti, ti guardavo dritta negli occhi, ti presi la nuca e ti alzai perché tu mi guardassi e intanto ti muovessi al mio stesso ritmo, e poco dopo sentii vibrare sotto le mie mani di madreperla il tuo corpo. Pronunciasti il mio nome gridando e venendo, il tuo fu un orgasmo prezioso, divino, forte da far tremare anche il mio corpo appoggiato al tuo. Com'eri bella dopo la paura, com'eri bella fra le mie braccia, com'era bello guardarti mentre dentro di te avevi un coltello e il mio nome.
Nostalgia.
Nostalgia della mia lama rimasta sola.
La ripresi in mano, ti feci sdraiare di nuovo, e piano lentamente iniziai a inciderti appena sopra al pube le lettere del mio nome. Gridavi, ed io con te, pregavi ed io con te. La scia di sangue di ogni lettera colava sui tuoi riccioli.
Marchiata. Stigmatizzata.
Di me.
Anna Mugler