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Racconto n° 4527
Autore: Alicedellemeraviglie Altri racconti di Alicedellemeraviglie
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Nella tana del Bianconiglio
Non so come fare ad arrendermi a lui.
Sembra un uomo deciso, ma non si decide a provarci con me.
Resta lì, come il più feroce dei felini ad aspettare che la sua preda si stanchi di correre.
Un suo passo, sono almeno cinque dei miei. E sono stanca di sfuggirgli.
Ogni volta che lo incontro, mi annusa, annusa l'aria attorno a me.
Si avvicina, pericolosamente, invadendo il mio spazio.
Si staglia lì, fiero ad un passo da me.
Mi sento braccata.
Cerco e trovo una via di uscita da quel senso di possessione.
Gli volto le spalle e me ne vado, sudata.
Anche questa battaglia l'ha vinta lui.
E poi un giorno non preciso e mai precisato del mio calendario, vengo ipnotizzata dalla sua voce al telefono, che mi dice - Vieni qui.
Imbambolata, salgo in auto. Percorro la strada che ci divide, nel tempo di un battito di ciglia. Quel tempo è superfluo, quindi perché ricordarlo?
Parcheggio lontano dal suo negozio, chiuso per la pausa pranzo. La mia auto sarebbe una confessione troppo visibile del peccato che sto per commetetre.
La porta sul retro si apre, un secondo prima che la mia mano la sfiori per bussare.
Il suo corpo riempie tutto lo spazio davanti ai miei occhi. E' immenso.
Non proferisce parola, il suo braccio avvolge la mia vita, attirandomi a sé.
Sono nella tana del Bianconiglio, pronta per essere introdotta al paese delle meraviglie.
Mi sfila la borsa, la appoggia da qualche parte.
Sono una bambola. La gola mi si secca, non riesco a proferire parola.
Mi accarezza i capelli, dolcemente la mano percorre il viso, le spalle, scende lungo il fianco, si ferma. E con uno scatto mi afferra sotto le braccia e mi mette seduta davanti a lui sul bancone.
Ora siamo occhi contro occhi. Li chiudo, mi abbandono ai sensi.
La mia guancia accarezza la sua e una mano scivola a delineare i contorni del suo viso.
Ho paura di scendere oltre. Di rovinare quel momento che ora sembra eterno.
Sento il suo fiato e la sua bocca umida, appoggiarsi sulla mia.
La socchiudo, dimostrandogli la mia decisione ad arrendermi a lui.
E' la mia bandiera bianca. Depongo le armi, fammi tua prigioniera, ti prego !
La sua lingua e la sua mano scivolano all'unisono dentro me. La prima infilandosi tra le mie labbra, l'altra invece in quelle più in basso.
Ne sono quasi offesa. Tanta sfacciataggine non me l'aspettavo da chi, fino ad un secondo prima, aveva rispettato i miei tempi lunghissimi, assecondandomi.
Ma ora, devo cedere, concedermi a lui, al suo istinto che vuole prevalere e che mi vuole possedere. In quell'istante. Lì.
Il suo sapore mi invade. La lingua non lascia altro spazio in me. La mia bocca fatica a contenerla, può solo farle spazio. Mentre quelle dita là in basso mi accarezzano gentili, roteano delicatamente, trafugando il miele dal mio alveare.
Si stacca da me e porta il nettare rubato alla bocca. Mi assaggia, tutta.
Mi sorride. - Hai voglia di me ? Lo vuoi ? - Riesco solo ad annuire, come una scolaretta impacciata di fronte al maestro che le dice di andare a sedersi, il primo giorno di scuola.

- Se lo vuoi devi dirlo. Dimmi che mi vuoi. -

Mi ricordo di avere superato da un pezzo sia l'infanzia che l'adolescenza e un briciolo della donna che sono, ritorna dal luogo oscuro in cui si era ritirata, per dare vita alle corde vocali. In un solo fiato riesco a far uscire uno stridolo - Si ti voglio, prendimi.
Si allontana da me. Come? Proprio ora che ho trovato il coraggio di dirgli che lo voglio?
Afferra una sedia, me la mette davanti, ci si siede e aspetta.
Capisco che tocca a me.
Scendo dal bancone, faccio coraggio alle mie gambe molli, imponendo loro di tornare ad essere quelle bianche betulle che tanto gli piacciono.
Coraggio ! State dritte e sorreggete questo mio desiderio di abbandonarmi a lui.
Sento il suo sguardo, in attesa di vedere la mia pelle. Aspetta, come si aspetta il cameriere dopo l'ordinazione. Sicuro che quanto desidera sta per arrivare e si gusta l'attesa.
Percepisce la mia incertezza, la mia vocina che mi urla di andarmene, adesso o mai più.
- Spogliati - e non è un ordine, né un imposizione. Non è detto in tono umiliante, ma semplicemente, detto come si direbbe all'ospite di accomodarsi in casa.
Chiudo gli occhi di nuovo, non potrei sopportare di intravedere disappunto o critica nel suo sguardo vedendo il mio corpo nudo, davanti a lui.
Mi tolgo ad uno ad uno tutti i miei sette veli.
E resto lì disarmata. Troppo intenta a trovare il coraggio per togliermi i vestiti, non mi sono accorta che lui nel frattempo si è alzato, svestito e ora è ad un centimetro da me.
Mi solleva, le sue braccia mi avvolgono. E le mie gambe ora avvolgono lui.
Due passi indietro e torna seduto sulla sedia ed io su lui.
Comincia la danza.
Le sue dita studiano ogni centimetro della mia pelle. La sua lingua mi accarezza, ruvida e umida. Marchiandomi con il suo sapore.
Ci mischiamo. Il mio sudore sulla sua saliva, il suo odore sui miei umori che sgorgano indomiti, sbandierando impunemente il mio desiderio, incuranti del mio imbarazzo.
Lui ora sa che sono pronta, che non mi tirerò indietro, che lo voglio. Quanto lui vuole me.
E che da lì in poi la mia testa non comanderà più il mio corpo.
Ora siamo sullo stesso piano, animali che si lasciano spingere dai loro istinti ad accoppiarsi. Siamo carne, bramosa di altra carne.
Un altro battito di ciglia, di tempo dilatato e brevissimo. Rituali di accoppiamento.
Poi mi solleva di nuovo, sono in piedi di fronte a lui, mi bacia l'ombelico, il pube. E aspetta. Alza lo sguardo, fruga nel mio, si accerta che sia tutto a posto, mi cinge la vita per farmi scendere e quel gesto deciso che tanto aspettavo da lui, si compie. Scivolo dolcemente sopra al suo pene, facendolo accomodare. Siamo l'uno dentro l'altro.
Sento i miei liquidi viscosi avvolgerlo, lo scaldano, lo accudiscono, lo accolgono.
E lui immobile, si gusta il benvenuto in casa mia.
Mi sorride. Mi bacia e la sua lingua ripete il gesto deciso, compiuto dal suo pene un attimo prima. Sono invasa da lui.
E mi piace.

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