Era un tardo pomeriggio come tanti in ufficio. Mi attardavo a finire delle cose solo perché aspettavo che la pioggia incessante fuori almeno rallentasse. Le strade erano completamente allagate, il vento colpiva gli stendardi di plastica dello showroom al piano terra, le catene che li reggevano facevano un brutto clangore, tanto che parevano dover strappare la tela plastificata da un momento all'altro. Altri venti minuti e me ne sarei andata comunque, pianissimo, ma me ne sarei andata.
Avevo aperto Facebook e l'avevo dimenticato acceso, tanto che lo stavo chiudendo. Proprio col puntatore sulla X, un messaggio fa pop-up sullo schermo.
- Ciao, da quanto tempo...come stai? -
Era lui. Lo avevo rimosso a Pasqua scorsa, quando mi aveva abbandonata per tutto il weekend se non per scambiarci auguri asettici e senza affetto. Senza molti complimenti e con un paio di sms gli avevo chiesto gentilmente di non chiamarmi più. Certo, bruciava ancora qualche centimetro sotto l'ombelico il ricordo di quella notte a Prati, di tutto ciò che era successo dopo esserci incontrati alla fermata Cipro. Il Bed and Breakfast era stupendo, romantico e raffinato, il lettone grande e morbidissimo, lezioso quel tanto che bastava per corromperlo in un'alcova di sesso goloso. Mi aveva presa appena la signora era andata via dopo averci dato le chiavi, arrotolati i jeans sulle ginocchia mi aveva leccato la fica già bagnata, ancorché non freschissima dopo la giornata di lezioni. Avevo avuto giusto il tempo di sfilare una gamba dai jeans prima che mi scopasse. Quattro volte l'avevamo fatto prima di uscire a cena, ad ogni ripresa ci spogliavamo un po' di più, fino a quando ci eravamo trovati infine nudi, esausti ed affamati. Era una bella sera di metà febbraio, serena e non tanto fredda, la prima volta che vedevo le mura vaticane dal retro. Il tempo di una pizza e ce n'eravamo tornati in stanza. Quella sottana di seta rossa con l'oblò tra i seni sghembava sul mio corpo dopo esservi stata straziata due volte. L'ultima, incredibile, con i fianchi schiacciati nel letto mi aveva trapassato le budella dal culo, mi era salita una pelle d'oca di dolore e piacere. Ero venuta così forte che parevo piangere, con lo spazio che si deformava fuori dalle orecchie avevo gridato all'incredibile. Sullo sfondo Chet Baker aveva preso per mano i miei singhiozzi, irrefrenabili anche al solo tocco delle sue dita lungo i tricipiti e il fondoschiena, fino a quando ero sprofondata nel sonno, obliqua come mi trovavo. All'alba solo dei fantastici cornetti al cioccolato ci avevano fermati dallo scopare ancora, e ancora.
Quei frammenti di non più di qualche secondo, piccoli vetri di un cristallo rotto nei reni, devono averlo incuriosito: - Ci sei? -
- Sì - . Parte una carrellata di aggiornamenti nostri, di amici e di conoscenti. La pioggia fuori non vuole sapere di rallentare. Ad un tratto, dopo qualche istante di silenzio:
- Ascolta, un mio cliente mi ha portato una bottiglia di Primitivo a 18°, mi ha detto che è un vino da meditazione, ma mi scoccia berlo da solo, ci vuole qualcuno che sappia apprezzarlo, ti va di aprirlo assieme stasera? - Non è mai stato un tipo da giri di parole, talora la sua schiettezza fa male. Cazzo se mi va, ma questa pioggia mi sconsiglia di sorbirmi due ore di macchina. Oltretutto, questi mesi mi hanno insegnato a dar ragione a Zsa Zsa Gabor, secondo cui sull'automobile di una donna che raggiunge un uomo a casa sua manca solo la scritta - Servizio a domicilio - . La pigrizia e l'orgoglio hanno la meglio sul desiderio e rilancio. - Va bene, ma oggi il tempo è inclemente, che ne dici di mercoledì? - .
Il tempo fino a mercoledì non è migliorato, l'umidità e le piogge incessanti parlano di un nevischio prossimo venturo. Ci vediamo a metà strada per fare un tratto assieme, ho pensato bene di indossare un completino di raso bluette, delle autoreggenti nere di La Perla con un gioco di ricami rétro sui lati delle gambe, i fidi stivali di pelle nera col tacco a spillo. Ho coperto degnamente il tutto con un vestito di maglia grigia con un'ampia scollatura quadrata ornata di jais neri. Mi raggiunge dove ho parcheggiato la macchina, intirizzita nei passetti dal mio sportello di pilota al suo di passeggera entro in macchina, quanto mi è mancata la sua espressione sorniona che mi ricorda qualche rara foto di Aristotele Onassis da giovane, quegli occhi di cristallo dietro gli occhiali da intellettuale. Baci casti sulle gote, benché quelle dita nei capelli della mia nuca lascino graffi di voglie redivive strisciate dai suoi polpastrelli resto leggera e spensierata. Immaginare dopo un istante quelle stesse voglie altrove non mi torna certo d'aiuto.
In una manciata di parole siamo nella sua casa, il camino già acceso invita a levare la giacca.
- Cosa ti va di mangiare per cena, dove posso portarti? - . Sono tentata di rispondergli che se finiamo a letto avrò molta fame di decidere, dopo; mi limito a rispondere con - Non so. Per ora non ho molta fame. Vediamo cosa suggerisce il Primitivo, fammi meditare - . Prende la bottiglia dalla cantinola a terra un metro più in là e la posa accanto al camino ( - Solo per un paio di minuti, per far affiorare i profumi del vino - ). Le fiamme illuminano i profili che vogliono, i volti, le mani, i bicchieri. I sentori dolci e sanguigni del Primitivo si mescolano a Chet Baker, credo lo identificherò sempre con lui, mi abbraccia e mi invita a ballare. Di lì inizia a perlustrarmi il collo con i baci, l'abbraccio diventa carezze e all'istante anche io inizio a profondermi. Un altro sorso di vino e sono baci di passione, famelico mi fa sfilare il vestito, ammira le rotondità dei seni che riflettono le fiamme sul suo viso, il rosso del fuoco rende il blu del reggiseno di un tono vinoso. Mentre mi preda con due dita nella fica che si sta già bagnando oltremodo mi chiede suadente - Che vuoi fare? - . Ho solo modo di sussurrargli - Non farmi parlare, stasera non mi vengono le parole, fammi meditare - . Si accoscia con il viso verso il mio culo scorrendo le mani lungo tutta la schiena, di riflesso appoggio le mani con la faccia al tavolo e fletto il collo in avanti, mi sporgo leggermente col busto, arrendendomi con la fica a lui e al fuoco, sembra quasi volermela mangiare, si ferma solo perché qualche attimo dopo è già bollente fuori e dentro, fradicia di succhi e saliva.
Dopo avermi condotta per i fianchi sul suo letto, mi prende sotto di lui ( - Prima in maniera tradizionale, so che ti piace godere da femmina - ) e mi scopa alla sua maniera, diretta, schietta e senza fronzoli. Mentre lo sento godere dentro di me, vengo anch'io, liberata da quelle grida che portavo sparse nei polmoni. Un attimo dopo aver goduto, mentre ho ancora il corpo caldo come fumante è la canna di una pistola che ha appena esploso un proiettile, lui è di nuovo pronto a scoparmi ( - Sali su di me, voglio le tue tette per me - ). Sento il vino scorrermi nelle vene mentre raccogliendo le ginocchia intorno al suo busto lo cavalco selvaggia, come due fiere ci ruggiamo e mordiamo sui corpi. Dopo averlo urlato per un'altra volta, quel - Vengo - non riesco più a dirlo per intero, ma lacerato in gemiti o sillabe, è un orgasmo del tutto ignorante. Mi si illuminano di colpo i meandri della stanza prima buia, come fossi davvero una fiera notturna. Sentendomi depredata della pelle mi rigiro tra le lenzuola. Lui mi ha fatto un tempo scoprire quello che Cheikh Nefzaoui chiamava - L'Arc-en-ciel - , l'arcobaleno, ne - La Prairie parfumée - . Viene a ritrovarmi mordicchiandomi un trapezio da tergo. Sapiente passa la mano in quella curva dove il costato da Nord e i fianchi da Sud invitano la mano dell'uomo a rallentare e fermarsi, per godere del panorama più antico, del primordio per eccellenza. La sua durezza aggira delicata la crudele punizione del dolore che mi infliggerebbe se mi penetrasse il culo meno dolcemente di così. La mia coscia alzata trova conforto nella sua immobile, per lenire quella lama nelle carni mi passo un dito sul clitoride, non espiro, inspiro, inspiro ancora, sembro recuperare a fatica l'ossigeno che mi serve per sopravvivergli. La stupenda impasse iniziale diventa via via febbre, sulle mie labbra che boccheggiano sulle sue dita, sul mio bacino sferzato dal vento di piacere, sul suo cazzo che si dilata e mi dilata, sulla sua voce sempre più spietata, un arcobaleno di colori nuovi e inattesi si apre lungo le nostre schiene, vi si mescolano toni sempre più acquosi e meno nitidi. A quel punto può esservi solo l'orgasmo che ho colto quando la febbre mi accorciava i deliranti sospiri, ad occhi chiusi, mentre sentivo il culo riempirsi del suo sperma bollente. L'arcobaleno si è spento infine tra le nostre braccia.
- Ho meditato. Mi è venuta voglia di carne, andiamo? -
- Vestiti piccola, ho pensato ad un posticino molto bello, ti piacerà, andiamo - .
Fuori, la pioggia aveva smesso di battere. Il giorno dopo sarebbe stata neve.
Dedicato.
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