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Racconto n° 4649
Autore: Morgause Altri racconti di Morgause
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Il pasto nudo
Risplendo addirittura, lo so, nel mio abito rosso, che lascia scoperto gran parte del seno e nude le spalle e tu sei impeccabile nell'abito grigio con la camicia e la cravatta perfettamente intonate al verdazzurro degli occhi.
Stai seduto vicino a me, a questa tavola rotonda che ha ben poco in comune con quella dei cavaliere del Grande Re.
Non siamo a Camelot, ma in una nota località turistica ancora semideserta- l'inizio di un caldo giugno riscalda gli animi e i corpi- in un lussuoso ristorante, ex villa di antica costruzione, il cui salone delle cerimonie, che occupa tutto il piano terreno, è stato adibito a sala da pranzo; e i miei cavalieri hanno ben poco da spartire con quegli altri di Cornovaglia; anche se, a dir il vero, mi trattano con galanteria e qualcuno si azzarda perfino a sbirciare nella invereconda scollatura.

Sono compassati professori Universitari tuoi colleghi. Mentre mi chino verso di te per mormorarti qualche cosa di vago solo per assaporare quell'odore di complicità che all'improvviso mi stordisce, inutilmente mi ripeto che sei sbagliato per me, un errore che non posso permettermi:il corpo non sente ragioni.
Tu sorridi e io decido di lasciarmi andare. Sono giorni che ti penso opponendo al mio desiderio ostacoli di natura logistica, ora mi arrendo, ti voglio e tutto il resto non conta più.
E anche tu mi vuoi,lo sento.

Mentre conversiamo con gli altri cercando di render meno noiosa questa cena di rappresentanza, noi due continuiamo a scambiarci occhiate di rapina, inquiete, interrogative.
Le schiene sono erette, i gesti controllati, un poco rigidi, ma attraverso i nostri movimenti quasi leziosi- i miei accuratamente studiati per attirarti a me come farebbe un ragno con una mosca nella trappola della sua invisibile tela- è evidente, almeno così credo, l'attrazione reciproca che aumenta vorticosamente con il passar del tempo per assomigliare sempre più a un fiume in piena che minaccia a ogni istante di straripare.

Per calmarmi guardo fuori dalle grandi portefinestre aperte le cui tende bianche e leggere si gonfiano al vento del lago come vele per perdermi nella contemplazione dei giganteschi cedri del Libano che fan da mura verdi alla enorme villa.
Sotto la tovaglia le nostre ginocchia si sfiorano casualmente e il contatto mi travolge: un infuocato richiamo accende il ventre.
Non è cambiato nulla nei nostri gesti, ma il desiderio è così intenso che lo si può palpare, diventa una nebbia densa e calda che ci isola dal mondo circostante.

Io sollevo la forchetta socchiudo le labbra e mentre le nostre dita sulla tovaglia paiono inseguirsi, so con sicurezza che tu indovini il sapore della mia saliva, senti la mia lingua muoversi nella tua bocca come un mollusco soffocante e avvolgente.
Ti guardo negli occhi e mi pare di sentire le parole-ti voglio- salirti alle labbra. Dissimuli tossendo con discrezione.
Eppure pare che nessuno si accorga del nostro turbamento: i riti dell'etichetta vengono compiuti a dovere; ma anche se partecipiamo alla conversazione generale, in realtà non sentiamo niente di quanto viene detto.
L'uragano del desiderio ci rende sordi al mondo.

Abbiamo scatenato forze primitive: ansimi e ruggiti di guerra, immagini di carne cruda, di abbracci crudeli,di fiori carnivori.
Senza toccarci sentiamo l'odore e il calore reciproci,intuiamo i nostri corpi nell'atto della resa totale e del piacere, immaginiamo carezze nuove, mai sperimentate prima, così intime e audaci da essere solo nostre.
La tua mano sfiora casualmente la mia mentre, in un soffio, mi mormori all'orecchio:
-Tra quanto finirà questo supplizio?-
Sono atterrita dalla furia travolgente delle mie emozioni mentre conto i minuti di questa cena eterna e noiosa; ma nello stesso tempo voglio che la tortura si prolunghi, fino a che il desiderio diventi insostenibile, tanto da indurci a far l'amore qui, su questo tavolo, davanti a tanti fantasmi in abiti eleganti, e mi vedo, costretta da te, a piegarmi in avanti, il seno premuto contro la tovaglia sporca, in mezzo ai piatti e bottiglie rovesciate, il vestito ridotto a inesistente straccio sotto le scapole, esposta alla luce dei lampadari viennesi, scarmigliata femmina senza dignità, mentre tu mi prendi con forza da dietro; allora tra gemiti e parole spezzate, preziose stoviglie rotte, macchiati di salsa, gocciolanti di vino,mordiamo e divoriamo.
La visione è così intensa che mi pare di oscillare sull'orlo di un abisso.

Non mi resta altro da fare che verificare se anche a te sono passate davanti agli occhi le stesse immagini.
- Scusatemi, vi prego- mormoro alzandomi- devo telefonare; esco nel parco, speriamo ci sia campo-
-Vengo anche io, ho lo stesso tuo problema-aggiungi tu, scostando di scatto la sedia.
Usciamo, io malferma sulle gambe, con la tua mano che imprime un marchio di fuoco sulla mia schiena nuda, per cercare, nel parco che circonda la villa, un posto buio e tranquillo dove consumare in pace il nostro pasto nudo.



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