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Racconto n° 4654
Autore: Thor Vantek Altri racconti di Thor Vantek
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Il privilegio

Nei batey le donne strascicano cantilene. Pestano i piedi sulle assi di legno e intrecciano ghirlande di foglie. Fuori, nell'ombra turchina, la Mamachita raccoglie i fiori in ampi canestri. I bambini si sono arrampicati sugli alberi a strappare i più belli. Poche bambine si sono spinte alla grotta dove crescono al buio fiori pallidi e misteriosi. Orchidee fosforescenti. Saranno consegnate per ultime, quando Mamachita intonerà il canto.
Cammino nel crepuscolo che cresce, conto gli uomini al lavoro tra le canne da zucchero. Ci sono tutti. Nessuno oserebbe allontanarsi dai campi prima del termine del giorno. Nemmeno di questo giorno.
Passo tra le baracche. Le donne si affacciano alle finestre. Il seno celato da una mano, mentre i polpastrelli lo accarezzano. La loro voce si smorza e di nuovo si leva dietro di me. I bambini mi spiano dai recinti degli animali e, quando li guardo, abbassano gli occhi sui piedi nudi. Scalpicciano fango e sporcizia, impacciati dal loro timore.
Mamachita mi ignora. I fianchi larghi, le cosce serrate contro i miei occhi bramosi. La prima volta che ci siamo incontrati ha mormorato qualcosa nella sua lingua. Un vecchio mi aveva avvisato.
- Non puoi toccarla, signore. È una bruja. Troverebbero il coraggio di ribellarsi.
Alludeva ai bifolchi come lui. I miei schiavi. Perciò quel giorno l'ho fissata, sciacquandomi gli occhi sul suo corpo maestoso. Muovendo la lingua tra le labbra in un gesto eloquente. Da allora mi detesta.
Stasera sa che ci sono, sa cosa voglio. Sa cosa dirò. Non può sapere cosa succederà, perché non dipende da lei. Un uomo dovrà decidere. E non sono io. Anche se tutto è stabilito da secoli.
Il fumo si alza lungo il sentiero del mare. L'aria trasporta salsedine e l'odore dei fuochi accesi.
Gli uomini tornano dai campi. Esausti e sudati, grondano rassegnazione. Evitano di guardare le mie scarpe lucide, il mio completo di lino color tabacco e la camicia fresca di bucato. Lanciano un'occhiata al Cohiba che spunta dal taschino e mi salutano sollevando il cappello e chinando il capo.
Cala in fretta la notte e i falò rischiarano il tappeto di corolle variopinte. Le hanno sparse le donne, che ora tornano con le ceste vuote. Mamachita schiocca le dita e il silenzio si spande intorno. Adesso intona il canto e le bambine accorrono dalla grotta. Sparpagliano fiori lucenti come stelle, palpitanti come lucciole. Le orchidee della notte.
Non si sa da dove sia giunta. La ragazza avanza sui fiori. Petali rimangono attaccati ai suoi talloni. L'orlo della tunica rossa ondeggia scoprendo le caviglie. Le braccia sono nude, le spalle rotonde e invitanti. La pelle scura brilla. I capelli sono inanellati di miseri cocci di vetro che sul suo capo acquistano il valore di gemme. Il viso è un ovale perfetto, gli occhi grandi abbracciano ogni cosa e la bocca si schiude in un sorriso appena vede lui. Lui, il prescelto. Un ragazzo robusto che la fissa e la attende accanto a un uomo che fino a poco prima era nei campi. Nei miei campi. E ora è lì con un abbigliamento raffazzonato. L'abbigliamento della festa. Il futuro marito e il padre. Sono immobili mentre lei si avvicina. A pochi passi da loro, la ragazza si ferma. La Mamachita smette il canto e si volge verso di me. Il suo sguardo non concede attenuanti. Sta pensando ogni maledizione di sua conoscenza.
Lo so. Ho visto le capre sgozzate dietro i batey. Il sangue raccolto nei catini mescolato con il succo delle foglie di kobe. A notte fonda intingerà un ramoscello e spalmerà formule magiche. Le sorrido. Lei sa che non ho paura. Incantesimi arcaici sprizzano dalle sue pupille. Si sgretolano ai miei piedi come stelle cadenti.
Osservo la ragazza. È molto bella. Mi accosto a lei adagio. Gli uomini fremono, le donne chinano la testa. Aspiro il suo profumo di fiori selvatici e frutta matura. Mi volgo verso suo padre.
- E dunque regali tua figlia a lui?
Il ragazzo spalanca gli occhi. In lui vibra una soggezione atavica.
- Se tu lo permetti, signore.- risponde il padre.
Anche le farfalle notturne fermano le ali. Persino le fiamme smettono di crepitare. Tutto è in attesa del mio verdetto. Prendo il Cohiba dal taschino. Lo annuso. Lo porgo lentamente alla ragazza. Lei guarda un attimo il suo futuro sposo. Poi avvolge il sigaro con le mani a coppa e, senza staccare gli occhi dai miei, lo prende nella bocca umida. La sua lingua lo lecca. I denti bianchissimi lo mordicchiano. Percepisco il tremore indignato delle donne. L'eccitazione degli uomini.
Rimetto il sigaro nel taschino e, senza parlare, li scruto uno a uno. Nessuno si muove. Aspettano. Nel cuore hanno la consapevolezza della mia magnanimità, nelle vene l'odio per il mio privilegio. Giro la schiena a tutti loro che sospirano di sollievo all'unisono. Passo accanto a Mamachita.
- Mandamene una qualunque.
Non risponde. Mi avvio verso casa. Passi lievi e il fruscio di una veste leggera mi seguono. Mi fermo al limitare della piantagione. I fusti svettano verso il cielo. Lei è timorosa. La sento trasalire al minimo rumore. Mi pare di sentire il battito del suo cuore.
- Svestiti.
Obbedisce. Incrocia le braccia sul seno. Ha paura. Di me. Della notte attorno. Infilo due dita tra le sue gambe. Ansima. Le spingo dentro di lei, con delicatezza. Le sfugge un gemito. Le muovo avanti e indietro. Mi fermo quando il suo ventre si porge a me inarcandosi. Le poso una mano sulla testa e la spingo giù, giù in basso. Si inginocchia. Slaccio i pantaloni e attiro il suo volto verso di me. Verso la voglia che non può vedere, ma che sa. Che le sue labbra indovinano e di cui si impossessano. La punta della lingua si muove in cerchio. Percorre in tutta la sua lunghezza il mio desiderio. Mi avvinghio ai suoi capelli e glielo spingo in bocca. Allontano un po' la sua testa e la riavvicino. Le sue mani si aggrappano ai miei fianchi e lei comincia a succhiare dolcemente. Chiudo gli occhi per ascoltare quel risucchio e i brividi che mi provoca, fino allo spasmo che mi scioglie in lei.
La lascio andare. Raccoglie l'abito e corre via. Via da me e da ogni paura. Il suo corpo nudo si fonde con l'oscurità finché svanisce anche il suono della sua corsa.
Torno a casa. In veranda accendo il Cohiba e riempio di ron un bicchiere. Una figura si nasconde laggiù tra le canne. Termino il sigaro e il ron. Vado in camera da letto e mi spoglio. Il ticchettio del ramoscello di Mamachita sta vergando parole mute intorno alla mia dimora.
Prima di addormentarmi, sorrido.



Thor Vantek

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