Appena chiusa la porta alle loro spalle, lei era già distesa sul letto, chiamava l'amante e cercava di godersi gli ultimi sprazzi di un pomeriggio che le era servito solo ad aumentare le loro voglie. Ma lo volle nudo, prima d'essere spogliata, lo volle accanto a sé soltanto nudo poi si lasciò spogliare da lui mentre s'immergeva nei suoi baci, ad occhi chiusi e sempre dandogli del lei... erano quasi abituati, ormai, a conoscersi profondamente, a rincorrere i piaceri e le lusinghe ma dovevano sempre combattere col tempo, fuggire dall'alcova, respirarsi in fretta gli odori prima che svanissero. Adesso no. Avrebbero avuto tempo, non troppo ma tempo. Si sarebbero potuti quasi saziare anche delle ore passate in treno a tormentarsi le mani a vicenda, sentendo l'eccitazione che saliva fino a vertigini estreme senza possibilità d'essere liberata. S'era fatta baciare anche in treno, anche in taxi, da lui che quasi non voleva, s'era fatta baciare con passione e a lungo, per sé, per lui e per chi li guardava sbigottito. Ora era sua, nuda e languida a nutrirsi di carezze lente e profonde, di baci ardenti, quasi dimenticando di avere sessi da confortare, da placare, da sistemare in qualche maniera. Fuori imbruniva appena, lasciando la stanza alla penombra del tramonto di maggio, nel fresco profumo dell'albergo. Lui non si decideva, lei quasi se n'era dimenticata ma bastò poco per richiamarla alla vita, alla sua vera voglia: incrociò casualmente la verga esplorando il suo ventre, la saggiò a lungo mentre le mani di lui correvano forse più all'ascella che al seno. La trovò invitante, un richiamo sottile... delicatamente si erse sul busto quasi senza staccarsi dalla sua bocca ma poi se ne allontanò per curarsi soltanto del particolare emergente, del suo fallo bramoso, svettante. Anche a questo, lui, era ormai abituato ma così, lentamente, dolcemente, gli pareva tutto più nuovo. L'aveva voluta con sé anche a costo di feroci litigi familiari, l'aveva implorata di accompagnarlo, l'aveva perfino chiesta a Dario; adesso l'aveva, senza limiti e intoppi, senza intrusi e curiosi, l'aveva. La fame era tanta, anche se rotta da frequenti spuntini veloci che si erano già concessi ma non li avevano certo saziati. Si conoscevano, lo facevano spesso, si amavano molto ma sempre di fretta. Ora, il tempo c'era, avrebbero solo dovuto centellinarsi a vicenda, ritardare il morso finale, trascinarsi attraverso una palude insidiosa ma non avrebbero dovuto affogare. Lui, soprattutto. Preoccupato dal gran desiderio, si concentrava sulle sue vibrazioni, aveva concesso al suo corpo di staccarsi dal membro, l'aveva lasciato lì, da solo, dentro la bocca e nelle mani di Rossana affinché ci giocasse, le piacesse. Ma senza cervello. Senza cervello non avrebbe potuto finire, non morire, non venire. Il cervello era concentrato su quel che aveva di Rossana: non la sua bocca, non le sue mani, forse i suoi occhi che sapeva potevano vedere quel che lui faceva. Aveva davanti uno splendore di carne, a cavallo del viso, sapeva le sue mani piene di quella carne e di quella pelle, baciava e mordeva, leccava e suggeva quel nettare come ape nel fiore, delicatamente, senza fretta, ascoltando l'amore che piano sgorgava, assaggiando ogni goccia di miele che cola. Con grande fatica ma ci riuscì, riuscì a trattenersi talmente a lungo in quel suo lavoro che ebbe modo di sentirla gemere del primo magico orgasmo, urlare stravolta dal secondo, cadere tramortita dal terzo, così intenso e profondo da togliere il fiato perfino a lui. La sentì accasciarsi nella sua bocca, quasi potesse entrarci tutta dentro, quasi volesse essere ingoiata, mangiata, digerita; intanto, laggiù molto più lontano dai suoi interessi, sentiva le sue mani stringersi e poi allentarsi del tutto, mollare la presa. La bocca di Rossana già distante aveva svuotato la sua energia in un canto finale e, ora, la sua testa rotolava accanto a quel pene senza poterlo curare... ansimava scomposta, spossata, disorientata, selvaggiamente travolta da se stessa, incapace di muovere un dito. Delicatamente la riversò sul copriletto amaranto e la raggiunse, baciandole dolcemente i sospiri profondi, le labbra socchiuse, gli occhi assenti e felici. Senza fretta, che fretta non c'era, senza meta, che meta non c'era, c'era solo da amarla, venerarla e poi berla. Soltanto quando s'ebbe ripresa per bene, nutrita di baci e lusinghe, sorridente e stanca ma pronta a svegliarsi, frugandole il corpo, frugandole la mente, s'accinse a prenderla davvero, a gettarsi dentro di lei, ad affogare senza la minima voglia di morire. Ancora, ancora concentrato e distolto, cercava di farla godere, di poter mangiare i suoi canti, di baciarle i sospiri, trascinandola lievemente lontano da tutto. Ci volle più tempo, più concentrazione, meno distrazione, un bacio più profondo, le lingue impazzite, i respiri simmetrici e il suo stringerle il seno, torturarle il capezzolo gonfio. La vide sciogliersi ancora, abbandonarsi fremendo al piacere più forte, al canto più bello, senza smettere mai di immergersi in lei. Però s'era torturato anche troppo, aveva trattenuto le gioie fin oltre ogni limite, lo sapeva benissimo... domani, magari, non oggi, adesso... domani promesso, trattengo di più... adesso non posso, adesso mi chiami... come premio ebbe di poterla sentire ancora, ancora una volta, godere con lui, godere di lui, venirle dentro, allagarla d'amore, assorbire anche l'aria, reclamare un diritto, esplodere immenso, in fiotti bollenti.
Stettero morti sul letto, abbracciati e ridenti per lunghi minuti, poi lui cercò di alzarsi, muoversi.
- Dove va, dottore? Non si lavi da solo, aspetti anche me... -
- Andavo solo a... far pipì... non a lavarmi... -
- Aspetti... vengo con lei... voglio stare con lei mentre... -
- Va bene, non c'è problema... -
- Venga qui, dottore, non lì.... venga qui da me... -
Rossana s'era messa già ad attenderlo, nella doccia, seduta sui talloni, le cosce spalancate il più possibile, il busto curvato indietro a offrire seni, pancia e pube nella posa più oscena che avrebbe pensato.
- La faccia addosso a me, la prego... voglio sentirla addosso a me! -
- Ma Rossana! Non l'ho mai fatto! Mi pare anche umiliante! -
- Non l'ho mai fatto neppure io, dottore... non è umiliante: è un suo dono, la prego... ne sento proprio il bisogno... -
- Ma se ti prendo in viso? Che mi fai fare? -
- Se mi prende in viso, sarà ancora meglio... in viso, in bocca, dove vuole. -
Cercando di diregerle il getto verso le cosce, al massimo al ventre, le ubbidì senza resistenze ma lei cercava di spostarsi di sentirlo più addosso, quel getto... finì per assecondarla, per colpirle i seni, il collo, il viso. La vide dischiudere le labbra e accogliere almeno qualcosa sulla lingua, gli parve incantevole come mai gli era parsa.
- Lo rifaremo ancora, dottore? Me lo rifarà? -
- Se... se a te... piace... lo rifaremo. Io non capisco, non so... -
Ma gli era risorta l'erezione, nel frattempo.
- Adesso mi sento... marchiata... più sua... davvero! -
silverdawn