Mi chiamano alcool perché do salvezza, quella di un attimo breve, quella dell'orgasmo.
Sono in molti quelli che mi vengono a cercare, che bussano alla mia porta in cerca di un mio abbraccio. Si avvinghiano al mio corpo con la forza dei disperati, con la forza del naufrago attaccato alla zavorra, mi possiedono per perdere cognizione di se stessi e il mio corpo dona sempre l'oblio desiderato.
Arrivano stanchi e spossati del viaggio, la vita è una strada difficile che spesso graffia via la pelle, ma io sono presenza immobile e impassibile e a me loro arrivano per ritrovare un po' di quiete.
Conoscono bene, questi uomini, la strada che va dalla mia porta al mio letto, altrettanto bene conoscono la via che risale dalle mie caviglie al fulcro tra le mie cosce.
Una bocca che succhia avida e una lingua che scava nel mio piacere è ciò che placa ogni loro sofferenza quotidiana, un dito che fruga tra le pieghe della mia carne è un mondo piccolo e naturale che dona sicurezza e non chiede spiegazioni. I miei gemiti di piacere sono per loro un regalo, segno di dominio almeno sul mio corpo, e con la vista del mio sesso inizia il lento processo che conduce ad ogni dimenticanza possibile.
Il lavoro va a farsi fottere, la moglie petulante anche, i problemi, i consigli, i rimproveri, le malattie... affondano relegati nel più profondo angolo della mente come il dardo che ha preso posto nel mio ventre. Il movimento è un lento cullare, a volte un furioso spingere e lo sfregare accende in questi uomini una voglia cieca, bramosia di godimento che spegnerà il cervello.
Ne godo anch'io, godo del plagiare, del far credere a questi uomini che tra le mie cosce vi è la pace. Da forsennati la cercano scopandomi, mentre la vista si appanna e il rumore del cuore che esplode nel petto riempie i loro orecchi.
Intanto i miei orgasmi si susseguono, il mio ventre vibra senza sosta accogliendo ogni colpo, il mio corpo si fa molle e morbido come plastilina sotto le loro furiose mani, si lascia volontariamente plasmare per meglio inseguire insieme il piacere.
E quando arriva il loro anch'io lo percepisco... i loro occhi perdono colore, la pupilla si blocca su un punto morto, la bocca si sbarra in un inafferrabile ghigno... li vedo... stanno dimenticando, viaggiano nell'oblio!
E dura... dura... dura un attimo, un soffio di vento, un cadere di foglia.
Poi... il brusco risveglio.
Lo vedo anche questo, sempre nei loro occhi: il loro sguardo che non vuole più il mio, il loro corpo che si scansa dal mio ormai madido di sudore.
La riconoscenza deve essere di questa casa. Non importa se adesso è tutto riaffiorato come fosse il riprendersi d'improvviso da una sbronza.
Sull'uscio della porta mi salutano storditi, i vestiti sono cenci che coprono anime ancora perse. Si staranno chiedendo perché sono qui, cosa fanno qui da me se la loro vita è riaffiorata di colpo come un pugno nello stomaco.
Io so solo che torneranno... anche se nella loro testa negano, anche se il loro cuore dice mai più.
Torneranno, torneranno per me.
Mi chiamano alcool e faccio la puttana.
Fiordiciliegi