Pur avendo chiuso il getto dell'aria condizionata che puntava dritto sul suo sedile, Michela non aveva affatto caldo. La temperatura su quel maledetto aereo era sufficientemente bassa da permettere l'allevamento dei pinguini, pensò mentre si girava su un fianco (beh più o meno: i sedili dell'economy non è che si reclinino più di quel tanto...) tirandosi bene la copertina addosso e cercando una posizione comoda per appisolarsi. Essere insonnolita ed infreddolita non stava giovando al suo umore.
Matteo le passò una mano sul braccio. - Hai freddo? - chiese a voce bassa, per non disturbare le persone che cercavano di dormire davanti e dietro di loro.
Per fortuna era uno di quegli aerei che avevano solo due posti nella fila laterale, così non avevano rompiscatole seduti a fianco ad invadere il già misero spazio.
- Un pochino - rispose Michela.
- Sì anche io! Forse è meglio se proviamo a coprirci con entrambe le copertine, dato che dobbiamo stare qua dentro altre 8 ore! -
Armeggiarono un po', cercando di coprirsi entrambi. Alla fine riuscirono a mettersi semisdraiati, di fianco, incastrati a cucchiaio: così le coperte erano sufficienti per sovrapporsi quasi del tutto.
Michela si accoccolò meglio nel tepore di Matteo, grata delle sue braccia intorno al corpo. Meglio, decisamente molto meglio! Chiuse gli occhi e si lasciò cullare, sull'orlo del sonno.
Lui le appoggiò la fronte sulla testa, sfregando piano il naso sulla nuca scoperta. Michela portava un caschetto molto corto dietro, tanto che i capelli più in basso erano rasati per un paio di centimetri, e più lungo davanti, a punta. Matteo adorava annusare e solleticare la sua nuca nuda, e non perse l'occasione di farlo nemmeno quella volta.
Rilassata, Michela si lasciava coccolare in questo modo, dolcemente, fluttuando nel dormiveglia, cullata dal suono dei motori e dai lievi movimenti dei compagni di volo.
Non sapeva per quanto fosse rimasta così, se per pochi minuti o più di un'ora, accoccolata in quel modo, ma improvvisamente la sensazione di benessere iniziò a cambiare, mutando sottilmente. Matteo, senza smettere di strofinarle la nuca, aveva allungato la mano, e ora le accarezzava delicatamente la coscia nuda oltre l'orlo della sua gonna leggera, appena sopra il ginocchio.
Leggere le sue dita la sfioravano, risalendo piano e portandosi dietro l'orlo dell'indumento sotto le coperte. Disegnando arabeschi sulla sua pelle sensibile, all'esterno e all'interno. La mano era calda e delicata sulla coscia ancora un pochino infreddolita, ed improvvisamente Michela si ritrovò piuttosto sveglia.
Lasciò che Matteo proseguisse nel suo gioco di risalita della sua gamba, lasciò che l'eccitazione si risvegliasse e salisse insieme a quella mano stuzzicante.
Assestandosi meglio sul sedile spinse il sedere indietro, annidandolo perfettamente contro il ventre di lui. E allora lo sentì, il suo membro rigido che premeva contro le natiche, attraverso i vestiti.
Si mosse ancora un po', roteando il sedere, per porlo, dritto e duro, esattamente lungo il solco. Adorava sentirlo lì.
Le dita di Matteo si erano inerpicate sempre più su, nel frattempo. Avevano oltrepassato, con un brivido da parte di Michela, l'interno coscia ed erano approdate a colpo sicuro sulla sua vulva. Lei non portava le mutandine, quasi mai per la verità, e lui ne era consapevole. E la cosa non mancava mai di dargli un brivido.
Dapprima giocarono coi ricci sottili che ne coronavano la sommità. Poi cercarono, dolci anche se un po' titubanti, il clitoride, che trovarono duro e sporgente. Si soffermarono a lungo lì, massaggiando. Il respiro di Michela accelerò.
Infine le dita scesero lungo le labbra, cercando l'umidità che sgorgava tra di esse. Copiosa.
Non era il momento, né il luogo... ma forse era anche quello a rendere la sensazione del suo tocco così eccitante: il brivido del proibito, il timore di essere scoperti da una hostess o un passeggero che si incamminasse lungo il corridoio, e fare una figuraccia. Michela non era mai stata così bagnata.
Matteo affondò un dito nella sua apertura calda e umida, e lei sospirò piano. Mentre lui lo muoveva, dolcemente, Michela iniziò ad oscillare il bacino, massaggiando il membro di lui ormai marmoreo, sfregandolo tra le natiche.
Muovendo le anche Michela faceva scorrere la rigida forma del fallo lungo il solco e contemporaneamente si premeva contro la mano di Matteo per poi recedere. Lui aveva tirato le copertine fin sopra le teste, come per dormire escludendo del tutto le luci soffuse dell'aereo, ed ora le baciava e mordicchiava e leccava la nuca, il collo, le orecchie. La sua mano libera si insinuò tra i loro corpi, sollevandole la gonna fino a scoprire completamente le cosce e le natiche di lei, per poi slacciare ad uno ad uno i bottoni dei pantaloni.
Riuscì a calare braghe e boxer quel tanto che bastava per tirare fuori il membro turgido ed impaziente, e quando fu nudo lo riappoggiò tra le natiche di lei.
I due ripresero ad oscillare il bacino all'unisono, lentamente, facendo scorrere l'asta nel solco, respirando piano. Il fiato caldo di Matteo le solleticava deliziosamente il collo, e le sue dita tra le gambe la stavano facendo impazzire.
Ma voleva di più. Gli scostò la mano dalla propria intimità, a malincuore.
Si tirò su di qualche centimetro e sollevò leggermente una gamba. Tese indietro la mano, afferrando il fallo rigido. Lo piegò delicatamente in avanti, passandoselo tra le gambe, posandone la lunghezza contro la vulva. Stringendo le cosce lo chiuse in una morsa di carne calda, umida e vogliosa.
La forma leggermente arcuata del membro era perfetta per quella posizione: l'asta seguiva la forma del bacino di lei, e il glande poggiava giusto sul clitoride, sfregandolo ogni volta che Michela oscillava avanti e indietro. Ogni passaggio era una piccola scossa di piacere che si accumulava nel suo basso ventre.
Il fallo scorreva agevolmente lungo la vulva madida, bagnandosi di umori sempre di più. Il respiro usciva ormai difficoltoso ad entrambi, che cercavano di controllarlo per non fare rumore.
- Ti voglio, - le sussurrò lui all'orecchio - sto impazzendo, ti voglio da morire! -
Quelle parole si incisero a fuoco nell'eccitazione di Michela. Lo voleva, lo voleva anche lei. Nonostante tutto quello che li circondava, anzi forse anche grazie a quello. Annuì, incapace di parlare.
Matteo si ritrasse, posizionando la punta contro l'ingresso palpitante. Con una piccola spinta la penetrò.
Lei soffocò un gemito tappandosi la bocca con la mano. Era talmente eccitata dalla situazione, dal rischio, oltre che dalle carezze e dallo sfregamento del glande delle sue parti più sensibili, che il membro la fendette senza difficoltà, affondando completamente, finché i testicoli si posarono contro di lei.
Rimasero immobili per qualche istante, stretti l'uno all'altra, lui infisso a fondo in lei. Michela lo sentiva pulsare dentro di sé rigido e caldo, Matteo percepiva tutte le più piccole contrazioni della nicchia accogliente in cui si trovava immerso.
Poi lui protese la mano in avanti, a cercarle di nuovo il clitoride. Sapeva che lì lei era più sensibile, era lì che godeva maggiormente. E lui voleva farla godere, voleva sentirla contrarsi violentemente intorno a lui e soffocare le sue grida nella coperta.
Mentre la massaggiava dolcemente, prese a muoversi di nuovo: piccole oscillazioni, quasi impercettibili, che lo facevano sfilare di poco, ma che in quella situazione risultavano tremendamente eccitanti.
Lei gli afferrò la coscia, come a reggersi, e più lui si muoveva, più lei stringeva, affondando le unghie nella pelle, aiutandosi così a mantenere la concentrazione necessaria per non gridare sotto quei lievi colpi che la squassavano dentro. Poi prese a ricambiare le spinte, oscillando a sua volta. Ora il membro scorreva di più, affondando con più forza, sfregando proprio dove piaceva a lei, e le dita di Matteo danzavano frenetiche sul clitoride sempre più duro, mentre lui gemeva sommessamente contro il suo collo.
E infine la pressione che si era andata accumulando dentro di lei esplose in lunghi spasmi, ondate di feroce piacere che stentò a contenere nei confini della propria bocca.
E sentendola sussultare e contrarsi proprio come aveva immaginato sarebbe successo, anche Matteo si lasciò andare, affondando con foga un'ultima volta, mordendole la spalla per non gridare, e liberando dentro di lei tutta la sua essenza fino a restare completamente svuotato.
Si bloccarono ancora congiunti, immobili come statue, riprendendo fiato.
Poi Michela abbassò le coperte scoprendo le loro teste e si voltò a guardare Matteo, cercando i suoi occhi scuri nella penombra. Piano piano la sua bocca si aprì in un sorriso, ricambiato da quello gemello di lui, ampio, sempre più ampio fino a sfociare in una risata, necessariamente silenziosa.
Benvenuti nel club dei 10.000 metri!
Ashara