La porta sbattè con più violenza di quanto avesse inteso. Dalila si appoggiò brevemente al battente, sospirando. Stanca, era così stanca...
Non poteva restare lì, così, nell'ingresso. Facendosi forza si staccò dalla porta e si avviò con passo malfermo verso il bagno. I vestiti erano da buttare, coperto di fango, melma e...altre cose cui non voleva proprio pensare in quel momento.
La lotta era stata lunga e senza quartiere: Lucilla si era dimostrata un'avversaria temibile. Ma Dalila non poteva permetterle di restare nel suo territorio, e soprattutto di maltrattare la - sua - gente, con scherzi stupidi, crudeli e fini a sé stessi. E quindi aveva dato fondo alle sue energie ed alla sua memoria, lanciando strali di elettricità e di forza gravitazionale, sfoderando un incantesimo dopo l'altro, fino all'incantesimo che le aveva permesso di vincere: si era sdoppiata, usando un'antica formula segreta che le aveva insegnato Epomea, la sua maestra, e che si tramandava di maestra in allieva. Attaccando Lucilla su due fronti, aveva avuto ragione della maga stremata.
Con le ultime briciole di energia aveva riunito le due sé, avvertendo una strana resistenza nel momento dell'unione e una gran confusione quando i ricordi delle due metà si erano sovrapposti, e si era trascinata verso casa.
E adesso, sotto la doccia, dopo aver chiuso i vestiti lerci in una scatola di plastica in modo che non ne uscisse troppo odore, sentiva tutta la stanchezza pesarle addosso come un macigno. Asciugarsi i capelli fu un'impresa titanica, che la prosciugò del tutto, e infine Dalila raggiunse nuda il letto e lì, dopo essersi coperta a fatica, svenne.
Sì svegliò dopo, molto dopo, secoli dopo. Una pioggia di minuscoli raggi di luce pioveva dalle tapparelle sgranate, cadendo sulle lenzuola, riempiendo la stanza di una vaga luminosità. Confusa, Dalila sbatté gli occhi più volte per schiarirsi un po' i pensieri, ma le sembrava di avere la testa piena di ovatta. Non sapeva che ore fossero, e nemmeno che giorno fosse.
Cercò di tirarsi a sedere, ed ebbe un'improvvisa vertigine. Chiuse gli occhi, aspettando che il letto smettesse di oscillare come una barchetta in preda alle onde. Ebbe la sensazione che il peso sul materasso cambiasse, come se qualcosa di pesante si fosse adagiato accanto a lei.
Con gli occhi serrati cercò di inspirare ed espirare a fondo, regolarmente, per far recedere l'ondata di nausea, ma nonostante il rombo del sangue nelle orecchie le sembrò di sentire un respiro e un fruscio accanto a sé.
Terrorizzata spalancò gli occhi, girandosi di scatto a destra, verso la fonte del rumore.
E si trovò a guardarsi negli occhi.
Li strabuzzò, e l'altra sé fece altrettanto. Ma no, non era uno specchio. Ciò che vedeva era leggermente diverso da quello che vedeva tutti i giorni quando si specchiava. Cercò di mettere a fuoco bene, di inquadrare cosa ci fosse di strano.
Il neo sotto l'occhio destro lo vedeva a sinistra, sotto l'occhio destro dell'altra, non a destra come sempre nella sua immagine riflessa.
La fossetta era anche lei sul lato sbagliato.
Si lasciò cadere sul cuscino.
Si lasciò cadere sul cuscino. Quella presenza alla sua sinistra era indubbiamente...lei! Qualcosa doveva non aver funzionato nella rimozione dell'incantesimo di divisione. Ripassò mentalmente il rituale di annullamento dello sdoppiamento, e le sembrò di aver fatto tutto correttamente, ma mentre lo lanciava era talmente stanca e provata che qualcosa poteva esserle sfuggito...
Epomea! Doveva chiamarla, lei avrebbe saputo cosa fare!
Epomea, doveva chiamarla! Lei l'avrebbe fatta tornare una! Cercò di alzarsi per accendere la luce e prendere il telefonino -era troppo stanca per una chiamata magica- e sbattè la testa contro l'altra sé.
Dopo una breve lotta contro le sue stesse mani riuscì a spingere l'interruttore e afferrare il telefonino.
- Stai...sto chiamando Epomea? -
Che strano sentire la propria voce provenire dall'altra sé. Diversa da quella che le risuonava in testa mentre parlava, diversa da quella che sentiva nelle registrazioni della segreteria telefonica. Durante la lotta non ci aveva fatto caso...però era una bella voce. Bassa, calda, sensuale. Compiaciuta da questa scoperta, Dalila annuì e premette il tasto verde.
- Risponde la segreteria telefonica di Epomea Romani. Sono in vacanza per una settimana. Non telefonatemi né cercate di contattarmi in altro modo, perché tanto non risponderò. Ciaooooooo! -
L'altra sé era rimasta per un attimo a bocca aperta (con un'espressione totalmente idiota, pensò con sgomento) e poi aveva premuto il tasto rosso con aria delusa. - C'è la segreteria, Epomea è in vacanza per tutta la settimana. E adesso? -
Si guardarono negli occhi, grandi, grigi e luminosi, ancora più spalancati per la preoccupazione.
- Ok, niente panico! Basta organizzarsi! - esclamarono contemporaneamente le due Dalile. Scoppiarono a ridere insieme, dissipando per un attimo il nervosismo.
- Sarà dura abituarsi ad essere in due identiche! - ...e giù ancora a ridere, perché anche questa frase l'avevano detta insieme.
Dalila guardò di nuovo l'altra sé mentre rideva. Caspita, era bella! Tutti i tratti che lo specchio le rimandava la mattina quando si preparava per uscire, e che lei aveva sempre considerato come ordinari, le sembravano adesso luminosi e attraenti: la risata le illuminava il volto.
Titubante tese una mano in avanti, verso l'altra sé che aveva smesso di ridere e ora la fissava sorridente e curiosa. Le punte delle sue dita le sfiorarono la pelle liscia della guancia, sentendone la consistenza con una strana sensazione di familiarità ed estraneità.
Pelle chiara, lattea, Dalila era un po' una Biancaneve. I capelli scurissimi, praticamente neri ma dai riflessi ramati a differenza di quelli degli orientali che avevano riflessi bianchi, lunghi, lisci e folti le incorniciavano il volto candido, su cui spiccavano le sopracciglia come due sottili parentesi sopra gli occhi enormi, le labbra rosse e morbide, semiaperte, tra le quali faceva capolino la lingua morbida.
Non si era mai vista così bella allo specchio.
Non aveva mai sentito una scossa come ora nel toccarsi il volto. Le dita che la sfioravano erano le sue e non lo erano, e le causavano un languore nel basso ventre che non aveva mai associato a una donna prima.
Lo sguardo le cadde più giù, lungo il collo sottile e le spalle dritte, con le clavicole in rilievo. Sul petto con qualche lentiggine, e i seni pieni con piccoli capezzoli scuri che ora si contraevano, ergendosi impertinenti contemporaneamente ai suoi.
Un brivido, la mano dell'altra sul volto che si apriva e la attirava più vicina, ed ecco che le due coppie di labbra si incontrarono, con una scossa quasi elettrica che attraversò entrambi i corpi.
Come tornare a casa dopo lungo tempo, con una sensazione di familiarità estrema, le loro labbra si toccarono, premendosi le une sulle altre. Restando così, per un attimo, ferme, a contatto, prima di iniziare a muoversi, a sfregarsi lievemente, a suggersi. Le lingue da sole emersero danzando, giocando, intrecciandosi. Una pioggia di baci, di piccoli morsi e lievi leccate, intervallata da momenti di unione ed esplorazione più profonda delle bocche, di interazione delle lingue, in un modo...giusto, giusto come non era mai stato con nessun uomo, giusto come non sarebbe mai stato con nessun'altra donna, per quanto abile e innamorata.
Caddero sul letto assieme, due che erano una persona sola in tutti i sensi, avvinghiate, pelle nuda contro pelle nuda, i seni identici che premevano gli uni sugli altri, le gambe intrecciate, le bocche che non avevano smesso di nutrirsi l'una dell'altra.
Dalila accarezzava il fianchi, il ventre, la schiena e i glutei dell'altra sé, godendo doppiamente della pelle serica che scorreva sotto i polpastrelli: la sensazione di piacere fisico, proveniente dalle mani e dal gesto analogo compiuto dall'altra su di lei, e il piacere mentale di scoprirsi così sensuale, così bella anche nei piccoli particolari.
Piccoli brividi le scorrevano lungo la schiena e la pancia, concentrandosi tra le gambe, dove si sentiva gonfiare e pulsare.
Con una mano sulla spalla spinse l'altra sé a sdraiarsi supina. Si alzò in ginocchio, contemplandosi distesa, coi capelli scomposti e le labbra dischiuse, il petto che si sollevava e si abbassava e le gambe semiaperte. Una dea del sesso e dell'amore, spiccava candida sulle lenzuola blu notte, e Dalila si gettò a picco su di lei, su di sé. Le sue labbra si posarono nell'incavo del collo, proprio sotto l'orecchio, dove le piaceva tanto. L'altra fremette, più forte quando affondò i denti in un morso. I baci e i morsi seguirono a pioggia, in un percorso che la portò lungo la clavicola e giù fino al seno, al capezzolo.
Per la prima volta assaggiò con la bocca la sensazione della pelle e della carne morbida di un seno femminile, e istintivamente seppe come succhiarlo, morderlo, manipolarlo, come piaceva a lei e nessuno le aveva mai fatto.
L'altra le stava succhiando il seno con delicatezza e ardore insieme, scatenandole sensazioni meravigliose che le percorrevano tutto il corpo. Intrecciò le dita nei capelli, tirandole la testa più vicina, ruotando il bacino per cercare il corpo dell'altra accucciato accanto al suo. Gemeva a bocca aperta, inarcando il corpo, chiedendo di più con il suono muto che le usciva dalla gola.
E l'altra capì, risalendo il suo corpo con le labbra e tornando a baciarla mentre con la mano si faceva strada lungo il ventre, trovava il pelo pubico, lo seguiva fino alla sommità della vulva e le sfiorava il clitoride gonfio.
L'altra gemette contro la sua bocca quando le trovò il clitoride, sfiorandolo e massaggiandolo con intensità crescente esattamente come piaceva a lei.
La sentiva agitarsi contro di sé, inarcarsi e premersi contro la sua mano che ora scendeva tra le pieghe umide delle labbra, accarezzandole e sfregandole e infine dividendole e tuffandosi nel mezzo. Un dito penetrò agevolmente nella vagina madida, subito seguito da un secondo.
Sentì una mano che seguiva lo stesso percorso su di sé, titillandola, massaggiandola e infine penetrandola.
I due corpi presero a muoversi all'unisono, le lingue e le bocche danzavano insieme coi busti e le gambe che si premevano e si allontanavano, insieme alle dita intente ad entrare e uscire dagli orifizi pregni di umori, o ad oscillarne all'interno, premendo ed esplorando. I respiri risuonavano con lo stesso ritmo, costellati da gemiti identici.
Quelle dita, le sue dita, la stavano facendo impazzire. Mai le dita di un uomo l'avevano scopata così, mai le sue stesse dita erano riuscite a farle raggiungere un tale livello di piacere. L'altra Dalila si stava ora spostando, senza smettere di penetrarla con le dita. Si posizionò su di lei, la testa tra e sue gambe, i seni che le premevano sul ventre e il ventre contro i propri, offrendole il sesso. Il primo, titubante colpo di lingua sul clitoride la fece inarcare e premere contro il corpo caldo che era e non era il suo.
Tolse le dita dalla vagina dell'altra, ma solo per aprirle le labbra, e avere campo libero con la bocca e la lingua.
Accostò il naso alla vulva e inalò a fondo prima di affondare la lingua nella vagina, fino in fondo. Si trovò aspra e dolce allo stesso tempo, salata e molto, molto calda.
Col volto affondato tra le cosce dell'altra, concentrata su di lei e sul suo sapore, sul suo odore e sul contatto della lingua sulla pelle umida e calda, il piacere intenso di quello che l'altra iniziò a farle fu inaspettato.
Si inarcò gemendo, spingendo il volto ancora di più nell'intimità che le stava di fronte, usando la lingua, le labbra e il naso per restituire il piacere che stava ricevendo.
Brividi la percorrevano da capo a piedi, e la spingevano a darsi di più, a dare di più.
La pelle bianca risplendeva sotto la pioggia dorata dei raggi di sole che filtravano dalla tapparella, la luce giocava sulle rotondità dei seni schiacciati contro i ventri, sulle chiome scure incuneate tra le cosce, sulle ginocchia tremanti dell'una e le natiche tonde dell'altra.
I movimenti coordinati dei due corpi avviluppati si fecero sempre più frenetici, meno armonici e più selvaggi, i gemiti ormai trasformati in piccole grida soffocate.
Un ultimo colpo di lingua, un ultimo tocco di dita, ed ecco il piacere esplodere e sciogliersi in un rivolo di umori, in un parossismo di ansiti e contrazioni incontrollate.
Mentre gli ultimi spasimi dell'orgasmo si spegnevano, Dalila avvertì una scossa che le pervase tutto il corpo un attimo di vertigine e la sensazione di spostarsi senza aver mosso un muscolo.
Si trovò prona sul letto, ansimante, e i ricordi delle scene appena vissute, visti dalle due prospettive, si mescolavano nella sua mente. Era di nuovo un'entità unica.
Si passò una mano sul volto, e l'altra tra le cosce: madida di umori, sopra e sotto. Umori che avevano lo stesso sapore.
- Forse non è necessario chiamare Epomea - Fu l'ultimo pensiero coerente prima di piombare, esausta, di nuovo addormentata.
Ashara