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Racconto n° 4836
Autore: Miriam Altri racconti di Miriam
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La prima volta


Lui la vede per la prima volta. Il corpo nudo, in ombra, stagliato contro la luce del crepuscolo che entra dalle finestra della stanza.
I capezzoli sono morbidi, non conoscono ancora l'irrigidirsi turgido dell'eccitazione. Il pelo chiaro, in basso, tra le cosce, è lucido come un bozzolo di seta, nasconde una fessura incontaminata, che deve scoprire ancora come bagnarsi, pulsare, profumare di orgasmi.
Lui le ha detto di girare su se stessa, piano. La vuole vedere tutta, con una lentezza imbarazzante e seducente.
Le caviglie sottili e le gambe lunghe, fasciate da muscoli elastici, pieni al tatto. La linea della schiena scende sui fianchi arrotondati. Lei è girata di spalle. La luce della sera si posa sulla sporgenza accentuata delle natiche e sulla linea curva al centro: trema, come ad intuire le difficoltà di una profanazione..
Lei si ferma e sul viso ovale, bocca di ceralacca rosa, naso minuto, occhi azzurro acqua semichiusi, le si dipinge un'espressione di pudore infantile e di disagio sensuale.
Il respiro di lui, rauco, le s'infila tra i capelli biondi arruffati, come se qualcuno li abbia solcati per tirarla a sé e per tenerla contro i propri fianchi, invece sono stati agitati da dita sottili, di ragazza imbarazzata. Si è tirata le ciocche per sminuire le sue vergogne e per ripararsi dallo sguardo penetrante di lui che le attraversa il petto, il ventre e sconcerta il suo cervello. Il respiro di lui le è entrato nei timpani e ha il suono di una delusione.
Lei riprende a girare perché il dispiacere di lui la fa soffrire. Non vuole sentirlo triste, solo rapito di desiderio per lei.
- Sei bellissima.
Il corpo di lei si rilassa, si concede tutto alla voce profonda di lui. I suoi fianchi si sfaldano, i capezzoli si gonfiano. Un umido profumato sale tra i peli e riempie la stanza.
Lui, appoggiato alla parete di fronte, continua a guardarla, a imprimere nella sua mente tutte le sue forme e quei brividi di paura per qualcosa che le è ancora sconosciuto e che lui le farà scoprire. Lui continua a guardarla e non le sembra mai sufficiente, appagante. Si chiede, per la millesima volta, come mai la vita le abbia riservato un dono così grande.

Sale lungo il greto del torrente, salta sui sassi, s'aggrappa agli arbusti che sporgono dalla riva. Ha solo dieci anni ma il suo modo di arrampicarsi ha la determinazione di uno scalatore provetto. L'ansia che sente dentro al petto la spinge a salire, ad andare avanti. Le succede sempre quando è in vacanza o nel tempo libero.
Un'amica la segue, è agile e la raggiunge in fretta.
- Cosa cerchi? – Le chiede.
Non le ha chiesto dove stai andando o quel'è il tuo traguardo.
Lei, per la prima volta, dà un'identità alla propria ansia. L'ha sempre tenuta dentro al cuore come una parte di sé, senza capire a cosa le servisse.
E' alla ricerca di qualcosa.
Ma cosa?

Capelli neri, striati di grigio. La scriminatura al centro li divide in due parti regolari che scendono a coprire le orecchie. La fronte libera si alza. Il gesto affrettato fa scivolare in giù gli occhiali. L'indice li riporta al loro posto, sopra la lieve gobba che fa il naso. Gli occhi grigi sono messi a fuoco dalle lenti. La guardano, la colpiscono. Le sopracciglia folte e il viso allungato, gli zigomi che scivolano verso il basso in cerca del mento arrotondato e la bocca chiusa, a cerchio, fatta di labbra appena evidenti e tenere.
Una giacca di sartoria con le impunture e le asole fatte a mano, tenuta sulle spalle con noncuranza, come fosse il vecchio maglione preferito; i pori della pelle, il profilo e le mani dalle dita lunghe e sottili emanano conoscenza dell'animo umano e sapere accumulato e mai soddisfatto.
Lei si ferma, sussulta, lo assorbe dentro il proprio essere.
- Ho trovato! – grida le l'anima.
L'ansia nel petto le si spegne. Nel solco scavato per anni scendono miele e frescura.

= = =

La moto percorre le strade con tranquillità e noncuranza per il traffico che si fa man mano più intenso. Il suo viaggiare è fluido tra le auto e le curve a gomito delle viuzze del centro. Ha preso un'andatura pacata ma la mano sulla manopola è vigile, pronta a far scattare la moto appena trova uno sbocco. S'immette nel viale che porta verso la periferia. E' ancora vuoto e la moto adesso può prendere velocità. I capelli biondi, fino alle spalle, volano fuori dal casco, si specchiano nel sole appena sorto, hanno la medesima luce gialla.
La scalinata e l'edificio di mattoni rossi, sbavature nere di smog e di pioggia sugli angoli, sotto i cornicioni e intorno alle finestre alte e strette. Le inferiate del pianterreno, a griglia, sembrano voler imbrigliare tutto l'edificio in un'austerità militare.
La moto gira verso destra. Arriva decisa nel cortile. La ragazza scende, slaccia il casco e guarda l'orologio.
E' in ritardo. Prende la valigetta con il suo computer e il quaderno degli appunti, sale saltellando le scale e poi il suo passo rallenta dentro il corridoio lungo e silenzioso, che mette soggezione. Trova le scale di marmo bianco, dai gradini bassi e appena lavati. Di nuovo un corridoio, sulla destra una fila infinita di finestre, tutte uguali, danno su un giardino interno: quadrato e ancora verdissimo nonostante siamo già in ottobre. Dalla parte opposta porte massicce, aperte su aule vuote. Dal fondo arrivano voci mescolate: maschili, femminili, stridule, giovani e mature. Sanno di ricreazione, di assenza dell'insegnate.
- Signorina!
L'ovale del viso s'irrigidisce e la bocca di ceralacca resta semiaperta. I capelli biondi si sollevano nel seguire la testa che si gira in fretta.
La ragazza si aspetta di essere ripresa perché è in ritardo.
Un grembiule blu e il carrello pieno di detersivi , panni per spolverare e guanti. Una donna di mezza età che non smette di passare la cera sopra una cassapanca sul lato corto del corridoio.
- Lei segue il corso d'arte?
- Sì.
- Per favore scenda al pianterreno, di fianco alla biblioteca, c'è uno studio. Dica al professore di salire per la lezione.
La porta è socchiusa, lei mette la mano sulla maniglia e la linea di luce sottile si dilata, diventa macchia gialla sopra la scrivania antica e intarsiata, sopra i capelli che penzolano in avanti e fanno da sipario al viso. Al terzo passo che lei compie il professore alza la testa con uno scatto educato, abituato a disporsi ad ascoltare un altro studente. L'indice riporta al loro posto gli occhiali sul naso e gli occhi grigi la incontrano.
Il professore avverte un brivido che parte dal cervello, gli tocca il cuore e arriva a scuotergli i lombi. Tutto dura un instante, subito inghiottito dal suo ruolo d'insegnate e subito rimosso dalla mente per quelle regole di vita che lui ha sempre avuto.
Lei, tesa a non disturbarlo, non lo inquadra immediatamente, lo sente prima arrivargli fino alla propria anima e la voce dentro che grida: ho trovato!
- Prego, si accomodi. – Le dice lui.
Il gesto della mano che le indica la sedia di fronte è abituale, collaudato da anni, ma nella voce è rimasto un'eco dell'innamoramento già sepolto.
Lei rimane ferma, in piedi, a due passi dalla scrivania. Si lascia guardare, da capo a piedi.
Lui vede una donna, deve avere meno di trenta anni, ma il suo essere conserva uno stato incontaminato, verginale, che lascia sulle linee arrotondate della sua figura un ricordo di adolescenza trattenuto, in attesa di un evento che lo sciolga.
Lei si muove, le si avvicina solo per assolvere il compito che l'inserviente le ha chiesto.
Lei si muove, le va incontro perché la sua anima ne è innamorata.

L'aula da disegno a pianterreno è vuota. Cavalletti solitari sono disposti su file irregolari, di fronte alla cattedra. Ognuno di loro trattiene un disegno a matita. Gli studenti hanno provato a trasformare un cerchio in un volto. Un vuoto geometrico perfetto in un viso che abbia tratti anche irregolari, una profondità, una storia, susciti emozioni e vada a toccare i gangli interiori di chi lo guarda.
Il professore li passa in rassegna. Adesso che la lezione è finita e l'edificio è vuoto, immerso in un silenzio cosi totale da sembrare fisico, che tocca la mente e le dà lucidità pacifica, avvolge il corpo e lo immerge in una libertà assoluta, lui riesce non solo a giudicare il lavoro come insegnante, ma ad avvertire anche le tensioni e i sentimenti contrastanti di ciascun allievo. Si sono tramutati in tratti più marcati, pressioni più forti della mina o disegni leggeri, da volersi confondere con lo sfondo bianco del foglio.
Fuori il verde smagliante del giardino è stato portato via dal freddo di novembre. E' rimasto ugualmente pieno di colori come per dare, a quel pezzo di terra pronto al declino dell'inverno, una nuova possibilità di vita, insperata in una stagione così tardiva: ciuffi di crisantemi a margherita sporgono dai vasi e grappoli di bacche rosse e gialle riempiono i cespugli sui quattro lati.
Il professore apre la porta-finestre. L'odore del freddo si mescola quello dei colori stagnante nella classe. Riprende ad osservare i disegni, a concentrarsi e ad imprimersi nella mente le sue osservazioni su ognuno di loro.
E' così che non l'ha sentita arrivare.
Eppure, prima c'è stato lo scatto della porta d'entrata, è risuonato come un tonfo metallico, pesante e il silenzio l'ha fatto propagare in tutto l'edificio, poi il passo smorzato di stivali con la suola in gomma, prima affrettato, quasi di corsa, e poi sempre più rallentato e titubante, man mano che s'avvicinava alla sala di disegno, alla ricerca di lui.
Gli occhi puntati su un viso a matita, scuro e pieno di rughe e la mente che inizia ad elaborare impressioni e correzioni da suggerire. Le narici si dilatano e spingono in su gli occhiali, lungo il naso, per un tratto impercettibile. L'odore d'inverno e di colori profuma di donna.
E' alle sue spalle, l'avverte. Si gira.
Lei è lì, con il caso che rigira tra le mani.
La mente non sa nulla, tranne che lei è un'allieva. L'animo la conosce, ha la forma della sua parte femminile.
- Professore.
- Mi dica.
Lei apre la bocca, formula sillabe, parole, ma il loro suono non esce, le resta tutto dentro, risucchiato dalla paura.
- Vuole sapere del suo lavoro?
Lei scuote la testa. I capelli si muovono tutti insieme, prima a destra e poi a sinistra e rilasciano il medesimo profumo di pelle di donna. Gli occhi color acqua diventano di un blu rappreso che non permette di andare oltre e scoprire i timori che l'hanno creato.
- Io le dovrei parlare di qualcosa di personale.
- Prego, si sieda.
- No, grazie, preferisco rimanere in piedi.
- Coraggio, mi dica, vuole che l'aiuti per qualche lavoro? So che fa la designer su stoffe per il cotonificio e lavora anche in un atelier in centro, disegna modelli anche per sfilate importanti. Se le posso essere utile, volentieri.
- No, è qualcosa di ancora più personale. Ecco, vede, io ho ventinove anni ma non ho esperienza con gli uomini.
- Come, una ragazza bella come lei non può non avere un fidanzato.
- Sì, ne ho avuti, un paio. Io ho vissuto solo con mia madre, è stata sempre possessiva e rigida. Gli anni sono passati veloci, tra controlli e divieti, terrorizzata di finire nei guai con un ragazzo. Così non ho mai conosciuto un uomo, voglio dire, veramente.
Lei avvampa e lui la guarda sconcertato, senza riuscire a capire perché lei gli stia raccontando una storia simile.
Lei pesta i piedi sul pavimento di mattoni come se volesse sprofondare, poi si decide, respira a fondo per prendere forza e lo dice tutto in un fiato, senza pensare più, senza ascoltare la propria voce.
- Professore, io, la prima volta, avrei scelto lei, per farlo.
- Ma cosa sta dicendo! Che cosa le viene in mente!
La voce di lui esce stonata. Troppo alta perché vuole coprire l'euforia che si agita dentro. Troppo severa perché tenta di rimanere solo un insegnante, come si è sempre imposto nella sua carriera. Cade nella stanza con il fragore di grandine, di roccia frantumata che rotola a valle.
La vede farsi piccola davanti a lui, è spaventata, pallida e bellissima. Lui cerca ancora di guardarla irritato, tutta la sua autorità e supremazia escono fuori e la umiliano, le mostrano quanto sia stato sconveniente e fuori luogo quello che lei gli ha detto.
Il viso di lei sembra neve e la bocca ha perso colore, gli occhi sono bui, rivestiti di lacrime trattenute a fatica. Si gira e corre via.
- No, aspetti. – Gli viene d'istinto di gridare.
La rincorre
La serratura è lenta a scattare sulla porta pesante dell'ingresso. Lei deve fermarsi. La sua mano freme sulla maniglia, non vuole farsi raggiungere, non deve succedere. Fra un minuto lei sarà sulla sua moto, sola, e comincerà seppellire quello che è appena successo.
Dimenticherà il coraggio fatto salire un po' per notte, le frasi ripetute davanti allo specchio, le tattiche e i modi studiati in un mese e rimandati di giorno in giorno. Oggi era successo come tante altre volte, al termine della lezione non se l'era sentita di fermarsi dopo la lezione e parlargli. Era uscita aggrappata al braccio di una Marisa, una quarantenne con cui ha fatto amicizia che le stava raccontando del figlio adolescente, felice di avere una scusa per sottrarsi al suo proposito.
Si era avvicinata alla moto e aveva preso il casco per infilarselo: la sua armatura a difesa del suo stato, quella specie di pellicola che le nasconde il viso e la tiene separata dal mondo e da una certa vita. L'aria del parco si era agita, aveva portato odore di colori e di aula. La sua anima si era mossa, si era messa a camminare. e lei era tornata indietro. Tutto era avvenuto in maniera diversa. Niente di quello che aveva provato a casa le era stato d'aiuto.
Adesso vuole solo andarsene, cancellare quel tentativo goffo di aprirsi un varco diverso nella sua esistenza. Rimettere il coperchio e continuare come ha sempre fatto. Scrolla la testa, è un ‘no' alla sua anima che continua a trattenerla e ha rallentato il tempo dentro alla scuola perché lui riesca a raggiungerla.
La sciarpa le scivola via dal giubbotto di pelle, cade a terra come una bandiera a mezzaasta, o come un laccio tolto.
La porta si è finalmente aperta e lei la tira. L'aria di fuori ha già colpito la sua pelle. E' piena di nuvole basse e gelata.
La mano sulla spalla. E' delicata e ferma, la costringe a voltarsi.
La porta si richiude e lei resta dentro, di fronte a lui. Ha la sua sciarpa in mano e gliela rimette al collo. E' calda e il suo sangue ricomincia di nuovo a correre. Lui la sistema perché resti affrancata e non possa più cadere. Le dita sottili le sfiorano il collo e lei deglutisce.
- Mi scusi.
Il professore non riesce ad aggiungere altro. La vede inghiottire i tremori che le sue dita hanno provocato.
E' un terremoto, oppure un uragano, quello che gli sta succedendo dentro. Lo demoliscono, spazzano via i rigori e i vincoli di una vita
- Scusami – Ripete.
Lei gli appoggia il viso sul petto. Aspira il suo odore: un misto di pelle pulita e profumo.
Il petto di lui si apre e la lascia entrare, lascia che le abiti dentro.

- Un po' per volta. Non tutto subito.
- Perché?
- Perché devi desiderarlo con tutta te stessa, non solo con il cervello. Non è soltanto una membrana da togliere.
- Ma io lo desidero, anche con tutto il resto, credimi.
- Lo so, lo vedo. Ma c'è molto di più da scoprire. Lasciati corteggiare prima.
- Quando sarà, sarà tutto, in tutti i modi?
- Promesso, ma le tappe le stabilisco io. D'accordo?
- D'accordo.
- Ci vediamo questa sera a cena.
- A casa tua?
- No, ti porto in un bel ristorante. Passo a prenderti alle otto. Ciao.
- Ciao. – Risponde incuriosita e poi appende il telefono in fretta perché avrebbe voglia di fare mille domande a cui lui non risponderebbe sicuramente.
Lui resta con la bocca appoggiata ai forellini della cornetta per raccogliere l'ultimo sospiro di lei mentre continua a ripetersi che si tratta solo di un gioco e tra qualche settimana sarà già finito.

- Ciao Laura.
- Ciao Massimo.
Lui sale le scale e la raggiunge davanti al palazzo dove abita. Le porge il braccio e lei v'infila la mano. La stoffa è morbida e le accarezza i polpastrelli e poi il polso. Lui le stringe la mano poi si stacca da lei e la fa salire in macchina.
Il cappotto si apre. Scopre le gambe velate di calza scure. Il vestito nero, di lana leggera le arriva fin quasi alle ginocchia. Nel scendere si appoggia morbido sulle cosce e ne disegna il profilo, si arriccia sul ventre che pulsa emozionato e avvolge il seno tondo, da tenere nelle mani. La scollatura non è profonda. Lascia solo indovinare l'ombra centrale delle due mammelle avvicinate dal reggiseno.
- Che bel vestito, complimenti!
- Grazie.
Resta cosi, lontano da lei per tutta la sera, gentile e galante, premuroso nel farle assaggiare i bocconi migliori che le mette nel piatto dopo averli selezionati con la forchetta e ricomposti, in bella forma, nel proprio prima di passarli a lei.
Lei aspetta. Almeno un tocco sulle dita, una carezza sul braccio.
La voglia di lui, di farsi toccare da lui, cresce. Le fa agitare i fianchi sulla sedia, le gonfia il petto e le rende arse le labbra. Un calore nuovo le si forma tra le cosce, l'attraversa continuamente e sale fino ad asciugarle la saliva.
Lui sembra non accorgersene, così occupato a ordinare, a farla servire dal cameriere nel modo migliore. Sembra volersi godere solo il buon cibo e l'atmosfera raffinata del locale.
Quando sono al dolce lei ne sceglie uno al cioccolato, lui prende la torta di mele.
Lei pensa che lui sia pazzo nel chiedere una banalissima torta di mele che si può fare nel forno di casa anziché qualcosa di speciale, da grande pasticceria.
- Vuoi assaggiare la mia torta?
- No, grazie.
Lui spezza la punta, friabile e colma di mele e di confettura. Non l'ha fatto con la forchetta, ma con quelle sue dita sottili che la fanno impazzire. Glielo avvicina alla bocca come se avvicinasse le proprie labbra. I polpastrelli si posano sulla lingua e lei per un istante li lecca.
- Tienila in bocca un po', non inghiottirla subito.
Il suo fiato le increspa la pelle del viso.
Aroma di cannella, sapore di mele fatte appassire nel forno e mandorle tostate, pasta che si spezzetta in scaglie minutissime, impregnate di burro fuso.
Laura chiude gli occhi estasiata.
Massimo le versa il passito.
- Bevi questo adesso.
Sente le sue parole entrarle dentro, scivolarle fino in fondo, arrivarle fino alle cosce, dove c'è quel caldo tumido.
- Aspetta.
Il polpastrello sfiora l'angolo della bocca e poi l'orlo inferiore. Raccoglie le briciole e le fa penetrare tra le labbra.
Laura pensa che quello che prova sia la misura più alta del piacere.
Nel metterle il cappotto l'abbraccia e Laura capisce di essere solo al primo gradino di una scala lunghissima.
Sotto casa, prima di farla scendere, le mette un braccio intorno alle spalle e lei, che ormai non se lo aspettava più, trasale e si sente fatta di gelatina. Continua a tremare. Sente le labbra di lui appoggiarsi sulle proprie. Le sue si aprono da sole, avvertono il calore morbido della lingua di lui che accerchia la sua. La sua pancia sussulta. Tra le sue cosce esce un profumo acerbo.
Lei diventa rossa.
Lui le passa una mano sul vestito e poi si china e l'annusa tra le cosce.
- E' buonissimo – Le sussurra con la voce che le raspa il fiato. – Buona notte.
Laura sale l'ultima rampa di scale per arrivare al suo appartamento. Con la mente insegue Massimo, dentro l'abitacolo della sua auto, fin dentro la sua stanza. Immagina il proprio corpo appoggiarsi a quello di lui, la bocca chinarsi per baciargli il petto, scoprire con la lingua come è fatto, e poi scendere ancora più giù.
Dove lei non è mai stata.

La prima volta a casa di Massimo.
Il salotto pieno di libri e di cd. Due divani chiari e le finestre che mostrano la città di sera. Profumo di lui, della sua pelle, che esce dai tappeti e dalle tende. Pareti e stoffe impregnate di notti di studio e ore di riflessioni.
Sensazione di essere arrivata nella tana del lupo solitario, custodita gelosamente e accessibile a pochi privilegiati.
Laura ha il batticuore mentre s'inginocchia davanti a lui seduto sul divano, pronto a farsi esplorare da lei. Massimo ha gli occhi chiusi, assapora il tocco della dita di lei che sfiorano i pantaloni. Prima sono impacciate, poi le carezze diventano più sicure. Le mani, tutte e due, passano e ripassano per scoprire le forme nascoste sotto la stoffa leggera. Premono, si fermano, indovinano e risalgono, riprendono da capo a conoscere.
I fianchi di lui tremano, sussultano. Le mani di lei hanno palpitazioni sottili di stupore. Hanno pressioni inesperte, movimenti pieni solo d'istinto e spinte dettate dal desiderio.
I palmi di lei si fermano. Sentono quel gonfiore lievitare sotto di loro. i polpastrelli ne percorrono il perimetro, salgono fino a cogliere la forma della punta.
Laura sente la sua pancia fluttuare e le labbra del suo sesso diventare più gonfie e poi muoversi, mettersi nella posizione perfetta perché quella forma rigonfia, che ha tra le mani, possa posarsi tra di loro.
- Abbassa i pantaloni. – Le chiede Massimo sottovoce, con il timore che un tono troppo alto della voce possa dissolvere il trasporto e l'eccitazione che lei continua a far scorrere, inconsapevolmente, dal proprio corpo a quello di lui.
La stoffa cade in fretta. Gli sguardi e le dita invece vanno lenti sul glande e poi scendono tra i peli, li scostano per vedere la radice, i testicoli. La mano li raccoglie, li soppesa. Le dita ne prendono le misure, ne sentono la consistenza, li sollevano e li accarezzano. Li annusano e li respirano. Li riempiono di fiato e di fusa.
Laura alza il viso verso Massimo. E' rosso anche nella penombra della stanza. L'espressione che trapela stordisce. Gli occhi a fessura per la vergogna di provare tanta eccitazione, la bocca schiusa pronta d'istinto a eseguire i movimenti del piacere.
- Bacialo. – Le sussurra lentamente perché il piacere che prova gli fa strascicare le sillabe e poi gli fa inghiottire qualsiasi altra istruzione.
Laura piega la testa. La guancia batte contro le venature e le pulsazioni del pene. Le sue cosce tremano e un calore viscido la riempie. Laura prova a toccarlo con la punta della lingua e poi vi appoggia le labbra chiuse, come se non avesse il coraggio di fare quello che ha voglia dal primo momento che l'ha visto impennarsi davanti ai suoi occhi, quello che il suo desiderio gli continua a dettare.
- Le labbra, sulla punta – Suggerisce Massimo.
- Vorrei succhiarla. – Sbotta Laura come a liberarsi di un peccato grave.
La mano di lui che le accarezza la nuca e la guida.
La bocca di lei che prova ad aprirsi, la saliva che goccia sul glande e le labbra che lo accerchiano. La lingua esplora il rotondo teso e poi il forellino al centro. Le labbra si posano, succhiano, sono ancora strette e non riescono a scendere di più. Il pene vibra, poi sbatte contro di loro. Il piacere di quegli assalti le riempiono. Laura prova un piacere sconosciuto dentro alla bocca, uguale a quella che continua a far pulsare la sua pancia. Le labbra di aprono, morbide ed elastiche. Avvolgono e scendono. Succhiano mentre risalgono.
Laura sente i battiti del pene contro il palato e un sapore di muschio farsi sempre più acceso. Un odore acerbo e di selvatico le riempie le narice, le stordisce il cervello. Il calore tra le gambe continua ad aumentare. Sta per arrivare al culmine. La fa vibrare tutta, le fa muovere i fianchi come fosse la coda di una passera
Massimo le solleva la testa e la stacca da lui.
- Aspetta ancora. – Le dice mentre si alza e la bacia. Il piacere le resta sospeso nella carne come qualcosa di insopportabile, come un'opera incompiuta.
Massimo si china. Scosta la camicetta aperta, con l'indice fa uscire il capezzolo. Lo succhia. Il piacere dentro Laura riprende a salire.
- Mettiti qui. – Le dice indicandole il divano.
Le gambe nude di Laura sono divaricate dalle mani di lui. Sente le carezze delle dita maschili scendere, toccarle il pelo, poi prendere le labbra e distenderle.
La bocca di Massimo si posa sul clitoride. Lo succhia e lui diventa sempre più gonfio.
Le cosce di Laura s'abbandonano, i nervi non le tendono più, sono afflosciate sul divano. Lei apre gli occhi, vede la testa di Massimo affondata tra le sue gambe, come se volesse entrare tutta dentro di lei. Poi la bocca di Massimo le attraversa la fica. Il primo è un passaggio lento. Gli altri si susseguono più serrati, come se volesse mangiarla. Degustare tutto del suo sesso: le forme, gli odori, i sapori, le pulsioni.
Laura sente il piacere ingrandirsi, farsi lancinante, diffondersi senza più barriere nel suo corpo, dalla punta dei capelli fino a quella dei piedi.
E' un piacere forte che le stordisce le carni, le rende lucido il cervello solo per farle sentire l'onda successiva, ancora più alta. E' un piacere mai provato prima, né da sola, né con un ragazzo. E' il piacere che ha sempre rincorso e ha provato in sogno. E' rimasto conservato sotto la coltre della sua vita come brace sommessa. Si è appollaiato sopra la sua anima ed è stagnato nelle sue viscere appena lo ha visto: per farlo vivere, oltre al desiderio, ci voleva l'amore.
Massimo resta appoggiato con la bocca fino allo spasmo finale e pulsione estrema dell'orgasmo. Ingoia i fiotti e il calore, beve le pieghe che gli si sciolgono tra le labbra.
Laura scivola giù dal divano, cade a terra molle e decisa. Lo sa cosa vuole fare. Il suo corpo s'arrotola, si china tra i fianchi di lui, tocca il glande con le labbra, abbraccia il pene con tutta la bocca. Scende fino a sentire la radice e la carne tenera intorno. Il palato le si riempie di un pizzicore liquido, ha il sapore del formaggio e del miele mescolati.
Quando Laura esce dalla sua casa Massimo si guarda intorno spaesato, vuoto. Il ruolo del professore che dà lezioni è scomparso. C'è un uomo che vuole fare l'amore con la propria donna.
Si spaventa. Ricomincia in fretta a costruire il suo muro di difesa: il suo lavoro che lo riempie, lo soddisfa, lo gratifica. Le donne, il sesso e il piacere ma niente amore: fa troppo male, ferisce, inganna e rende invalida la vita.
Laura cammina per la strada, gli occhi si riempiono di riverberi luminosi, quelli dell'anima, della felicità di averlo trovato, finalmente. Lo pensa, lo vede dentro la sua mente: tutto intero. Soffia e il suo alito caldo diventa vapore nel freddo.
Nel muro di difesa si apre una crepa. Massimo aspira l'aria del salotto. Odore di fica, di femmina. Brandelli d'anima di donna che gli marchiano l'animo.


- Sì, questa volta lo faremo.
- Davvero?
- Davvero.
- Sai, l'ultima volta, quando mi hai fatto solo spogliare e poi siamo usciti a cena mi sembrava d'impazzire.
Lui ride divertito.
- L'hai fatto apposta vero?
- Sì.
Lui ride di nuovo, lei non lo può vedere, ma la sua bocca ha una piega amara verso il basso: il dono che la vita gli ha fatto è arrivato al culmine e alla fine.

Il corpo nudo di Laura che trema nel letto. Massimo le si appoggia sopra. Il pene le batte sul ventre. Le gambe di lui che le allargano ancora un po' le cosce e poi l'inguine peloso e duro che le si appoggia sui peli e poi cerca di farsi strada nella fessura delle sue labbra.
- Fai piano.
- Sì.
Le dita di Massimo toccano il clitoride, arrivano davanti alla vagina. E' piena di saliva della bocca di lui. Laura solleva le gambe, le avvolge intorno al corpo di lui.
Il glande si posa, sussulta di piacere e resta fermo, imbocca la fessura stretta.
Il vuoto sotto trema, si stringe, ha paura. Il dito preme sul clitoride. Il pene si spinge avanti. Vorrebbe gonfiarsi ancora di più, invadere, scoprire il calore dentro e poi esplodere. Invece si trattiene dalla voglia di diventare più grande, procede lentamente. La paura della vagina lo fa sussultare, le tensioni di quel passaggio stretto lo fasciano, lo eccitano.
La caccia, l'esplorazione, la conquista, il possesso, il privilegio di essere il primo. C'è tutto in quella discesa e anche qualcosa in più, di non calcolato, di non voluto, di combattuto da sempre: il desiderio di averla solo per sé e la paura di perderla, di sentirsi vuoto senza di lei.
La fitta di dolore che contrae il ventre di Laura e qualcosa di violato, la rottura e il fiotto di sangue.
Una barriera superata e poi una sensazione di libertà.
Laura continua a sentirlo entrare, scendere, aprirla. Il suo cuore batte nel petto, nei fianchi, nel suo sesso. E' sempre più accelerato. Lui si è fermato e ora risale, il dolore smette improvvisamente e lei ha la sensazione di essere trascinata via, poi in alto. Nella sua fica cerchi lontani, echi di godimenti appena sorti,e poi tracce di umori che fanno scivolare il corpo di Massimo sempre più avanti e poi invasioni del piacere che l'afferrano e le fanno stringere i fianchi intorno a lui. S'avvinghia. Lo costringe ad affondare, poi a risalire.
E' così che Laura voleva fosse la prima volta: colma di piacere spiazzante e di erudizioni, di tecniche. Di momenti di sospensioni, di discese leggere e competenti e poi l'apoteosi.
L'onda alta e la vetta: tutto insieme.
Il corpo di Massimo che s'affloscia sopra a quello di Laura. I respiri che ritrovano la calma nella bocca dell'altro.
La macchia rossa al centro del letto sembra accendersi di scarlatto quando le loro mani l'accarezzano.

L'alba, lui che veglia e lei che si stropiccia, s'allunga. Gli mostra la schiena e il bacino sporge nel sonno, in cerca di lui. Il calore tra i due corpi vicini, nel dormiveglia si toccano e poi dimenticano, affondano ancora nel riposo.
La voglia risale, si fa più forte del sonno.
La bocca di Massimo lungo la schiena e la mano sulle natiche. Le accarezza e loro si schiudono.
Laura apre gli occhi. Gira il viso.
- E' lì che vuoi andare?
Massimo non risponde ma fa sprofondare la mano nella carne tenera. Poi le dita allargano i glutei fino a vedere aprirsi la fica e il pelo bagnarsi.
E' pronta ad imparare, a godere in un modo alternativo.
E' pronta a frequentare gli uomini.
E' pronta a lasciarlo.


Il pomeriggio estivo accompagna la camminata leggera. Il vestito di seta si muove sul suo corpo come una vela piena di vento.
Le sono rimaste le chiavi di casa, lui non gliele a mai chieste indietro e lei le ha tenute in fondo al cassetto, ricordo di una vita precedente.
Poi le scoperte, le conoscenze, gli incontri, la voglia di capire e di sapere com'è fatto il sesso e come è fatto l'amore.
L'androne e l'ingresso sono immersi nel buio.
La vela sale, vola in punta di piedi sul grigio delle scale.
La mano che trema mentre infila la toppa, s'inceppa, fa piano. La serratura scatta troppo forte. Lui l'avrà sentita, l'avrà scoperta.
Sa che c'è, ha visto la sua auto parcheggiata in strada. Attraversa il silenzio della casa e lo cerca.
Il filo di luce sotto la porta della stanza.
Perché non l'ha chiamato, perché ha deciso di essere così invadente?
Non vuole che lui non si ritiri come ha già fatto al telefono.
Dentro la stanza il respiro esausto di un sonno appena arrivato.
La mano di lui sull'altro cuscino. Lei si straia in quel vuoto. Lo bacia fino a svegliarlo.
Il viso preoccupato e l'animo che ride.
- Perché sei qui?
Sorriso di speranza e stretta al cuore.
- Voglio stare con te.
- No, non è possibile. Non so finché può durare.
- Voglio stare con te finché potrà durare. Lo so. L'ho sempre saputo. La mia anima ti ha scelto.
La crepa nel muro si fa profonda. Ha bordi taglienti e ruggisce. Vuole incutere paura per difendersi.
La vela l'attraversa e la crepa fiorisce.



F I N E



Miriam

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