Lo conservo ancora, nei cassetti più reconditi della mia memoria e negli angoli più intimi e segreti del mio guardaroba. Ogni volta che mi capita di tirarlo fuori, col pensiero o con le mani, quando lo sento fra le dita del ricordo o lo tocco materialmente, suscita in me emozioni ancora vive e forti, tanti anni dopo.
Lo amo. Amo ancora l'uomo che me lo regalò.
Il mio primo uomo.
Lui era un fiume in piena, fu capace di travolgere i miei deboli e incerti argini. Era un ragazzo in carne e ossa - soprattutto carne, e che carne - non più uno dei tanti bambolotti che furono i miei primi anomali compagni di giochi. Diventò la mia gioia di vivere, mi produceva reazioni chimiche devastanti, emozioni che diventavano incontrollabili quando vedevo i suoi capelli biondi, il suo colorito scuro e deciso, i suoi occhi verdi. Quando lo avevo conosciuto, però, nemmeno ci avevo fatto caso: soffrivo terribilmente per la tristezza, la solitudine, per papà e mamma che non si sopportavano, si erano costruiti altre storie e se n'erano andati ciascuno per i fatti propri. A me era toccato così andare a vivere da parenti, con due cugine della mia età, tra 18 e 19 anni, alle quali rubavo vestiti, calze, intimo, costumi da bagno, smalti e profumi. Forse se ne erano accorte e facevano le discrete, ma io me ne fregavo. Mi dannavo per la deportazione del fisico e dell'anima e reagivo in maniera infantile, facendo quello che volevo, che sentivo di voler fare nel profondo della mia anima.
Poi in fondo al buio apparve la lucina di lui. A scuola infatti avevo risentito di questa situazione maledetta. Una, due materie sotto la sufficienza. Quando arrivò la terza, e la terza era l'italiano, la prof. mi convocò. A sorpresa, a fine lezione, nella classe deserta, chiamò anche Andrea e gli affidò il compito non facile di riportarmi a galla. Lui, il primo della classe, accolse l'invito con un'aria di sufficienza che mi portò a odiarlo dal più profondo del cuore. Ma lo stesso cuore avvertì una sorta di strana palpitazione, quando lui mi sorrise e mi tese la mano, quando le sue dita si intrecciarono per la prima volta con le mie, per siglare il patto che ci avrebbe legati da quel momento in poi. E che forse ci lega tuttora.
Si rivelò meno stronzo del previsto. Anzi, tutto sommato era simpatico. In qualche settimana mi tirò fuori dalle secche: era soddisfatto di me e orgoglioso di se stesso. Eravamo entrati in confidenza, mi parlava con i suoi occhi che puntavano dritto ai miei, sapeva parlarmi anche di cose diverse da Dante e Petrarca, mi salutava con un bacetto sulle guance e una carezza e una volta mi sfiorò, forse all'inizio non facendolo apposta, poi mi toccò intenzionalmente il petto. Fu dolcissimo, perché era imbarazzato come mai. 'Scusa, posso?' mi chiese e, ricevuto un assenso sorridente, palpò la mia morbidezza, sentì il capezzolo che scattava sull'attenti sotto il tocco delle sue dita delicate. Non durò a lungo, ma fu intensissimo. Io rimasi in silenzio, gli occhi bassi. Lui ebbe come una scossa, nel vedermi sussultare. Forse fu quello il momento in cui capì. Sicuramente fu quello il momento in cui capii io. Andrea rimase sovrappensiero un attimo, poi, con una chiarezza dolcissima e disarmante, mi fece una domanda terribile.
- Ehi, ma mi spieghi com'è che hai le minne, tu?
Sì, avevo le 'minne', cioè le tette - appena un accenno, una roba minuscola - ma non ero una femmina. Perlomeno non all'anagrafe, non nel sesso biologico. Mi ci sentivo, questo sì, e in gran parte ne avevo le sembianze. Era questa la seconda causa di profonda sofferenza che sentivo dentro di me. Parlarmi dentro e parlarmi al femminile, chiamarmi - ma solo con me stessa - Roberta, Robertina, Roby, e non potere farlo con nessun altro. Sentirmi sola, sbadata, distratta, confusionaria, antipatica, innamorata e non potere confidarmi con nessuno. Dovevo dirmi solo, sbadato, distratto eccetera e non reggevo quella che mi appariva sempre di più come una farsa.
Portavo i capelli lunghi, li pettinavo in maniera volutamente femminile, ogni tanto mi facevo la coda, ma vista da dietro ero proprio una ragazza. E anche di davanti, si doveva perdere qualche attimo per capire: avevo occhi profondi e chiari come la mia carnagione, il visetto fine, glabro e gentile, la vocina delicata in un corpo decisamente morbido e generoso, nei punti giusti per una ragazza. Non mi opponevo alla mia prorompente femminilità, ma dovevo fingere di possedere un'inconsistente virilità. Non avevo alternative. Anche se lo spartiacque erano quelle minuscole boccette che si chiamano, in dialetto, minne.
La parola in sé mi piaceva più di tette. 'Hai le minne, hai le minne', mi canzonavano da piccolo. In molti me le sfioravano, me le toccavano, fingendo di scherzare. Era sempre successo e il più delle volte mi infastidivo. Però ai ragazzi piaceva e anche a me piaceva. Avevo capito così la mia vera natura. Nel silenzio e nelle calde profondità del mio letto, sotto la doccia o dentro la vasca da bagno, mi toccavo giocando con le mie minne. E avevo iniziato a desiderare di essere toccata, allo stesso modo, da un altro ragazzo. E non più per gioco.
Fu per questo che con Andri la situazione diventò presto incandescente, terribile, incontrollabile. Il suo odore mi riempiva di sensazioni sconce, sognavo la sua nudità e avevo terrore di cedere. Non ero gay, per me era un amore etero ed era lui che mi piaceva tantissimo. La sua dolcezza, la sua pazienza nell'affrontare e dividere in parte la vita con una persona sola e triste come me, mi spingevano ogni tanto ad abbracciarlo intensamente, senza motivo, durante le lezioni che di fatto mi dava. Gli sussurravo un grazie e gli dicevo la verità, e cioè che lui era il mio unico amico. Nello stringerlo sentivo il contatto delle mie 'minne' col suo petto forte e anche lui lo sentiva. Mi guardava a lungo, mi carezzava il viso efebico e ogni tanto in momenti come questi mi scappava la lacrimuccia. Rimanevamo a guardarci intensamente, zitti zitti, e lui era quasi costretto a rompere l'imbarazzo a modo suo, facendosi sempre precedere dal suo solito 'Scusa, posso?'. Mi palpava per qualche istante e la mia carne memorizzava le sue carezze, il suo lieve e lento movimento rotatorio attorno alle mammelle e ai capezzoli, che mi faceva letteralmente impazzire. Durava un niente. Ma la sera, lo sapevo bene, il mio desiderio di lui avrebbe riprodotto quei pochi, fuggevoli ma magnifici secondi nell'intimità autoerotica del mio letto soffice e tentatore.
Sul momento, però, lo fermavo quasi subito. Non mi arrendevo a me stessa. Non potevo.
Finché, quel pomeriggio di primavera inoltrata e di gran caldo, arrivando da lui, non lo trovai in bermuda, zoccoli e borsa sportiva.
- Macché studiare, oggi. Andiamocene al mare.
- Non ho il costume - mi opposi.
- Non ti preoccupare, te ne ho preso uno io.
Aveva la vespa, un cinquantino scassato sul quale ogni tanto mi portava, per riaccompagnarmi a casa, proprio come si fa con le fidanzatine, per evitare che corrano pericoli di sera. Mi piaceva incollarmi alla sua schiena forte, parlargli del nulla, chiacchierare di cose inutili, come due innamorati. Ma lui, sempre così aperto e pronto a parlare, stavolta rimase zitto per tutta la strada. La 'riserva naturale orientata e protetta', al di là del nome altisonante, in bassa stagione altro non era che un luogo di perdizione per coppiette. Sentivo anche per questo la stranezza di quello che stava avvenendo, ma mi piaceva tuffarmi nell'ignoto, purché lui fosse accanto a me. Posteggiò in un angolo sperduto e mi fece inerpicare per rocce, ginestre e arbusti. Raggiungemmo una caletta nascosta, una spiaggetta ritirata, piccola piccola e quasi inaccessibile. Erano i primi di giugno, intorno non c'era nessuno.
- Dai, mettiamoci i costumi.
Avvampai. Non vedevo angoli coperti, per cambiarmi. Prima che potessi aprire bocca, si sfilò la maglietta, si tirò giù bermuda e mutande e rimase silenziosamente nudo davanti a me. Gli occhi mi caddero proprio lì. Aveva un membro sodo, che mi sembrò enorme, contornato da una peluria biondiccia. Non riuscivo a distogliere lo sguardo, ero letteralmente rapita dalla sua nudità. Io l'avevo piccolino e il confronto mi faceva paura con chiunque, figurarsi con lui.
- Beh, che c'è? Non hai mai visto un pisello? E che aspetti a spogliarti anche tu?
Sorrisi piena di imbarazzo. Sbottonai la camicia lentamente. Per la prima volta nella mia vita mi sentivo come una ragazza che si toglie i vestiti davanti a un maschio. E quando rimasi a torso nudo pure lui si mise lo sguardo di chi sta guardando una ragazza in topless. - Perché mi guardi così? - chiesi mentre arrossivo e non sapevo se coprirmi il mio piccolo seno. Poi tesi la mano: - Allora, il costume?
- Intanto finisci di spogliarti - rispose indugiando ad arte e frugando dentro la sua sacca - ti voglio nuda! Non mi dire che ti vergogni di me! - aggiunse parlandomi per la prima volta al femminile.
- Sì, un po' sì - ammisi diventando paonazza -. Sicuro che nessuno ci vede? Dai, mi vergogno - piagnucolai.
Ma intanto i jeans erano scivolati fuori dai miei piedini affusolati e avevo tirato giù pure gli slip. Coprii con una mano quello che io chiamavo il mio grosso clitoride, nel senso che ho un pisello proprio piccolino. Mi sentivo come alla visita militare, quando mi ero dovuta spogliare in mezzo a una torma di scalmanati, che non facevano che ripetere 'ha le minne, ha le minne', oppure 'è senza minchia', ed ero rimasta mezz'ora in una posa comica, per un maschietto, con una mano sulle tette e una sul pube, rimanendo così completamente indifesa, mentre dieci, cento mani mi pizzicavano natiche e tette e dieci, cento piselli mi si strusciavano sulle cosce o sul culo.
- Il costume! - protestai.
Tirò fuori un pacchetto di carta lucida, rossa, attaccato con un nastrino chiuso da un fiocco giallo.
- Cos'è? - chiesi sbigottita.
- Un regalo. Promettimi che lo indosserai.
- Perché non dovrei?
Non rispose. Dandogli le spalle e mostrandogli il culetto sexy, spacchettai e capii. Era un bikini rosso, morbido e soffice, proprio come quelli delle mie cugine, che mi provavo prendendoli a prestito dal filo della biancheria, sempre col terrore di essere scoperta.
- Grazie, ma non se ne parla - dissi accennando a restituirglielo.
- Ma dai! Ho fatto cose da matti per comprartelo! Sono andato a 20 chilometri da casa, per non farmi riconoscere! Non è giusto rifiutare un regalo!
- Ma per chi mi hai preso? - ringhiai, ma non convincevo neanche me stessa.
- Qua non ci vede nessuno! Siamo soli soletti, io e te. Voglio solo vedere come ti sta. E dai - e si mise in una posizione un po' comica, le mani giunte, accennò a inginocchiarsi, ma sempre sorridendo in maniera conturbante: - Ti prego! Mica lo vado a raccontare in giro!
Ero infastidita, immusonita. Non lo va a raccontare in giro per non fare la figura del finocchio, pensai. Che delusione. Lui voleva fare solo quello. Mi voleva vestire da femmina, per avere meno remore e non pensare che si stava scopando un ricchione.
- Ti faccio vedere come mi sta e poi la finisci di rompere le palle. Okay?
Alla velocità della luce indossai il pezzo di sotto: sotto la strisciolina essenziale di stoffa, unita da due cordicelle alla parte posteriore, il mio pistolino nemmeno si notava e sembravo una bella ragazza, scosciata e mezza nuda. Poi infilai il reggiseno e riuscii ad allacciarmelo dietro la schiena. L'allenamento non mi mancava e lui rimase un tantino sorpreso, anche perché avrebbe voluto aiutarmi, toccarmi, accarezzarmi. Ma in me svaniva la tenerezza e montava il rancore.
- Fatto. Contento?
Si mise un'espressione ebete, entusiasta, dolce.
- Fan-ta-sti-ca! Che fica!
- Bene. Adesso scopami.
- Come-come-come hai detto?
- Scopami, fottimi, inculami, dammelo in bocca. Forza, dai...
- Ma che stai dicendo?
- Tu mi vuoi vedere come bambola di carne, più intrigante ancora perché da qualche parte ne ho un po' di più. Di me non te ne frega niente. Tu guardi il tuo capolavoro in bikini. Non pensi affatto a me, a quanto soffro, a quanto mi consumo, a quanto cazzo ti amo, cazzo, sì, ti amo, e vaffanculo!
E siccome stavo per scoppiare a piangere e odiavo farmi vedere così, mi rifugiai nell'unico posto possibile, tuffandomi nell'acqua gelata. Dentro l'acqua ebbi uno choc termico, perché era veramente fredda e non me l'aspettavo. Andai a fondo, ma mi sentii subito tirare su. Erano le sue braccia forti e dolci.
Ora i suoi occhi verdi si specchiavano nei miei azzurri: eravamo vicinissimi, questione di centimetri, forse millimetri. Mi carezzò il viso, ma lo respinsi. Lui si allontanò, mise le mani in alto, come per dire 'non ti sfioro'.
- Roby, secondo te non ci sono altre gran fiche in circolazione, con o senza pisello?
Touché.
- Secondo te se sono andato fino in città per comprarti questo regalo è stato per farti diventare una gran fica o per cercare qualcosa che mi consentisse di guardarti finalmente come ti vedo ogni giorno io, e cioè una ragazza dolce, stupenda e con le palle? Con le palle in tutti i sensi, amore mio, ma nessuno è perfetto...
Ci eravamo staccati, il cuore mi batteva a mille, rischiai di precipitare di nuovo nell'abisso e stavolta, lo sentivo, non sarei riemersa, non ci sarei riuscita, avrei voluto precipitare, precipitare, precipitare, ma non da sola, con lui, con lui che continuava a fissarmi, con lui che adesso avevo tra le mani, tutt'e due le mani con cui gli presi il viso, con lui che attiravo a me senza più remore, inibizioni, freni, timori, con lui che adesso stavo baciando appassionatamente, infilandogli la lingua calda in bocca e prendendo la sua nella mia, con lui che era il primo in assoluto che stava assaporando le mie labbra, mentre io usavo la lingua come un pennello, per dipingere dentro la sua bocca il quadro del nostro primo amplesso e spiegargli il modo in cui avrei voluto essere scopata.
Ero naufragata, ma non avevo più paura, perché lui era con me e mi teneva le braccia strette attorno alla vita mentre io ero avvinghiata al suo collo e avevamo i piedi attorcigliati su un tappeto ruvido e morbido di scogli e di alghe, che davano la stessa sensazione del contatto tra i suoi bicipiti e le mie piccole ma tenere minne. Tra le gambe sentii il suo membro duro che mi pressava le parti intime, che a mia volta mi si erano irrigidite. Lo volevo. Lo volevo con tutta me stessa.
- Io ti amo, e scusami se sono stata stronza.
Avrei voluto continuare, dirgli che lo amavo ma che non avrei mai potuto dargli ciò a cui lui aveva diritto, un amore vero, totale, senza sofferenza, senza nascondimenti, senza genitori che ti cacciano di casa, senza imbarazzi e paure, senza gente che si scambia gomitate quando passi, senza pregiudizi ed emarginazioni, ma lui non volle sentire altro e fece volare via i costumi, rimanemmo nudi e nel silenzio i nostri corpi parlavano con le nostre anime, ci toccavamo dappertutto e io lo baciavo e lo amavo come una ragazza vera bacia e ama il suo ragazzo, sentendo la sua lingua dentro le orecchie, i suoi baci insistiti su guance, palpebre, mento, zigomi, nasino all'insù, collo, spalle, baci che erano autentiche calamite, perché mi portavano a non pensare più a nulla e a cercare ancora la sua lingua, ad allacciarmi a lui e a succhiare il suo sapore di maschio, di sale e di saliva, mentre le sue mani esperte allargavano e si facevano strada fra i miei glutei, a stuzzicare e violare il mio sfinterino vergine, e io sculettavo come una porcella per aiutarlo a penetrare la mia intimità più profonda e lui beveva il latte che non avevo dai miei capezzoli inturgiditi dal freddo, dall'acqua salata e dalla sua lingua calda, giocando con le punte e divertendosi a constatare quanto l'eccitazione me li facesse ingrossare e allungare.
- Come una donna, più di una donna - diceva riprendendo a baciare le mie mammelle gonfie per l'eccitazione e ansimanti, mentre io con una mano gli tenevo in mano i testicoli grossi, pieni di latte che bramavo di bere, e con la destra gli scappellavo il cazzo grosso come mai.
Mi trovai il suo uccello puntato contro il naso, la sua mano forte e gentile mi spinse in avanti e glielo presi in bocca, cominciando a succhiare la sua cappella enorme, violacea e nuda.
- Troia, puttana, mignotta. Lo sapevo che eri così. Tutta così pulita, perbene e poi così vacca. Fai i pompini come una vera porca.
Mi insultava e mi piaceva, mi spingeva quasi a soffocarmi col suo cazzo, che mi infilava fino in gola e mi piaceva, mi piaceva tutto, anche le sue dita che continuavano a torturare le 'minne': aveva quasi scavato un solco tra l'areola e la punta del capezzolo, per quanto me li aveva fatti gonfiare girandoci attorno e umettandoli con i polpastrelli bagnati.
Mi fermò per non venire, si strinse la punta del pisello per resistere, mi fece girare e si mise dietro di me.
- Mettiti dolce e morbida, non fare resistenza, altrimenti ci facciamo male - mi sussurrò in un orecchio con un soffio caldo che fu la prima cosa di lui che mi entrò dentro. Poi, allargandomi le natiche e spingendo la cappella in avanti, facendomi comunque un male cane, cominciò a penetrarmi. Non pensavo potesse essere così bello. Non entrò molto, ma me lo spinse dentro quanto bastava per provocarmi una contrazione anale stupenda. E intanto con una mano mi palpava le tette e con l'altra giocherellava col mio cosino, il clitoride che si era ingrossato e sembrava quello che era, un piccolo cazzo che esplose di piacere giusto nel momento in cui lui mi gonfiò le viscere del suo seme, facendomi godere contemporaneamente col pisellino e col culetto. Mentre anche lui si sfiniva di godimento dentro di me.
Ho seguito la sua vita da lontano. Mi sono messa giustamente da parte, sono stata ovviamente accantonata per le tante donne vere che sono entrate nella sua esistenza. Non sono stata nemmeno invitata al suo matrimonio, ma credo che sia stato meglio così, per tutti e due e anche per la moglie. Non sono forse del tutto sincera, ma è andata così, punto e basta. So che oggi sta bene, vive bene, ha dei figli stupendi, un lavoro ovviamente da insegnante e per questo, come si dice in casi del genere, sono comunque felice.
Io, per conto mio, dovetti letteralmente scappare dal paese che non se ne fregava niente di capirmi, ma non sono finita sulla strada e mi ritengo per questo più che fortunata, in una società schifosa come la nostra.
Quando penso a quel bikini e a quel pomeriggio ricordo che molti uomini mi hanno regalato biancheria intima, in questi anni. Ma nessuno ha mai pensato a regalarmi un due pezzi, un costume da bagno. E soprattutto nessuno ha saputo scoprire di me molto di più di quello che avevo nel corpo, impadronendosi totalmente della mia anima, come solo lui ha saputo fare.
Eva Blu