Era iniziato tutto un'anonima sera di settembre. Lisa, stanchissima, si era trascinata in bagno. Alfredo era andato via dopo averla scopata sul divano, come sempre, lei ginocchioni con la pancia sullo schienale e lui dietro, come sempre, ed era poi ritornato dalla moglie, come sempre. Lisa faceva riflessioni senza gloria mentre sovrappensiero sfilava i capelli castani spezzati e cardati nella spazzola. Improvvisamente nello specchio le era parso di aver visto qualcosa che non c'era. Sul petto, appena sopra l'incavo tra i due seni burrosi, perpendicolare alla vena che le fulmina il seno sinistro, trasversale al capezzolo, aveva notato un segno. Sembrava una brutta scottatura alta un paio di dita, fatta con olio o cera, ma non ricordava che le fosse schizzato nulla in quella zona, se non lo sperma che Alfredo le aveva gocciolato addosso mentre si era girata per bere il suo orgasmo. Aveva fatto per avvicinarsi allo specchio per vedere come il segno reagiva al tatto: sembrava proprio una piccola cicatrice da ustione, che tuttavia non faceva male. Con il dubbio sul broncio se n'era andata a dormire. La mattina dopo nessuna traccia, il segno era sparito, e Lisa se n'era anche dimenticata.
Erano passati due o tre giorni, l'uno uguale all'altro, l'aveva chiamata Edoardo, appena rientrato dal viaggio studentesco a Parigi: ragazzo innamorato perso di lei, una lusinga per il corpo e per l'ego più che per lo spirito. Uno studente universitario alto, dai capelli e occhi nerissimi, con un corpo stupendo, che a letto la teneva tra le sue braccia e la amava per ore. Lisa non sapeva cosa la tirasse lontana da lui, sospettava fossero le angherie continue di Alfredo, ma c'era ancora un pezzo che sfuggiva dal puzzle. Edoardo, dolce come sempre, era arrivato da lei puntualissimo, con tre gigli bianchi e dei macarons alla fragola appena portati per lei direttamente dagli Champs Elysées. Dopo la cena lui l'aveva baciata a lungo, stendendola sul tavolo, sfilandole il setoso top rosso prima e la gonna nera poi, accennando a dirigersi al monte di Venere aveva preferito invece ripetere il giro scoperchiando il pizzo rosso dai seni, mordendoli come fossero macarons, per poi scendere con mille brividi lungo le costole, l'ombelico in fremito. Edoardo aveva poi sfilato il piccolo perizoma rosso e si era dedicato a leccarle il clitoride e le labbra, delicatissimo, senza ansia, aspettando che fosse lei ad essere impaziente un attimo dopo che da quel frutto avesse iniziato a sgorgare copioso un nettare che sapeva di mare. Allorché Edoardo si era sfilato la polo verde prato e i jeans da bravo ragazzo e l'aveva penetrata guardandola negli occhi. Nessuno dei due riusciva a scrutare il fondo degli occhi dell'altro: troppa vita ardeva negli occhi scuri e spermatici di Edoardo, il buio e l'oblio foderavano le iridi nocciola di Lisa, che per quanto godesse pareva avere la testa sempre altrove. Con un leggero svirgolare ritmico del bacino Edoardo penetrava Lisa nutrendosi del piacere della sua fica che gradiva i sensualissimi movimenti. Inevitabile era giunto l'orgasmo in quel cullarsi sussultorio dei due bacini, Edoardo aveva aspettato che l'ultima contrazione di Lisa si spegnesse prima di eruttare in un orgasmo denso e abbondante che le si era sparso su tutta la pancia. Si erano ripuliti e Lisa aveva congedato Edoardo dopo che si erano scambiati coccole sul divano. Era andata in camera a spogliarsi, ad appoggiare i vestiti sull'indossatore e si era girata sullo specchio dell'armadio. Ciò che aveva visto l'aveva fatta trasalire ed emettere un urletto di terrore mentre franava seduta sul letto di fronte: sulla pancia era comparsa un'ustione gigantesca e indolore, che dalla dolce piega sotto il ventre si propagava fin sotto i seni, deformandole la pelle fin nei contorni dell'ombelico. - Oh mio Dio - continuava a ripetere mentre cercava di capire il perché di quell'allergia (così l'aveva definita) e diceva a se stessa di prenotarsi una visita dal dermatologo, stando nel frattempo attenta a non macchiarsi ancora. Al mattino dopo, purtuttavia, non c'era alcun segno , malgrado la sera prima fosse davvero evidente.
Di ciò che doveva succedere Lisa non aveva ancora intuito niente. Alfredo era sparito. Con Edoardo aveva ancora litigato. Il dermatologo le aveva detto che non aveva nulla. Una settimana dopo l'ultima ustione, Lisa era a letto, sola come non mai. Si era coricata presto, e presto si era addormentata. Improvvisamente si era risvegliata, sentiva le labbra più gonfie del solito, emetteva uno strano rantolo e anche la pelle le sembrò leggermente più porosa. - Lo sapevo, l'influenza - diceva a se stessa mentre andava verso la cucina per una tisana bollente. La luna piena illuminava il soggiorno, ed improvvisamente Lisa era diventata famelica. Il frigo era pieno, ma lei si era vestita in fretta, senza calze e senza lingerie, si era buttata il trench addosso alla meglio, puntando un bistrot aperto anche di notte. In verità a quell'ora era quasi alba, e c'era solo qualche uomo in giro. Più precisamente, nel bistrot c'erano un netturbino e due operai che si stavano andando ad infilare in macchina per andare in fabbrica. Impossibile non notare quella ragazza seminuda nel locale. Lisa era andata a sedersi al bancone, sullo sgabello accanto a quello del netturbino. Questo era un personaggio assolutamente squallido, i grossi baffi grigio topo, le fessure degli occhi e la pelle raggrinzita ne facevano una maschera grottesca. Quando la ragazza si era seduta accanto a lui aveva pensato che era davvero troppo bere la prima birra alle quattro e mezza di mattina, se iniziava ad avere allucinazioni di una donna scosciata così vicina. E le allucinazioni si facevano anche più forti se questa lo guardava con quegli occhi grandi come la fame, e che doveva essere più ubriaca di lui se gli stava mettendo una mano nei pantaloni. Invece Lisa si era inginocchiata, aveva preso il cazzo del netturbino in bocca e se lo stava succhiando. Il barista invece di fermarla si era affrettato ad abbassare la serranda del locale a metà, e sbottonandosi i pantaloni si stava masturbando alla vista di quel pompino. Il netturbino era venuto quasi subito, abituato com'era al sesso fisiologico, scaricando un orgasmo denso e vecchio, uno sperma amaro di malto e sigarette, nella bocca di Lisa. Vedendo l'uccello del barista a qualche centimetro da lei, Lisa lo aveva puntato con la bocca, succhiandolo avidamente. Anche il barista, mosso dalla paura che qualcuno potesse arrivare nel locale, dando un paio di colpi frettolosi con la mano aveva gocciolato il suo sperma nella bocca di Lisa, soddisfatto dello spettacolino di cui era stato co-protagonista. Senza accennare ad una parola, Lisa si era rialzata e, abbassandosi per sfuggire alla serranda, era scappata a casa. Riflesse nello specchio dell'ingresso, le labbra erano completamente deformate, ma Lisa non se ne curava più.
Al mattino dopo, Lisa non ricordava nulla. Certo, le sembrava strano che i vestiti non erano dove ricordava di averli messi, e che in bocca aveva un saporaccio che non si spiegava, ma proprio non le riusciva di ricordare le scene della notte passata.
Il freddo iniziava a diventare pungente, e Lisa stava tornando dall'ufficio e dalla spesa di lì a qualche sera. In macchina sentiva di nuovo le labbra gonfiarsi, e imprecava contro il piccolo ingorgo di macchine che si era creato per la partitella dell'Under 16 al campo sportivo sulla strada. Le luci del campo le sembravano un faro di chissà cosa, e smettendo di imprecare aveva improvvisamente parcheggiato sotto il muro dello stadio. Quel buco di struttura ovviamente non aveva bagni separati per uomini e donne, e Lisa, snobbando la partita, se n'era filata nel bagno. C'era il padre di uno dei giocatori, di faccia al vespasiano, che stava pisciando. Invece di chiudersi in uno dei gabinetti, Lisa aveva sfidato lo sguardo stranito dell'uomo, alzato la gonna scoprendo l'autoreggente sopra la rete che copriva le gambe, abbassato le mutandine piegandosi in un'acrobazia sul vespasiano immediatamente vicino; percorreva con gli occhi il corpo di quell'uomo mentre pisciava a sua volta. L'uomo se ne stava lì, invece di spaventarsi voleva vedere cosa volesse quella donna, ed aveva avuto la sua risposta quando lo sguardo più voglioso gli puntava l'uccello. La partita era in pieno corso, ma per non rischiare aveva spinto Lisa in un gabinetto vuoto, le caviglie ancora impastoiate nelle mutandine, e l'aveva scopata da dietro venendole su una natica prima di riabbottonarsi i pantaloni e tornare sugli spalti. Mentre Lisa si strisciava la carta igienica sul culo per pulirlo qualcuno era entrato nel bagno, e aveva scorto nello specchio questa ragazza scomposta. Sembrava uno dello staff della squadra ospite, un ragazzo sulla trentina, lo si riconosceva dalla tuta con le stampe degli sponsor. Le aveva detto - Hey, tutto ok?! - . Purtuttavia non gli era indifferente questo corpo semisvestito, i seni spinti fuori dalla scopata, il culo ancora all'aria. Le aveva soppesato un seno, e l'eccitazione attirava gli occhi di Lisa proprio sotto la tuta. Appigliandosi all'alto elastico dei pantaloni, Lisa aveva scoperchiato pantaloni e mutande, prendendo il grosso uccello del ragazzo in bocca. In questo caso aveva dovuto lavorare un po' prima che questo le venisse in bocca. Si era ricomposta ed era tornata a casa.
Quello dello stadio non era stato l'ultimo episodio. Lisa era diventata sempre meno attiva. L'ignoranza di quello che succedeva oramai a notti alterne non la rendeva meno inquieta. Era sempre stata riservata, ma era diventata addirittura sfuggente e taciturna. In verità, con il vuoto dei rapporti all'interno del labirinto di scrivanie dove si recava dal lunedì al venerdì, nessuno si era reso conto che Lisa si era eclissata. Soltanto Aleksandr, il giovane ingegnere bulgaro, in azienda da qualche mese, aveva notato un cambiamento nell'umore della collega. All'inizio era divertito da questa ragazza castana, formosa, vivace, sensuale. Aveva perfino deciso che gli piaceva, eccome. Ecco perché ora osservava che i capelli castani di Lisa erano troppo invadenti, i contorni delle sue forme sfuggivano agli sguardi, gli occhi vividi puntavano ostinati il pavimento, il passaggio sensuale schivava gli oggetti invece di sfiorarli. Lisa aveva avuto troppo poco tempo per notare l'interesse di Aleksandr, che riscuoteva un certo successo (non ricambiato da lui) con le altre colleghe invece. Alto, capelli corvini dai riflessi ancora più neri, carnagione fresca e bianca, occhi verde giada, l'aria da bravo ragazzo in lui si collocava a metà tra le venature da tecnologo e i modi da gentiluomo. Voleva far qualcosa per Lisa, ma non sapeva cosa.
Quella mattina, Lisa stava fotocopiando dei verbali molto lunghi. Fissava il fotocopiatore con lo stesso rapito interesse con cui mezz'ora prima fissava il bicchiere riempirsi di caffè nella macchinetta. Il fotocopiatore all'improvviso si era inceppato. Lisa aveva eliminato la carta incastrata e ci stava riprovando. Il fotocopiatore aveva invece preso a sbuffare, a ragliare, a ringhiarle contro. I rumori le si propagavano insopportabili in testa, insopportabili come le lucine rosse del display. Poi non aveva visto e sentito più nulla. Era franata sulle ginocchia, il rumore coperto da quello del fotocopiatore. C'era voluto qualche minuto perché una collega passasse davanti alla stanza delle fotocopie e notasse Lisa riversa al suolo. Aveva capito che non era roba di alzarle le gambe e darle dell'acqua e aveva chiamato il 118. All'ospedale il medico aveva sancito: esaurimento. Due mesi a riposo.
Dopo tre settimane Lisa aveva chiamato l'ufficio, non ancora per rientrare, ma per vedere se riusciva a sbrigare della roba col pc a casa. Aleksandr si era offerto per andare a darle il pc, e per configurare posta e quant'altro. Lisa si era forzata di alzarsi dal letto e di darsi una sistemata. La doccia le sembrava ancora più calda e piacevole, la crema ancora più profumata, credeva di non ricordare quel profumo, liquido e pieno, di girasoli, i capelli erano sorprendentemente morbidi. Quando Aleksandr suonò Lisa aveva avuto appena il tempo di infilare il kimono nero di raso felpato, prima di aprirgli. Aleksandr era in imbarazzo ma non lo dimostrava, chiedeva a Lisa come stesse ma al di la di ciò che gli diceva, notava il suo stato di salute: le forme di Lisa erano sciupate dalle settimane a letto, ma rifiorite come la pelle, che era tornata come la ricordava. Mentre Aleksandr si sedeva su una sedia e accendeva il pc Lisa faceva un caffè, che serviva ad entrambi. I capelli erano tornati morbidi, lo sguardo tornava a vivere malgrado fosse ancora un po' intontita dai farmaci. Era sgualcita ma splendente come un lenzuolo appena lavato. Lisa si era chinata di fianco Aleksandr per mettere la password del suo account, andando con il collo vicinissimo al suo. Si erano guardati. Aleksandr tremolando di desiderio e di paura di fare brutta figura, aveva passato la mano sull'orecchio di Lisa, sistemandovi dietro i capelli che le ricadevano sulla guancia. Lisa sentiva del calore che le era parso sconosciuto fino a quel momento. Lui la sfiorava con dei baci, dapprima cauti, poi più arrembanti, sempre emozionati. Diversamente da prima, Lisa lasciava dolcemente che quest'uomo si prendesse cura di lei, con scie di brividi dove passavano i baci. Lei gli sbottonava la camicia, lui aveva sentito il cedere del raso mentre tirava il fiocco del kimono. Aleksandr la aveva poi adagiata sul letto già sfatto. Apprezzava il profumo della sua pelle, mentre Lisa tornava alla vita. Avevano iniziato a guardarsi negli occhi senza mollarsi un attimo, si annuivano: Lisa annuiva ad Aleksandr mentre lo accoglieva, Aleksandr annuiva a Lisa mentre lei passava la sua mano sulla pelle, bianca, dalla sostanza fresca, ma calda di desiderio; Lisa annuiva ad Aleksandr mentre la penetrava deciso ed incredulo, Aleksandr annuiva a Lisa mentre lei affondava la mano nei capelli con lo stesso piacere con cui la si affonda nella finissima sabbia, tiepida e asciutta. Il ritmo di Aleksandr era lento, ogni millimetro della pelle di Lisa si illuminava. Nessuno dei due emetteva un gemito, l'emozione di prendersi era tale che la voce veniva ingoiata, raggiungeva il ventre e rimbombava nelle viscere. Dopo altro annuirsi, giungevano le spinte più carnali. Lisa non aveva resistito a mandare ora il mento all'indietro, perdendosi e assicurandosi all'abbraccio di Aleksandr stringendo gli avambracci intorno alle clavicole di lui. Ad Aleksandr il sovrapporsi di materia sul letto, dapprima i drappeggi casuali delle bianche lenzuola, poi la bianca nudità di Lisa, infine la sua nudità, bianca sì ma moderatamente pelosa, sembrava qualcosa di cosmico, un capolavoro involontario. A dargliene conferma era arrivato l'orgasmo di Lisa, cantato in gemiti flebili. Come per tenerne il ventre caldo, Aleksandr aveva riversato il suo, di orgasmo, dentro Lisa. Nessun farmaco era più necessario, Lisa si era guardata nello specchio e non si era mai vista così splendente.
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