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Racconto n° 4895
Autore: Nut Altri racconti di Nut
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Con gli occhi al soffitto
Lidia stava supina a letto, gli occhi al soffitto. Nella sua mente passavano immagini insieme delicate e forti di attimi d'amore e di tenerezza, ricordi di giorni felici trascorsi con lui, di passeggiate compiute insieme nei campi bagnati dalla pioggia, di corse notturne in auto verso luoghi riservati e solitari in cui fare l'amore, perdendosi.

Come quella volta, quando le sue mani impazienti avevano sbottonato i calzoni di lui per riempirsi della sua virilità pulsante e allora lui aveva fermato l'auto in un rientro ai margini della carreggiata e le aveva strappato i vestiti di dosso e l'aveva baciata e accarezzata e presa con furia selvaggia, e insieme avevano goduto ansimando l'una nella bocca dell'altro.

Poi lei era uscita dall'auto e così, nuda, aveva appoggiato i palmi delle mani al cofano, curvandosi su di esso col petto, le gambe divaricate, in un muto invito a penetrarla ancora lì...

Erano arrivati alla casa in collina solo per la voglia di continuare fra quattro mura. Salite le scale, lui aveva aperto la porta, impaziente, aveva tirato dentro Lidia sommariamente vestita, chiudendo l'uscio con un calcio, ed eccoli adagiati sul tappeto dell'ingresso, abbracciati, avviluppati, tutti presi dal loro delirio.

La notte sbiadiva nell'alba quando avevano lasciato il letto per ammirare insieme, nudi, abbracciati, l'aurora rosata sopra le colline, dalla finestra della camera.

Una volta lui l'aveva condotta in un bosco, sul fare della sera. Era d'autunno e il sentiero che si addentrava tra gli alberi e le siepi era tutto cosparso di foglie: giallo dorato, rosso, arancio, verde pallido quelle cadute da poco; le più secche invece marrone, con colori di terra.
Si inoltravano conversando, l'una accanto all'altro, mentre calava l'oscurità. Ad un tratto tutto fu buio e gli occhi cercavano faticosamente di abituarsi a discernere le forme nella notte di luna nuova, senza luce nel cielo. I sensi all'erta captavano segnali nascosti.
Lui le disse: - Tra poco assisterai alla caccia della civetta. -
- Ma non la vedo, non vedo nulla! – Esclamò Lidia.
- La sentirai. –

E lei sentì. Improvvisamente un battere d'ali, un fruscìo, un pigolìo strozzato. La predatrice si era gettata senza un grido a ghermire un incauto uccellino. Poi tutto fu silenzio.
Lidia era stata presa da un'oscura paura, da una sensazione dolorosa di morte, quasi un presentimento di fine, si era sentita percorsa da un brivido, si era accostata a lui cercando la sua mano, lui le aveva cinto le spalle stringendola a sé.

Talvolta Lidia si meravigliava di come lui osservasse la natura con interesse e curiosità, con uno stupore infantile. Una volta era andata a casa sua e l'aveva trovato mentre guardava il giardino attraverso i vetri della finestra.
Era una giornata grigia tipica dell'autunno, a tratti pioveva.
- Guarda come sono indaffarate le ghiandaie nei lecci laggiù! Eccone una vicina, sembra raccolga ghiande o rametti, ma è molto rapida e non riesco bene a vedere... -
Lidia invece aveva visto il gatto, acquattato ai piedi delle piante, in atteggiamento di caccia.
Si era spostato poi verso le macchie di bambù che ospitavano gli uccellini più piccoli e in un balzo elegante ne aveva afferrato con unghioli crudeli uno intento a bere.
Di nuovo quel brivido, quella sensazione di pericolo incombente...

Ma poi, tra le sue braccia, aveva dimenticato tutto.
La spogliava lentamente, carezzandola, baciandole la gola, mentre lei arrovesciava il capo all'indietro, gli occhi chiusi, le labbra aperte in parte nei sospiri che si mutavano in gemiti quando lui scorreva con la bocca sul petto, sui seni, quando le leccava i capezzoli, glieli succhiava, mentre le mani scendevano a lisciare la pelle dei fianchi, dei glutei.

Ah, come era trascorso quel pomeriggio, immerso nella delizia dei loro corpi. Lidia impazziva al ricordo della testa di lui fra le sue cosce, mentre lei immergeva le dita fra i suoi capelli folti, per attirarla vieppiù sul suo sesso infiammato. Sentiva le labbra di lui aprirsi sul clitoride, la lingua insinuarsi nella vagina che si inondava di succo, e lei allora mugolava di voluttà infinita...

Il desiderio si faceva più pressante, voleva il suo uomo dentro di sé, lo pregava gemendo di penetrarla, gli gridava il suo amore.
Lui soffocava le sue grida con la lingua, coi baci furiosi e poi si staccava per mostrarle il cazzo turgido, rigido, e a quella vista Lidia si sentiva quasi venir meno per la voglia e a bocca spalancata vi si buttava sopra, mentre lui gemeva di eccitazione.
Il coito, dopo, era una fusione perfetta dei corpi e delle menti, era l'esplosione delle stelle, era l'inizio e la fine, nascita e morte, l'intero Universo condensato in attimi di eternità.
Era l'Amore, il loro eterno amore.

Eterno? Nulla è eterno. Basta poco a distruggere l'illusione. Basta un esame del sangue, una TAC. Questi referti avevano detto a Lidia che aveva il cancro. Al seno sinistro. Avrebbe dovuto sottoporsi ad un intervento di mastectomia e in seguito ad una cura chemioterapica.
Avrebbe perso un seno. Avrebbe perso i capelli. Avrebbe perso la sua femminilità: così pensava Lidia.

L'aveva detto a lui. Gli aveva detto che dovevano lasciarsi, perché era finita per lei la stagione dell'amore, sarebbe stata menomata, il suo corpo sarebbe stato deturpato dal bisturi, la sua bellezza sarebbe sparita. Non avrebbe mai più fatto l'amore, non voleva nemmeno pensare al sesso, dovevano lasciarsi, doveva lasciarla andare.

Lui non aveva alcuna intenzione di lasciarla andare. Le diceva che nulla era cambiato per lui, che l'amava, le sarebbe stato vicino, l'avrebbe aiutata e sorretta nella difficile prova che l'attendeva. Avrebbe atteso che lei volesse di nuovo, le avrebbe mostrato un altro aspetto dell'amore...
Ma Lidia ribatteva di non volere che nella loro relazione una tenera compassione prendesse il posto dell'ardente desiderio che avevano sperimentato insieme.

Dopo l'intervento si sottrasse sistematicamente alle richieste di lui, non voleva incontrarlo e quando si parlavano al telefono era solo per impegnarsi in spossanti discussioni in cui ognuno dei due cercava di convincere l'altro delle sue ragioni.

Lidia stava ricordando ora quelle telefonate, mentre con gli occhi al soffitto seguiva il tragitto di una mosca, il suo andirivieni spezzato da brevi voli.
E all'improvviso ricordò anche altre telefonate, che si erano svolte tra loro in precedenza, cariche di erotismo e di passione, durante le quali si erano abbandonati al sesso con trasporto, masturbandosi con le parole, ansimando, immaginando i baci, prestandosi reciprocamente le mani per toccare parti del proprio corpo, per giungere, attraverso le carezze più ardite, all'acme del piacere, gridando il nome dell'altro.

Poi Lidia ricordò il loro ultimo incontro.
Alla fine lui era riuscito ad ottenere che si vedessero a casa di lei. Era ancora convalescente e aveva delle bende sul petto. Sopra indossava un'ampia camicetta, a celarle.
Lui l'aveva abbracciata con delicatezza, le aveva sfiorato le labbra con un bacio leggero, le aveva preso le mani tra le sue, guardandola in viso.

Lidia era emozionata e non parlava. Parlò lui dicendole quanto era felice di vederla, e quanto l'amava, e quanto la desiderava, e intanto le si era fatto accanto e la carezzava, la toccava, insinuava la mano sotto la gonna di lei, la faceva scivolare sulle sue cosce, sul pube, scostava le mutandine...

Lei era così turbata che non si rendeva conto di ciò che accadeva: sentiva brividi potenti percorrere tutto il suo corpo e un violento capogiro la stordì.
Lui le aveva sfilato le mutandine, le teneva in mano, le annusava, le leccò guardandola negli occhi, poi le disse: - Ti desidero – e le sfilò anche la gonna.
Armeggiava per liberare il membro e Lidia tutto ad un tratto si riscosse. Fu come se si fosse svegliata da un sogno. Si tolse la camicetta, gli gridò: - Guardami! – mentre si strappava via la medicazione dal seno.

Egli guardò e la sua eccitazione sparì. Poi, imbarazzato e vergognoso, abbassò la testa.

Nut

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