-Tutto in questa città è spettacolo divertimento e voluttà- .
Pierre Ange Goudar
La risacca rifletteva le poche luci dei lampioni funzionanti. Il mare quella sera era così calmo da assomigliare a un vecchio marito troppo stanco. La sposa invece usciva di notte. Notte di fuochi, notte di follia: Roberto Gozzi il nuovo magistrato era appena stato eletto e le autorità avevano indetto un Carnevale straordinario, fuori stagione. Sparavano le salve di cannone, antitesi di campane: chiamavano a ben altri riti. Poco importa che quasi nessuno conoscesse davvero Gozzi, la festa era solo un pretesto: per il popolo che dimenticava le angherie di cui era quotidianamente oppresso; per i nobili che rompevano, con l'anonimato di una maschera, l'ipocrita austerità che il loro contegno imponeva. A dire il vero, sebbene il - tabarro - , la palandrana nera che tutti indossavano in tali occasioni, fosse lunga fino ai piedi, la - bautta - , la mascherina scura che copriva il volto, ricadeva sotto al tricorno con un gioco di pizzo nero troppo raffinato e leggero perché potesse davvero celare un'identità. Eppure le notti brave e sregolate avevano le loro regole non scritte. Nessuno correva il rischio l'indomani di svegliarsi col dubbio di essere stato riconosciuto. Non erano che lampi di immaginazione quei volti, fluidi come lo scorrere dell'acqua del canale, tutti noti, eppure tutti sconosciuti. Non si era mai abbastanza plebeo da vedersi negare l'accesso agli esclusivi palazzi della nobiltà, se si conosceva l'arte di mascherarsi con eleganza...
Ecco il portone secondario del chiostro delle novizie aprirsi di appena una spanna e quattro figure uscirne furtive sotto coperta del tabarro. Da un umile maleodorante abituro usciva invece un gran dottore, roteando il suo bastone sparì celere al di là del ponte. Nobili dame severe precettrici di giovani rampolli si davan licenza di taverna; sposate, nubili, cortigiane, potevano mischiarsi in promiscuità alla ricerca dei più inconfessabili piaceri. La maschera proteggeva coscienza e apparenza. Tra le folle promiscue apparivano le conosciutissime maschere della - commedia - nei loro costumi di scena. Per alcuni, come questi, non c'era anelito a nascondersi; per loro valeva l'opposto: ben visibili i veri volti, l'apparire con quei costumi sontuosi era segno di ricchezza e fasto. Presto scoppiò un'ovazione: il doge apparve su una carrozza scoperta trainata da quattro stalloni arabi. Drappato di porpora e oro sembrava l'imperatore di Bisanzio: con una mano manteneva una mascherina, con l'altra salutava le ali di folla plaudente. Sedutigli accanto c'erano: una figura di donna e uno dei savi della città. Quest'ultimo manteneva il - libro d'oro - sulle ginocchia: era il grande tomo dove comparivano le firme dei cittadini più illustri. Da quella sera era stato aggiunto un nome in più... Guerrieri saraceni, figure anonime tabarrate, alcuni Bacco e alcuni Odini, re, principi orientali e crociati, ninfe seducenti, baffuti cosacchi, attraversavano apparentemente senza meta: la piazza, i ponti, le calli strette e tortuose, o scivolavano sui canali al ritmo dei bicipiti dei gondolieri. Tutti apparentemente senza meta, meno che una figura statuaria di uomo, imponente, tutta nera se non per un'elegantissima bautta bianca damascata d'oro; il calco doveva essere stato preso su misura, perché la maschera calzava con una precisione sartoriale. Ancora più preziosi erano i due meravigliosi lapislazzuli che chiudevano al collo il tabarro a mo' di bottoni. Sapeva bene, l'uomo nascosto sotto quel travestimento, che nell'amorfe promiscuità della massa, la vera differenza non era data dalla platealità dell'ostentazione, ma da piccoli tocchi di raffinata eleganza.
E quanto quei lapislazzuli si riflettevano negli sguardi delle dame dall'occhio lungo! Si fissavano sulla figura mascolina, la seguivano anche dopo che essa aveva proseguito senza esitazione lungo la propria strada. Qualsiasi cosa cercasse, sembrava avesse il tempo contato e che tutto quel frastuono gli fosse estraneo. Un tale uscendo barcollante e ubriaco da un palazzo nobiliare, quasi gli sbatté addosso:
-Bada dove vai Mercuzio!- Tuonò la figura dell'uomo statuario che probabilmente l'aveva riconosciuto.
-Eccellentissimo....-esclamò l'ubriaco.
-Ussignor! Stai zitto, non vorrai che...-
-Non si dica eccellenza, Mercuzio sa come preservar dell'altrui riserbo!-
-Hai giocato anche stasera?-
-Cosa vuole che le dica Eccellenza, da quando ero armatore non ho mai temuto l'azzardo di pirati e di genovesi... ora che il mare mi è precluso non mi è rimasto che il tavolo da gioco per sfogare il mio amor per il rischio!-
Nei giorni di festa tutta la città era adibita a bisca clandestina. Si intravedeva difatti dall'esterno, attraverso le lampade accese nella casa dalla quale Mercuzio era uscito, ubriaco e perdente, un nugolo di persone che giocavano con ogni probabilità a - panfilo - . Potevano essere donne delle migliori famiglie o miserabili; si intravedeva chiaramente la moglie di Morosini e un'attricetta che, rimasta a corto di denaro, per poter continuare a giocare, accarezzava lascivamente un ministro del governo (di questo era certo) che però essendo di spalle non poteva essere riconosciuto.
Ma l'uomo dal tabarro coi lapislazzuli aveva altro per la testa. Continuò la sua corsa e fece per dirigersi verso il calle più buio, dopo un ponte anonimo sul quale due maschere palesemente si toccavano sotto il mantello. Il passaggio dell'uomo non li interruppe. Dal calle nel quale stava per entrare uscirono quattro donne tanto galanti nelle vesti quanto sguaiate nelle risa. Tutte e quattro erano vestite uguali e indossavano sensuali scarpette di marocchino, alte oltre un palmo, che sebbene le limitassero nei movimenti, le liberavano di fantasie. Avevano ciondoli al collo che si deponevano su scoperti balconi. Una di esse chiese all'indirizzo dell'uomo:
-Ha già sfilato il doge col nuovo magistrato?-
-Il doge sì, il magistrato non l'ho visto, non lo conosco- Rispose l'uomo.
-Vieni, te lo presentiamo noi!- Rispose quella. E un'altra:
-Vieni a sfilare con noi... siamo brave nell'arte dello... sfilare!- E scoppiarono in un'altra delle loro fragorose risate.
Alla fine del calle finalmente il palazzo. La - meta - tanto rincorsa dall'uomo. Era un palazzo elegante, ma anonimo, una lampada si consumava sul portone di ingresso mettendo in evidenza l'effigie di un leone di pietra. Dopo che ebbe bussato con quattro rapidi tocchi, una porticina si aprì all'altezza del volto. Quattro occhi si studiarono per poco più di un istante, dopodiché si sentì il rumore di un chiavistello. L'uomo entrò rapido e il portone gli si chiuse alle spalle altrettanto rapidamente. Salì le scale quattro alla volta e due damerini dall'aspetto gaio spalancarono la doppia porta della sala.
Centinaia di maschere danzavano all'interno. O per lo meno si presumeva dovessero danzare... o avessero già danzato. Un'orchestra continuava a suonare in fondo al salone. Nessuno si scompose al suo ingresso. Ai lati erano schierate poltrone francesi. Su una di esse due uomini si - contendevano - un'unica donna e questa per non scontentarli li baciava e accarezzava la loro patta a turno. Più avanti una colombina era presa da dietro da una robusta maschera argentata, mentre davanti lusingava il membro eretto di un arlecchino trattenendolo in bocca in tutta la sua lunghezza. Ancora più avanti verso il palco dell'orchestra una donna bendata lo succhiava a quattro e doveva indovinare ogni volta a chi l'avesse succhiato. Come premio l'uomo le girava dietro e la prendeva, mentre il gioco continuava fino a che avesse indovinato di nuovo. Su un divano in fondo alla sala c'era un groviglio inestricabile di carne e sensi. Una donna persa, maschera e contegno, era seduta a terra e si toccava mentre assisteva a queste scene.
L'uomo non si trattenne troppo a mirare quelle orge di maschere impazzite, ma uscì dalla sala per percorrere un corridoio. Ogni stanza che dava sul corridoio era trasformata in un'alcova. In una di esse un pittore ritraeva la scena che si consumava su un grande letto patronale. Una donna molto giovane e bionda, l'identità protetta da una maschera più coprente, era in ginocchio a gambe larghe mentre un moro la penetrava dal buco proibito. Sotto di lei un'altra esile mascherina femminile, un'amabile morettina, leccava avidamente la mona perfettamene depilata della bionda, bevendone gli evidenti copiosi umori. A sua volta lei veniva scopata da un altro amante avvolto nel mistero della sua maschera, che le teneva le cosce bene aperte. Su una poltrona molto grande, l'uomo drappato di porpora e oro, quello della carrozza trainata dai destrieri arabi... era lì, come un imperatore di Bisanzio a farsi masturbare da una sua concubina, che di tanto in tanto affondava la testa sul suo membro oscenamente enorme. Anche il pittore che immortalava la scena, di tanto in tanto riponeva i pennelli e si distraeva.
Percorso il corridoio in tutta la sua interminabile lunghezza, il nostro uomo giunse al fine su un terrazzo. Dal terrazzo si poteva vedere la città in festa. La città impazzita. Un'altra figura l'attendeva nella semioscurità, solo la luce intermittente dei fuochi artificiali ne riusciva a illuminare le fattezze: indossava una maschera bianca e oro, identica a quella dell'uomo e due identici bottoni di lapislazzuli. Erano l'un l'altro dinanzi. Si erano riconosciuti. Due maschere uguali quasi in tutto, se non in una leggera differenza in costituzione e altezza.
-Temevo non arrivassi più...- disse una voce suadente proveniente dalle profondità della bautta
-Lucia, ho adottato più di una cautela per non farmi riconoscere...-
-E già: questa sera tutti ti cercano. E' la tua festa!-
-Sì, ma solo tu mi avrai!-
-Roberto, cosa farei senza di te...-
-Da domani potremo vederci tutti i giorni...-
-Dì la verità, solo per questo hai voluto che sponsorizzassi la tua carica presso mio marito?-
-E' la mia unica ambizione...-
-A proposito... l'hai visto quel porco? E' qui!-
-Sì, l'ho visto, vestito da imperatore... mi dispiace... la città in fondo non è poi così grande-
-A me non dispiace per niente. Perché da adesso in poi ho te!-
Si alzarono le maschere rivelandosi con gli sguardi. Si baciarono nel tripudio della folla fuori e nei gemiti che di tanto in tanto si sentivano dall'interno. Poi lei si inginocchiò e prese il membro di Roberto tra le mani. Era proporzionato al fisico statuario del magistrato. Bello liscio e duro. I testicoli erano due frutti pieni e gonfi. Leccò tutto con grande avidità di moglie insoddisfatta. Lasciò ovunque bagnato della sua saliva. Lo succhiò a lungo.
Fuori una nuova raffica di fuochi artificiali salutava la venuta di un nuovo magistrato. Un rivolo di sperma scivolò sulla nera palandrana di Lucia e finì sgocciolando sul piedino elegante e nudo del suo sandalo di marocchino.
Briandebois