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Racconto n° 5002
Autore: Eva Blu Altri racconti di Eva Blu
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L'amore secondo Neruda
Amore, quante strade per giungere a un bacio,
che solitudine errante fino alla tua compagnia...

Leggeva Neruda e io ero completamente in bambola, ascoltavo la sua voce e mi perdevo in mille pensieri, sentivo quella parola, bacio, la ripetevo dentro di me - bacio, bacio, bacio - mi rimbombava e mi pulsava dentro le orecchie, cuàntos caminos hasta llegar a un beso, quante strade per giungere a un bacio, pensavo a me e a lui, guardavo senza vedere, non riuscivo ad andare oltre il blu dei suoi occhi.
- Ma mi stai seguendo?
- Come no, pensare che separati da treni e nazioni...
- ... tu e io dovevamo semplicemente amarci, confusi con tutti...
- ... con uomini e con donne, con la terra che pianta ed educa i garofani.
Mi offrì uno dei suoi soliti sorrisi dolci e che io al tempo stesso consideravo furbi, proseguì col sonetto III dei Cien sonetos de amor:

Aspro amore, viola coronata di spine ...
per che strade e come ti dirigesti alla mia anima?

Chiuse il libro, mi poggiò una mano su un polso, offrendomi la brutta copia di una carezza, mi regalò un bagno nel blu delle sue pupille.
- La sai. La sappiamo.
- Vero. La sappiamo, altro che.

* * *

Il primo bacio che ci scambiammo con Giovanni fu dolce e tenero, ingenuo, un tantino casuale, da perfetti imbranati. Io davvero non pensavo che lui, che anche lui ... Invece, quante strade per giungere a un bacio e sul più bello, poi, nessuno dei due sapeva da dove cominciare, forse perché avevamo la consapevolezza che non dovevamo cominciare eppure non sapemmo resistere, perché io e lui tenìamos que simplemente amarnos, dovevamo semplicemente amarci. Come se amarsi fosse una cosa semplice.
Ci arrivammo poco per volta, a quel bacio impacciato, dopo avere a lungo e inutilmente lottato contro noi stessi per mesi, per anni o forse da sempre. Ci arrivammo in un pomeriggio di studi in cui, in modo imprevisto e imprevedibile, le vie di scampo si chiusero tutte e finimmo prigionieri dei vapori dei nostri fiati, tanto, troppo caldi e ansimanti e pericolosamente vicini, venimmo catturati dai nostri silenzi imbarazzati ed emozionati, dal gelo incandescente che scese fra di noi, dagli sguardi prima spavaldi e dagli occhi che poi si abbassarono timidi sui libri di letteratura spagnola su cui avremmo dovuto concentrarci, mentre io non facevo che pensare al blu dei suoi occhi e a quella parola maledetta, beso, beso, beso.
Bastò un nulla, fu sufficiente che io solamente pensassi non di accendere ma appena appena di sfregare lo zolfanello di una minima provocazione, perché lui partisse in quarta, incendiando la polveriera sulla quale eravamo seduti da tempo, senza rendercene conto.
Lui capì al volo che stavo ignobilmente facendo finta di dover prendere una matita dal suo lato del tavolo e ne approfittò per toccarmi contemporaneamente le zone erogene che mi regalavano le sensazioni più difficili da controllare, le mammelle e il culetto, spingendo una mano sui capezzoli resi già turgidi dai ripetuti toccamenti di quel pomeriggio e incuneando le dita nel solco formato dai glutei, stimolando il buchetto più stretto con dolci movimenti rotatori che misero a dura prova la mia capacità di trattenere sospiri e gemiti.
Mugolai, infatti, miagolai come una gattina in calore, lui percepì il brivido intenso che stavo provando, la voglia matta di farlo continuare rimanendo immobile per renderlo padrone del mio corpo, ma quando cercò di violare la mia carne introducendo una mano sotto la maglietta, ebbi come una reazione, cercai di scuotermi, di liberarmi e siccome eravamo praticamente appiccicati, finì che le nostre bocche si scontrarono goffamente, in un contatto morbido e umido e ci rimase sulle labbra il sapore bagnato, il respiro caldo, lo stupore dell'altro.
Beso, beso, beso... Era così quella parola, bacio? Era quello il precipizio sul cui orlo avevo avuto l'incubo e il dolce sogno di stare, più di una volta, in equilibrio precario? Era tutto lì, un incidente fortuito, un banale urto tra nasi e labbra?
No, non doveva essere solo quella, l'emozione che si provava.
Perché sentivo che la sensazione più forte era lui mi respirava addosso, lui ancora tanto, troppo vicino, lui che mi faceva battere il cuore a duemila, lui che continuava a massaggiarmi dolcemente le tettine acerbe e con l'altra mano, in maniera un po' ruvida ma efficace, mi costringeva a impugnargli il cazzo durissimo.
Smarrimento, confusione, la parola beso, beso, di nuovo a pulsarmi nelle tempie, sembravamo i fidanzatini di Peynet e non potevamo esserlo, non dovevamo, ma mi accorsi quasi all'improvviso che stavo tenendo gli occhi chiusi, giusto alla maniera degli innamorati, e allora mi feci forza e li riaprii e ritrovai a pochi centimetri dai miei i suoi occhi e il suo sorriso lieve, tranquillo, rassicurante, che a me dava sempre un'intensa emozione erotica.
Scese di nuovo il buio tra di noi e le nostre labbra si sfiorarono ancora e, mentre lui mi massaggiava ancora le poppe e io giocavo senza più costrizioni col suo cazzo duro, mentre il suo odore mi riempiva le narici e viaggiando attraverso le vie aeree dilatava i vasi sanguigni e mi arrivava negli angoli più remoti del cervello, come fosse la cosa più naturale al mondo, sentii che la mia bocca si incollava alla sua, che le sue labbra si aprivano dolcemente e che piano piano gli infilavo al di là dei denti la lingua, allacciandola dolcemente alla sua, che mi saettava morbida e calda dappertutto, gustando la mia saliva e restituendomi la sua.
Era la prima volta che assaggiavo il sapore di un'altra persona. Era il primo bacio che avevo sempre desiderato, perché lui era la persona che amavo.

* * *

Amarsi, semplicemente amarsi. Cosa c'è di più facile, per i poeti?
Amarsi, nonostante tutto.
Ma il terrore si era impadronito di me. Non so dove trovai l'energia per mettermi in piedi e per cercare di fuggire (- Aspetta, sussurrai, ragioniamo un istante), però ansimavo per il calore che mi sentivo dentro e allora lui mi prese teneramente per mano e mi fece sedere accanto a sé sul divano.
Cercai, in effetti, di dirgli qualcosa, ma i suoi occhi compiaciuti e sorridenti, piantati su di me, non li reggevo proprio, perché ormai non aveva più bisogno di toccarmi per farmi gonfiare il mio piccolo seno, che a forza di essere stimolato si stava comportando proprio come quello delle ragazze quando si eccitano, mentre i capezzoli e le areole erano ormai due grosse chiazze violacee divenute sode ed enormi sotto il cotone della maglietta bianca.
Sorrise, sorrise ancora. Mi eccitava da morire, quel sorriso.
- Ti piace se ti tocco? mi chiese – Da morire, risposi d'istinto.
Ormai il salto nel vuoto era bello e fatto e docilmente gli permisi di togliermi la maglietta, lasciai che scoprisse le mie forme morbide, che si aprisse in un'espressione gioiosa, compiaciuta.
- Sei bellissima, sussurrò, hai veramente le tette.
Mi tolse il fiato, con quelle parole, adoravo chi mi parlava al femminile e apprezzava il mio piccolo ma dolce seno, mi era sempre piaciuto sin da quando, bambino, mi scambiavano per bambina, perché mi piaceva vestirmi da femminuccia, come la sorellina che non avevo avuto e anche se fratelli, cugini e amici, parlandomi al femminile, mi davano già allora impietosamente del finocchio. Quella era la mia natura, adoravo le bambole e più di tutti i bambolotti, li tenevo tra le braccia e in segreto li allattavo con la fantasia, con le tettine morbide che la natura si era divertita a disegnarmi addosso e che tutti, maschi e femmine, mi notavano e spesso mi toccavano, non sempre per gioco.
All'inizio gradivo i palpeggiamenti di chiunque, ma crescendo ero diventata più selettiva e traducevo i toccamenti di chi mi piaceva veramente in stimoli autoerotici, in inconfessabili carezze serali e notturne. Ma da quando avevo conosciuto lui non avevo fatto che sognare il momento in cui lui e solo lui mi avrebbe accarezzata sul serio e ora che mi stava baciando e succhiando i capezzoli finalmente nudi e che li massaggiava piano piano tra pollice e indice, sapevo, capivo che stava per succedere l'imponderabile, quello che sognavo dal primo momento in cui l'avevo visto, guardato, sentito i suoi occhi che si erano posati su di me non in maniera normale, non nel modo in cui normalmente si guardano due maschietti che si sono appena conosciuti, ma proprio come si guardano un ragazzo e una ragazza che si piacciono, si desiderano, si promettono senza parlare, reciprocamente, qualcosa che può succedere un minuto, un anno, una vita dopo oppure mai.
Era incerto, però, lo vedevo, dovevamo semplicemente amarci, confusi con uomini e con donne, diceva Neruda, come se fosse facile, per un macho come lui, amare un ragazzo come me che si sentiva una ragazza, come se fosse facile sconfiggere pregiudizi e tensioni e paure, ma lui vinse l'imbarazzo insultandomi e dicendomi che ero una troietta, una femminuccia porca e questo mi piaceva da morire come tutto quel che mi faceva, mi toccò lì sotto e scatenò in me sensazioni fantastiche, mi sembrò di essere in preda a un cocktail potentissimo di droghe, pensai che sarei morta perché il cuore era ormai arrivato oltre la gola, stava uscendo dalla bocca che tenevo spalancata a slinguettare senza ritegno con lui, ma era solo che stavo venendo grazie alle sue mani, che godevo con le sue carezze dolci come tante volte avevo fatto con le mie mani pensando a lui, lui che stavolta era lì con me, a sentirmi dire ciò che fino a quel momento avevo gridato solo dentro di me, cioè che lo amavo da sempre, che lo desideravo e volevo fare l'amore con lui.

* * *

Che imbarazzo mortale, dopo. Non sapevo che dire, mi uscì di bocca uno stupido e scontato chissà ora cosa penserai di me, che gli strappò un sorriso, e cosa devo pensare, rispose divertito, significando con queste quattro parole tutto e niente, ma un istante dopo il clima da innamoratini di Peynet si dissolse e lui si mise in piedi davanti a me, le gambe larghe, ben piantate per terra, a pochi centimetri dal mio viso.
Mi ritrovai col suo inquietante bastone di carne, indecentemente nudo, indescrivibilmente arrapante, a pochi millimetri dal mio naso. Odorava intensamente di maschio e ancora una volta attraverso le narici lui mi arrivò dritto al cervello e da lì partì un ordine perentorio alle mie braccia, alle mani, soprattutto alla bocca, di impugnare, scappucciare, prendere tra le labbra, leccare e succhiare quella cappella turgida e violacea.
Lui con brutalità mi spinse il cazzo durissimo e lungo fino in gola. Aveva un sapore sporchissimo, sapeva di maschio e di sesso e rischiai di soffocare, ma fare il primo pompino della mia vita a lui, Giovanni, il mio grande amore, il mio primo grandissimo amore, fu una cosa stupenda e lui era eccitatissimo e orgogliosissimo, riprese a insultarmi, fino a quando non sentii un piccolo schizzo caldo che mi arrivò in gola e a quel punto le sue mani si fecero di acciaio, mi tennero la testa inchiodata, lo sentii gridare e contemporaneamente mi venne in bocca, con una quantità inesauribile di fiotti bollenti in rapida successione che per non soffocare dovetti ingoiare tutti, fino all'ultima goccia.

* * *

Dopo, dall'imbarazzo si passò all'angoscia. Gli bastarono poche parole, per farmi precipitare nell'oscurità.
- Dove hai imparato ad essere così troia?, chiese senza nemmeno guardarmi.
Sebbene disarmante, la domanda era quanto mai logica, ma non volli ripetergli che lo adoravo, che avevo preso in bocca il suo cazzo e inghiottito il suo sperma perché volevo essere totalmente sua, come una donna che si dà pienamente al suo uomo. Cominciai invece a pensare a quel che avrebbe detto la gente, perché prima o dopo - lo sapevo - la storia sarebbe venuta fuori, magari lui se ne sarebbe vantato in giro.
Ero tutta zozza, dato che ero venuta nelle mutandine e nei pantaloni e che lui mi aveva sporcata in viso, sul collo, sul seno. Mi infilai nella doccia, poi pensai che mi sarei vergognata troppo ad uscire completamente nuda, anche se in accappatoio, e allora misi quel che trovai in bagno, nella biancheria pulita, un paio di slip da donna, e tornai da lui pure scalza.
Lo ritrovai seduto al tavolo, il libro aperto, a leggere:

La luz que de tus pies ...

La luce che dai tuoi piedi sale ai tuoi capelli,
la turgidezza che avvolge la tua forma delicata ...

Istintivamente mi guardai i piedi nudi e vidi che anche lui me li stava fissando. Era un clima irreale, anche perché lui stava seduto in camicia, ma nudo dalla cintola in giù. Andai per rivestirmi e lui, con cortesia ma con fermezza, mi impedì di farlo.
- Stai bene così.
A quel tavolo sedevamo io in accappatoio, lui con il pisello in bella mostra. Mi riscaldavano i suoi occhi, le sue parole

Donna completa, mela carnale, luna calda ...
Quale antica notte tocca l'uomo con i suoi sensi?

- Mettiamoci a letto, dai.
Lo disse come se fosse una cosa scontata, naturale, in un certo senso inevitabile. Io rimasi un attimo interdetta, ma non ammise discussioni, aprì le lenzuola, mi diede la precedenza, togliendomi l'accappatoio con la stessa grazia con cui mi avrebbe tolto la pelliccia ad una serata al teatro, mi fece scivolare dentro il letto, poi si liberò anche della camicia e mi raggiunse. Quasi non mi accorsi che mi aveva sfilato le mutandine, perché lì, sotto le coperte, sentii solo il profumo delle lenzuola sui nostri corpi nudi, il pizzico delle sue gambe pelose sulle mie cosce lisce, la dolcezza della sua lingua sulle punte dei miei seni, la dolce ma decisa pressione del suo cazzo ancora solo semirigido tra i miei glutei.

Ho fame della tua bocca, della tua voce, dei tuoi capelli ...
Bacio a bacio percorro il tuo piccolo infinito,
i tuoi margini, i tuoi fiumi, i tuoi villaggi minuscoli

- Sei una donna, più di una donna, sussurrò dopo avere percorso il mio piccolo infinito bacio a bacio, rimanendo incollato col torace muscoloso alla mia schiena.
Dormimmo un po', esausti, avvinghiati, con lui che teneva le mani incrociate sulle mie e sul mio piccolo uccello e forse sognai di scivolare nel precipizio, ma in realtà era un risveglio di amore e di sesso, la sua cappella di nuovo dura che mi pressava proprio lì, erano le sue mani sicure e mature che si riempivano dei miei seni, erano i miei capezzoli avidi di baci e incapaci di resistere alle lusinghe della sua saliva, era la sua lingua che si spingeva in maniera veramente imbarazzante ma quanto mai eccitante nei miei villaggi minuscoli, violando la mia intimità più profonda e facendo da apripista per il suo sesso che di lì a poco mi avrebbe presa, sfondata, strappandomi urla di dolore e di piacere, provocandomi sensazioni mai provate prima, facendomi aggrappare alle lenzuola, nelle contrazioni del piacere, come fossero spuntoni di una roccia, una roccia friabile però, come friabile era l'estremo tentativo di rimanere fuori dal precipizio.
Ormai era tardi, infatti, e quando sentii il suo seme caldo che mi riempiva le viscere, capii che da quel pazzesco, pauroso, dannato ma stupendo precipizio non sarei uscita mai più.

* * *

Quando mi lasciò, per una ragazza vera, piansi tre giorni e tre notti, mi sentii terribilmente delusa come un'innamorata respinta, rifiutata, come una sposa ripudiata, un'amante umiliata e maltrattata, ma dentro di me capii e pensai anche che in realtà, se non lo avesse fatto lui, avrei dovuto lasciarlo io. Il paese era piccolo, pettegolo, mormorava e anche se avevamo vissuto la nostra storia lontani da tutto e tutti, ben presto avrebbe capito.
L'ultimo giorno che ci vedemmo cercai di trattenere le lacrime, mordendomi a sangue il labbro inferiore. Lui apprezzò e però di certo non mi amava abbastanza, perché nemmeno si avvicinò a fingere di consolarmi: non volle cioè rischiare minimamente ricadute di una malattia che altrimenti sarebbe divenuta inguaribile.
Lo trattenni ancora un attimo, prendendogli una mano.
- Quelle cose che ti ho detto, cioè che io ti amo, scusa se te le ho dette. Magari ti imbarazzano, però io insomma, io credo di provarle sul serio, ecco.
Mi sorrise e quel sorriso dagli occhi blu non l'ho più trovato, in nessuno degli uomini che, dopo avere deciso di vivere da transessuale, ho avuto dopo di lui. Di tanto in tanto, pensando a lui e alla sua vita normale, mi chiedo cosa gli sia rimasto di me. Non so rispondermi, mentre di lui spesso mi ricordo con i versi che studiammo insieme, nei giorni felici.

Quella volta fu come mai e come sempre:
andiamo lì dove nulla v'è che attenda
e troviamo tutto ciò che sta attendendo

Eva Blu

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