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Racconto n° 5066
Autore: silverdawn Altri racconti di silverdawn
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Il gioiello
Alle 18 e 20 vidi finalmente le luci della locomotiva illuminare i binari lontani e lentamente venire verso di me. Troppo lentamente, per quel momento e troppo velocemente per poter carpire ogni passeggero dal finestrino della porta. La locomotiva mi passò davanti agli occhi, seguita dalla prima carrozza ma non capii chi c'era al finestrino... o meglio: non riuscii a vedere Monica, tanto era l'unica persona che mi interessava. Sapevo benissimo che era sulla carrozza numero 5, ma non sapevo con che ordine le avessero messe, dietro la motrice. Intanto i finestrini scorrevano nei miei occhi e i miei occhi cercavano di cogliere l'immagine dei suoi capelli, dei suoi occhi, dei suoi vestiti. In quel momento mi parve persino di non ricordare più come era fatta, quanto era alta, di che colore fossero i suoi capelli, come fosse il suo viso... ero sicuro di non poterla riconoscere, di perderla fra un mare di gente che scendeva, di confonderla con tutte le altre che sarebbero scese. Un attimo, brevissimo attimo ma che mi scaraventò nel panico totale. Finalmente il treno era fermo, la porta della carrozza a pochi passi, un numero affisso al vetro del finestrino... il 5! ma Monica non scese da quella porta! Scesero almeno altre sette persone ma non Monica, ne ero quasi certo... mi voltai in direzione dell'altra porta della stessa carrozza e la scorsi, sorridente che si sbracciava a salutarmi. Quasi certo che fosse lei, le andai incontro, adesso ero più tranquillo, la riconoscevo, rimarcavo nella memoria tutto il suo viso, il suo corpo, i suoi occhi, le sue espressioni. Strani scherzi della mente... trascinandosi il trolley sul marciapiedi, mi veniva incontro sorridendo, ma non era il solito sorriso di Monica. Era come velato da un qualche pensiero, da un qualche peso. Pensai al viaggio, alla noia dei suoi messaggi dal treno, alla sua vacanza finita, a tutto ciò che aveva lasciato via, perfino alla Lamborghini gialla, ma non riuscivo a trovarci il senso di tanto broncio... però sorrideva. Poi l'abbraccio, il bacio, un bacio vero, passionale e profondo, di quelli che ti trascinano via dove non c'è più nulla, lontano. E la sua testa sulla spalla, la bocca accanto all'orecchio che sussurra...

- Quanto mi sei mancato, Luca! Mi porti via con te o mi riporti a casa? -

Già! Nel turbinio di cose che avevo combinato, non mi ero neppure ricordato di dirle che la portavo via con me, quella sera...

- Ti porto a casa mia, stasera... ho già preparato anche la cena. Volevo che fosse una sorpresa... -

Turare i buchi, le falle, prima di tutto... una piccola bugia per coprire una dimenticanza... tanto lo sa anche lei che sono distratto e strampalato.

- Bellissima sorpresa, ci contavo molto... ho bisogno di dirti una cosa, ma non subito. Adesso portami a casa. -

Altri baci sul marciapiedi, le mie carezze sul suo corpo, le sue mani sul mio, quasi come se non ci vedessimo da anni. Erano passate due settimane, solo due settimane, due piacevoli settimane per entrambi, per giunta. Il treno era ripartito, il marciapiedi era vuoto, scendemmo nel sottopassaggio e uscimmo dalla stazione quasi senza dirci una parola, soltanto carezzandoci sempre. Buttai il suo bagaglio sul sedile dietro della 2 CV, le aprii lo sportello e lei si sedette senza quasi nemmeno far salire la gonna... non vidi neppure la fine delle parigine che indossava, quasi nemmeno le ginocchia. Richiusi e raggiunsi il mio sedile, la baciai ancora accendendo il motore e poi mi misi a guidare. Per arrivare a casa mia ci voleva una mezz'ora, tempo di parlare ce n'era...

- Sembri imbronciata... cosa mi devi raccontare? -

- Non ora, non subito... dopo, a casa, con calma... ho tempo per un bagno? Avrei voglia di un bagno... -

- Non ho la vasca, a casa... ho solo la doccia, non ricordi? -

- Scusami... ci son venuta solo un paio di volte, a casa tua... va bene anche la doccia, se la fai con me... -

- Più che volentieri, tanto la cena è solo da scaldare... -

Tentavo di cambiare il meno possibile, per potermi godere la sua coscia sotto la mano e la sua mano sopra la mia... ma, ogni tanto, mi serviva anche la destra. Era quasi come se gliela rubassi, se le portassi via l'aria, quando le toglievo la mia mano dalla coscia. La seguiva sulla leva del cambio, la guidava ancora verso la coscia appena finita la manovra e poi stringeva, stringeva forte. Ma parlava poco, quasi nulla. E non la toglieva, la stoffa della gonna da sotto la mia mano. Ero stato abituato a vederla sollevare le gonne con molta disinvoltura ma quella sera no, non la sollevava. Ero tentato, molto tentato, ad ordinarglielo ma mi trattenni, male o bene che facesse il trattenersi. Intanto mi raccontava qualcosa della sua vacanza ma poche parole, fatti che già avevo letto nelle sue email, sprazzi di ricordi poco conditi di emozioni, di sensazioni. Sì, era distratta... distratta da quel che mi voleva raccontare e non mi raccontava. Così le raccontavo io, cercando di stimolarla. Ma nemmeno i miei racconti la interessavano. Un briciolo di interesse in più le venne seguendo il riassunto del libro che scrivevo, quello sì. Finalmente raggiungemmo casa mia, parcheggiai al solito posto e salimmo in casa. Dentro, al tepore del termosifone, gettato il giaccone sul divano, i baci tornarono ad essere l'unica cosa che ci interessava davvero, ed erano baci stupendi, di quelli che t'incollano al tempo e non finiscono mai. Di quelli che dilatano i secondi, che mangiano i minuti, che sbranano il tempo. Ma la mia voglia di lei andava ben oltre i baci, il tepore della casa permetteva di abbandonare anche altro, oltre il giaccone. Il suo maglione, arrotolato sotto la gola, lasciava il suo seno contro di me, contro il mio petto nudo... anche il mio, di maglione, era risalito fin sotto la gola. Ce ne liberammo a vicenda, liberando anche le braccia e tornammo a baciarci. Non ne avevo mai avuti così tanti, di baci di Monica; pareva non averne mai abbastanza. Una fame infinita, un vortice continuo... ma io volevo anche il resto e cercai il modo di farle calare anche la gonna. Ma era più complicato... non era la solita gonna con l'elastico in vita! Doveva avere una zip in qualche angolo o dei bottoni o una serratura, un chiavistello, un sistema elettronico con telecomando e non lo trovavo! Ridendo si staccò da mio bacio e andò a slacciare la cinghietta che teneva i lembi del portafoglio e, quasi senza staccarsi dal mio volto, lasciò cadere a terra la gonna e tornò a baciarmi con passione. Le mie mani scesero a carezzare la schiena fino in fondo, appena ostacolati dai cordini leggeri. Sotto, quelle sue chiappe deliziose erano nude e morbide, sotto le mie mani, nude e calde, sotto le mie mani, nude e frementi, sotto le mie dita. Anche lì ci volle del tempo ma riuscii a farla sedere sul divano, appena in punta, appena con l'orlo delle chiappe e mi distaccai dal bacio per poterla ammirare. Uno spettacolo! Le cosce spalancate erano state immediatamente raggiunte dalle braccia che ne coprivano il pube ma ne risaltavano i seni e il ventre, con quella meraviglia di pancino in cui era incastonato l'ombelico come un gioiello raffinato. Mi guardava, mi sorrideva e teneva la punta della lingua appena fuori dalle labbra, come una monella birichina. Il resto del mio abbigliamento fece molto presto ad abbandonarmi e tornai a lei nudo. Mi chinai e le tolsi le scarpe, carezzandole i polpacci e quello che per me resta sempre il punto più delizioso che c'è: il dietro del ginocchio, la parte in cui il polpaccio si attacca alla coscia. Non so dire per quale motivo ma lo trovo uno dei posti più erotici del mondo, il dietro del ginocchio. Tolta la scarpa, le baciavo la punta delle dita, inguainate nelle parigine, per portarla sotto la doccia le dovevo togliere anche le calze ma c'era tempo. Intanto la sua posa non era cambiata e mi guardava sempre sorridendo con quella punta di lingua fra i denti e le braccia sempre a nascondere il pube. Riuscivo ad intravedere il gioiello, ma solo intravederlo... salendo le cominciai a baciare le cosce appena sopra l'orlo delle calze e la sua espressione cominciò pian piano a cambiare. Dai baci passai al brucare, al mordere con le labbra la sua pelle dolcissima, allora le sue braccia liberarono il pube e me le ritrovai sulla nuca, sulla testa, a spettinarmi e premermi contro la sua coscia. Poi mi tirò un poco indietro, appena appena.

- Allora... ti piace o no, il mio gioiello? -

Sapevo benissimo che non era lo slip quello di cui avevo trovato i cordini... i cordini reggevano un gioiello di cui avevo sentito molto parlare ma che non avevo ancora mai visto: un prezioso decoro s'incastonava fra i peli neri del pube, appena sopra al clitoride; il clitoride era quasi spremuto fuori da un abbraccio metallico, altre parti metalliche dividevano le labbra e si affogavano dentro facendone stillare gocce di miele che si ritrovavano su una serie di perline che procedevano in fila verso dietro, verso il culo, ma senza raggiungerlo, senza arrivarci. Appena prima partivano due cordini che seguivano la piega delle natiche. Non avevo la forza di staccarle gli occhi di dosso. Continuavo a seguire il disegno, dall'alto al basso, dal basso all'alto come inebetito, come non avessi mai visto la sua figa, come non avessi mai visto una figa in vita mia.

- Ti piace il mio gioiello, amore? -

Non dicevo nulla, non potevo dir nulla... notai il cordino che cedeva, cadeva fra le cosce, allentando la pressione del metallo. Poi cadde anche l'altro e il metallo scivolò dal vello a coprire il clitoride. Quasi subito la sua mano raccolse il metallo e lo tirò verso il basso, lasciando sgusciare il dildo d'oro che c'era attaccato, che allargava le labbra, che usciva madido dei suoi umori invadendo le mie narici del più buono di tutti i profumi. Un dildo grosso abbastanza, ricurvo come necessita, infisso profondo, collegato alle perline che ancora carezzavano le labbra. Un gioiello nel gioiello del gioiello.

silverdawn

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