-Nella vita non contano i momenti che il respiro te lo danno, ma quelli che il respiro te lo tolgono-. Cit.
Questa storia inizia con una citazione, che è quella che meglio descrive ciò che ho provato quando ci siamo baciati la prima volta.
Dopo mesi passati a cercare un giorno in cui potersi incontrare, ad organizzare gli impegni professionali e familiari, a ritagliarsi meticolosamente uno spazio che fosse soltanto nostro, finalmente il momento era arrivato.
Era un giorno di primavera, un pallido sole faceva capolino tra i pioppeti, specchiandosi timido sul grande fiume. Ti aspettavo lì, sulle rive del Po, seduta sul un lettino di legno, sotto un ombrellone di paglia assolutamente inutile per quella stagione e che, solitario, sembrava solo aspettare l'estate.
Avevo abbandonato il mio bicchiere accanto alla borsa non appena ti avevo visto arrivare, impossibile confonderti: eri l'unico in giacca e cravatta in quel locale all'aperto! Ci siamo abbracciati emozionati e anche un po' impacciati. Dopo qualche istante passato a sincerarsi che l'altro fosse reale, avevi cercato il mio sguardo. I miei occhi erano rimasti fissi nei tuoi solo qualche istante, giusto il tempo che era servito alle nostre labbra per toccarsi, poi mi ero lasciata travolgere dal sapore proibito e inebriante di quel bacio caldo, tanto atteso e sognato che mi aveva portato via il respiro.
Altri baci raccontano il seguito del nostro pomeriggio segreto.
Poi ci si era messa la pioggia, scendendo all'improvviso, gelida. All'inizio non l'abbiamo nemmeno sentita, tanto eravamo presi dal nostro viverci. Ce ne siamo accorti quando il fuggi fuggi generale si era fatto rumoroso, allora ti avevo preso la mano e avevamo iniziato a correre verso la mia macchina. Io ridevo, mi è sempre piaciuto stare sotto la pioggia, guardando le persone cercare frettolose un riparo.
Ho guidato per qualche minuto, fino a raggiungere una casupola di mattoni che alcuni agricoltori usavano come rimessa per i loro attrezzi. L'acquazzone nel frattempo si era fatto più forte, quasi volesse farci da complice e nascondere le nostre azioni al mondo; infatti quel posto già semi deserto nei giorni normali, oggi sembrava proprio abbandonato.
Ho parcheggiato sotto una tettoia e siamo scesi dall'auto. I vestiti si incollavano addosso e improvvisamente erano diventati ostacoli inutili. Ci siamo spogliati piano, senza mai smettere di accarezzarci e baciarci. Mi ricordo le tue labbra sul collo, e poi più giù, a raccogliere una goccia di pioggia fra i miei seni. Faceva freddo? Non lo so, era tutto così perfetto da farmi dimenticare il resto, gli unici brividi che sentivo erano quelli che mi regalavano le tue mani e la tua bocca.
Ti voglio.
Non puoi immaginare quanto ti ho desiderato e quante notti solitarie ho passato accarezzandomi nel buio della mia stanza, pensandoti. A volte te lo scrivevo, e a volte il display dello smartphone che si illuminava pochi istanti dopo, mi indicava che i tuoi pensieri erano simili ai miei, complementari. In quei momenti le mie mani diventavano le tue, e le tue parole solo scritte diventavano frasi sussurrate all'orecchio, che mi davano brividi infiniti.
Ora l'immaginazione non serviva più, ti avevo spinto dolcemente verso il sedile dell'auto, ti avevo fatto sedere e poi avevo iniziato a baciarti dappertutto: il collo, le spalle, il petto. Volevo sentire il sapore della tua pelle, volevo annusarne l'essenza di maschio, dopo che la pioggia aveva lavato via ogni profumo artificiale.
Ero scesa ancora più giù, lo sentivo che mi aspettavi, eccitato e vibrante di desiderio. Ti avevo guardato maliziosa, mentre stavolta ero io a portarti via il respiro. Le mie labbra morbide si erano schiuse per assaporare il tuo sesso. La donna timida che fino a poco fa non era quasi riuscita a sostenere il tuo sguardo senza arrossire, ora non c'era più. Ora fra le tue gambe sentivi tutta la passione di una donna sicura di sé, determinata a regalarti il massimo del piacere. Ed era un piacere così pieno, così intenso, che difficilmente ti era capitato di provarlo prima.
Forse avresti voluto fermarmi, invertire i ruoli e farmi subito tua, ma sapevi già che non te lo avrei permesso, sapevi bene che il mio piacere nel portarti all'orgasmo era grande quanto il tuo, che soccombevi deliziosamente sotto i colpi sempre più serrati della mia lingua e godendo, mi avevi donato il tuo seme. La mia bocca aveva cercato subito la tua, per condividere con te il tuo sapore.
Ci piaceva mischiare essenze, gusti, desideri, fantasie, perversioni; come degli alchimisti che cercano insieme la loro personale formula magica chiamata Piacere.
Avevamo steso un paio di teli che si trovavano nel bagagliaio dell'auto sul pavimento polveroso di questa alcova improvvisata. Mi avevi attirata a te, sopra di te. Le tue labbra erano protese verso il mio sesso, che si schiudeva sul tuo viso come un fiore carnoso. E poi la tua lingua mi aveva fatta vibrare, esplorandone con ardore ogni parte. Il mio bacino aveva iniziato ad ondeggiare in modo assolutamente incontrollato, come mosso da vita propria. Il mio piacere colava abbondante sul tuo viso, mentre torturavi senza sosta il mio clitoride gonfio, reso estremamente sensibile da tutte quelle attenzioni. Nel frattempo avevi infilato due dita dentro di me, strappandomi un gemito estatico. Altri infiniti gemiti si erano susseguiti quando le tue dita avevano esplorato anche il mio pertugio più nascosto, trasformandosi in urla di piacere, nel momento in cui l'orgasmo era arrivato impetuoso. Con le gambe ancora tremanti mi ero alzata da quella posizione privilegiata, per coricarmi al tuo fianco. Allora avevo cercato sulle tue labbra e sul tuo viso il mio sapore, scoprendo di non essere ancora sazia di te, di noi.
I tuoi pensieri erano simili, chissà quanto tempo sarebbe passato prima che una simile combinazione di eventi si sarebbe ripresentata, consentendoci di rivederci. Era meglio approfittare del presente.
Non erano servite parole per capirci, ed era strano per noi che con le parole ci avevamo sempre giocato, lasciando che fossero il filo conduttore della nostra storia.
Tuttavia adesso a parlare erano i nostri occhi, le nostre mani, i nostri corpi. Stavamo comunicando con il linguaggio più atavico e universale del mondo. Su quel pavimento polveroso, in quella casupola trasandata, c'era solo la nostra voglia di unirci, di diventare un corpo solo. C'era il bisogno di possedersi, di sentirsi l'una dell'altro: - mio-... - mia-.
Il tuo sesso svettava già orgoglioso, impaziente. Mi ero nuovamente accomodata sopra di te, sul tuo ventre questa volta. Avevamo chiuso gli occhi quando, con un tuo colpo di reni deciso, ci eravamo fusi insieme. Solo un attimo per abituarsi a quell'incastro perfetto, e poi avevamo iniziato a muoverci piano. Adesso i nostri occhi restavano incollati, provando a leggere sul viso dell'altro tutte le emozioni che lo animavano. Le tue mani mi stringevano il sedere, mentre ti cavalcavo come una lussuriosa amazzone. Con la lingua e con i denti mi stuzzicavi i capezzoli, i nostri movimenti si facevano sempre più frenetici e i gemiti sempre più forti. E poi, finalmente, era arrivato il piacere più bello e intenso. L'avevamo sentito partire direttamente dalla testa, e poi propagarsi attraverso la spina dorsale in tutto il corpo, come una scossa elettrica, e ci aveva lasciati senza fiato.
Il temporale era passato e adesso in lontananza un bell'arcobaleno splendeva sul grande fiume. Che fosse di buon auspicio?
Dedicato al mio "Re di cuori"
Serendipities