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Racconto n° 582
Autore: GiuliaSays Altri racconti di GiuliaSays
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Stupidi convenevoli
Mi confonde sempre il suono del suo orgasmo: un sospiro più forte degli altri, accompagnato da un gemito indecifrabile che muore in gola ancora prima di nascere. Mi riempie del suo seme e chiude gli occhi. Non mi vede, non saprebbe nemmeno dire se sono ancora nella stanza in quel momento. Invece io lo osservo con grande attenzione: c'è quella smorfia sul suo viso, così buffa da renderlo incredibilmente brutto, anche se solo per pochi istanti. Poi ritorna in sé, e finalmente mi scorge, immobile sopra di lui, sudata e curiosa. Non mi sorride, non parla. Si libera dalla morsa delle mie cosce e corre in bagno a farsi una doccia. Mi domando perché ogni volta lui senta l'impellente bisogno di levarsi di dosso il mio odore... Io invece resterei per ore accucciata tra le sue gambe, tentando di rubare un pò di quel profumo pungente, cercando di farlo rimanere attaccato alla mia pelle il più a lungo possibile. A volte raccolgo il suo seme mentre tenta di fuggire dal mio ventre, e me lo spalmo lentamente sul seno. Godo della sua consistenza e del suo calore. Poi mi rivesto.

Esco da quella stanza d'albergo senza nemmeno salutarlo. Tra di noi funziona così, niente stupidi convenevoli. Mi accorgo che sulle mie mani è rimasta traccia di lui... mi passo le dita tra i capelli, cosicché ad ogni mio passo il suo profumo si possa espandere leggero nell'aria. Tutti devono conoscere l'odore del suo sesso, tutti devono capire che sono piena del suo sperma. Me lo sento ancora sul palato e tra le natiche, e continua imperterrito a colarmi tra le cosce.
Cammino veloce sui miei tacchi a spillo troppo alti: ho sempre avuto il gusto dell'equilibrismo... Soprattutto con lui, dal momento che, ormai, tenere nascosta la nostra relazione sta diventando un impegno folle e rocambolesco.
Ricordo la nostra prima volta: entrai nel bagno, convinta che non ci fosse nessuno, ed invece ci trovai lui, nudo davanti allo specchio, che si asciugava. L'istinto doveva farmi tornare sui miei passi, chiedere scusa e lasciarlo solo, invece mi bastarono quei pochi secondi passati ad osservarlo per paralizzarmi sulla soglia, incapace di muovermi. Le sue spalle larghe, il suo torace robusto, e poi lì, più in basso... Mi venne incontro rapido. Pensavo che mi avrebbe spinta fuori ed anche in malo modo, ma si limitò a chiudere la porta dietro di me, e a farmi cenno di portarmi davanti allo specchio insieme a lui. Me lo mise in mano che era già duro. Per un attimo non capii più niente, poi cominciai ad esaminarlo, ad osservare ogni nervatura e a sentire la consistenza setosa della pelle tesa... Mi spinse la testa verso il basso, per farmi conoscere anche il suo sapore. Lo presi in bocca come se fosse naturale farlo, senza pensarci troppo. E quando mi chiese di alzarmi la gonna, non protestai, né tentai di rifiutare: lo guidai docile alla mia entrata, e gli consentii di possedermi come meglio credeva. Non per paura, o per sottomissione. Ma perché anche io lo desideravo moltissimo. Da allora l'ho desiderato con la stessa intensità un gran numero di volte...

Mi dirigo verso casa, è quasi ora di cena; so già che anche il più piccolo ritardo innescherà le fastidiose ed insensate lamentele di mia madre, meglio affrettarsi.
Superata la soglia, il profumo di ragù m'investe, cancellando per un attimo l'altro odore che con orgoglio mi porto addosso...
Aiuto a preparare la tavola, sistemando con cura tutte le stoviglie. La porta si apre: è mio fratello Luca che torna. Entrando in cucina mi urta, facendomi cadere di mano un piatto, che va a finire in frantumi sul pavimento. Luca non si volta, non accenna nemmeno a chiedere scusa. Io un pò mi arrabbio, ma del resto tra di noi funziona così: niente stupidi convenevoli...

GiuliaSays

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