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Racconto n° 62
Autore: Bostonian Altri racconti di Bostonian
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Notte di pioggia
Mina richiuse stancamente il fascicolo sulla scrivania e spinse indietro la poltroncina puntando le mani contro lo spigolo del tavolo. Il movimento la spinse velocemente contro il muro alle sue spalle, trasmettendole una vibrazione che la fece sobbalzare.

"Per stasera basta, ho regalato altre quattro ore della mia vita a questi due bastardi." Si riferiva a Luca e Nicola, i due avvocati dello studio legale per cui lavorava. Ore e ore di straordinario, spesso fino a notte inoltrata, come stasera. Per chi lo faceva?

"Per me stessa - ripeteva Mina - ho deciso di essere una donna libera; lavoro, mi diverto, frequento i miei amici, o meglio le mie amiche. Senza legami, senza problemi, senza guai".

Dopo il divorzio Mina aveva esitato a lungo prima di rimettersi in cerca di un altro uomo. Non che le mancassero conoscenze, riceveva continuamente inviti e proposte ed almeno due dei suoi amici erano particolarmente assidui nel tentare di coinvolgerla in un qualche tipo di storia, magari di solo sesso, o anche un po' di amore, chissà. Lei non lo sapeva di certo. Mina aveva sempre rifiutato.

All'inizio cortesemente, poi con aria sempre più infastidita, affermando con apparente sincerità che gli uomini sono tutti bastardi e mentitori, che se ne potrebbe fare tranquillamente a meno vivendo benissimo, anzi pure meglio e lei ne era la prova. Ma adesso cominciava a sentire la mancanza di un contatto più intimo. Passava serate intere a chiacchierare e a scherzare, facendo mostra di sicurezza e non curandosi di scendere più di tanto in profondità, con nessuno. E si era un po' alla volta stancata di questa allegria simulata, di questa finta superficialità che nascondeva la sua profonda solitudine.

"Chissà se qualcuno se ne accorge? Se, alla fine, questa mia maschera non appare innaturale?" In fondo era questo che sperava, che qualcuno venisse a strapparle la maschera e la costringesse ad affrontare di nuovo la vita.

Il rumore secco dei tacchi sul mattonato echeggiava nella strada deserta. Aveva parcheggiato la macchina poco lontano, e si era decisa a fare due passi nella notte ancora giovane. Non aveva voglia di tornarsene a casa, per finire a sbracarsi sul divano davanti alla tv con una busta di patatine a farsi annichilire da programmi demenziali.

Adesso ondeggiava nella penombra, camminando sul lastricato sconnesso della città antica, mentre passava davanti a saracinesche abbassate e vetrine dalle luci spente.

"E' bagnato. Deve aver piovuto per ore e io non me ne sono neanche accorta", si disse Mina. "Forse dovrei cominciare a pensare un po' più a me stessa e un po' meno a far guadagnare quattrini ai due bastardi."

Luca e Nicola non erano poi così bastardi, in fondo. Le erano stati molto vicini quando lei aveva mollato Paolo. Le era costato una enorme fatica, ma alla fine ce l'aveva fatta. E adesso era libera. Forse da un po' troppo tempo.

Abbozzò mentalmente un sorriso, senza però trovare l'energia sufficiente a farlo salire fino alle labbra, per cui finì per tenerlo per sé.

Una porta a vetri si aprì bruscamente, rovesciando in strada per un breve istante una miscela di musica, voci, risate, nuvole di fumo, odore di caffè e di alcool. Chiacchiere di vecchi amici che parlano di donne. Voci di donne che si raccontano le malefatte dei propri uomini, preparando insieme la vendetta. E chissà cos'altro.

Una coppia era uscita dal locale, ridendo rumorosamente e muovendo passi malfermi appesantiti dall'alcol. Lei era una bionda dalla figura snella, i capelli lisci lunghi sulla schiena, tacchi altissimi e minigonna vertiginosa; lui un po' più basso ma ben piantato, in jeans e maglietta a pelle, esibendo i muscoli da palestra.

"Io questi tipi qua, poi, non li posso proprio sopportare", si disse Mina, ripetendosi un ritornello che si era imposto da sola e del quale ormai non ricordava più l'origine.

Si ritrovò al di là della porta del bar senza neppure ricordarsi di averla aperta. Si diresse meccanicamente verso il bancone, dove altre coppie bevevano, ridevano, si scambiavano qualche bacio. Un televisore acceso mandava immagini prive di suoni. Due ragazzi in fondo al bancone parevano discutere accanitamente.

"Parleranno di sport, ovviamente ..." pensò Mina con un senso di commiserazione. "Ma che continuo a giudicare? - si disse poi - Chissà loro cosa penseranno di me, piuttosto. Una donna sui trent'anni, niente male, anzi decisamente attraente, che gira per i bar da sola a quest'ora. 'Ma che, questa qua non ha niente di meglio da fare?'. Beh, mica poi sono l'unica ad essere sola, qui".

Infilando la sua voce tra le note della musica a tutto volume chiese un Negroni al barista. Il Negroni arrivò dopo un paio di minuti. "Non ho cenato, e non ho neppure fame", disse fra sé. Mina osservava la gente intorno a lei, come se la vedesse in un film.

La coppia che le stava accanto non le prestava la minima attenzione. Un ragazzo coi capelli corti e un vistoso orecchino argentato stava appoggiato in equilibrio su uno sgabello. Era seminudo, vestito solo con un paio di jeans blu e una canottiera bianca molto ritagliata e aderente. La ragazza con i lunghi capelli ricci indossava un corto vestitino di cotone color fucsia, e gli ballava davanti al ritmo contemporaneamente languido e spedito della musica salsa che invadeva il locale, sollevandosi provocante il vestito sulle cosce mentre altri ragazzi intorno la guardavano sparando commenti salati e ridendo forte. Lui le sussurrava qualcosa all'orecchio che la faceva ridere. Lei rideva, e si strusciava lentamente sulla coscia di lui, muovendo il sedere in maniera sensuale.

"Sei brava, ragazzina - pensò Mina - glielo farai venire duro come un palo, poi gli potrai chiedere quello che ti pare, pure di portarti all'altare vestita di bianco, se è questo che ti interessa".

Mina si morse un labbro e si infuriò con sé stessa. Ecco che ancora pensava al matrimonio, al suo evidentemente.

Chiuse gli occhi e cercò indietro con la memoria una sera di parecchi mesi prima. Vide una tavola con i resti di una cena, candele che mandavano bagliori di luce tremolante, una bottiglia rovesciata sul pavimento, una scarpa sul tappeto, più in là dei vestiti buttati alla rinfusa, risentiva nelle orecchie l'ansimare ritmato di una coppia di amanti vicina all'orgasmo, i capelli disordinatamente sul viso, le mani che corrono convulsamente sulla pelle madida di sudore, quella fantastica vibrazione per tutto il corpo.

"Quando è stata l'ultima volta che ho fatto l'amore con Paolo? Piuttosto dovrei dire sesso. Amore non ce n'era più da un bel pezzo."

Mina riandava con la mente a quella serata di qualche tempo fa, si rivedeva nuda sul divano insieme a Paolo, sentiva il proprio corpo iniziare a fremere e ripercorreva con la memoria tutti i minimi dettagli della serata.

Ad un certo momento della sua fantasticheria si ritrovò inginocchiata davanti a Paolo, nudo, a succhiarlo vigorosamente. e improvvisamente nel sogno apparve accanto a loro due la coppietta del bar, la mora ricciolona perduta senza ritegno sopra il suo compagno, che la scopava vigorosamente accarezzandole il seno con le mani. Mina fantasticò ancora per un po' su quella scena, immaginandosi i rumori, i suoni, la sua bocca che leccava la punta rossa del membro di Paolo mentre il maschio accanto a lei incitava la sua amichetta: "Dai, muovi quel bel culo, fammi venire..."

Riaprì gli occhi di colpo, cercando di cancellare le immagini che le erano affiorate inconsapevolmente alla mente. Chiese al barista dove fosse il gabinetto. Lui glielo indicò con un cenno del capo, rimandandole un sorriso interrogativo.

Mina non gli diede peso, si alzò e si diresse verso il retro del locale. Un corridoio tortuoso e poco illuminato, grandi fotografie un po' ingiallite di jazzisti e ballerine seminude alle pareti, il suono della musica sudamericana che lì arrivava ovattato e attenuato, in un'eco indistinta e ritmata.

Due porte di legno apparentemente uguali, senza alcuna indicazione per "uomini" e "donne". Aprì a caso quella di destra e si ritrovò in uno stretto loculo dipinto in un verde acido, illuminato da una lampadina che gettava una luce giallastra e assai penetrante dopo quel percorso nel corridoio quasi completamente al buio.

Verificò la sommaria pulizia del posto, si abbassò distrattamente il collant e le mutandine e si piegò sul water, cercando di non toccarlo. Seguì con la mente il gorgogliare vivace del suo liquido corporeo, finchè questo non si esaurì.

Mentre si asciugava, la sua mano scivolò lungo il suo sesso, sfiorandosi. Indugiò un attimo. Lasciò cadere il lembo di carta igienica e premette con due dita, più decisamente. Un tremito le risalì dal basso ventre su per la schiena. Cominciò a ruotare la punta delle dita, in circolo intorno al suo punto caldo. Sentì subito una sensazione di umido scivolare giù dalle sue pareti più intime. Senza rendersene conto, mugolò di piacere. Si ritrovò a masturbarsi come una ragazzina. Venne rapidamente, in un turbinare di sudore, luce gialla, liquidi sensuali. Il suo corpo reclamava quella sessualità che Mina gli continuava a negare e quella sera, dopo tanto tempo, il sesso aveva finalmente ripreso il sopravvento sul cervello.

E adesso le mandava dei brividi di piacere per tutto il corpo, con l'entusiasmo di un'adolescente che si masturba per le prime volte.

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Passò un tempo infinito, come in un sogno. Un sogno fremente e umido, illuminato da una luce giallastra che la stordiva attraverso le palpebre socchiuse.

D'un tratto, Mina emise un grido strozzato sobbalzando sul water. Dei rumori provenivano dal gabinetto accanto! L'acqua dello scarico che correva con un suono assordante la riportò bruscamente alla realtà. Si rialzò di scatto, si tirò malamente su mutandine e collant e fece per uscire.

"No - pensò subito dopo - non ora... Che esca prima lui, o lei che sia, non voglio fare incontri imbarazzanti".

Dal gabinetto accanto invece non usciva nessuno. Piccoli fruscii e un respiro pesante tradivano la presenza di una persona. Qualcuno che aveva sentito sicuramente il suo exploit, e che tardava ad andarsene.

I due gabinetti erano separati solo da una lastra di formica montata con delle staffe di ferro e non più spessa di qualche millimetro.

"Questo bastardo deve essersi goduto tutto lo spettacolo", pensò Mina con disappunto decidendo che chi stava dall'altra parte, uno scocciatore così spudorato, non poteva che essere un uomo.

Fissò nervosamente la lastra verde che la separava dallo sconosciuto, decorata da disegni e scritte oscene. "Cerco cazzo lungo e grosso, telefono ...". "Sono pronta, sono calda, voglio proprio te, chiamami al...". "Alice è una puttana e fa pompini a tutti, cercatela al...". "Voglio un incontro da uomo a uomo, sono al numero...".

Poi il suo sguardo scese più in basso, dove vide con sguardo incredulo un dito uscire dalla parete di plastica verde!

Istintivamente saltò all'indietro e si ritrovò con la schiena contro il muro, dalla parte opposta dell'angusto loculo, respirando affannosamente. Pensò di uscire, di corsa. Ma l'uomo avrebbe potuto aprire la porta dell'altro gabinetto, imprigionandola tra il muro e il corridoio.

Mina non sapeva cosa fare, il suo cervello era come impantanato e incapace di ragionare. Sentiva una goccia di sudore scivolarle lungo la schiena, sotto la camicetta di seta chiara.

Guardò di nuovo la parete. Un buco largo alcuni centimetri, fatto proprio all'altezza giusta per curiosare da un parte all'altra. Il dito era ancora lì. E si muoveva con sfrontatezza, facendole presuntuosamente segno di avvicinarsi.

Mina si inginocchiò, appoggiandosi con entrambe le mani alla parete. Si ritrovò il dito davanti al viso, all'altezza delle labbra. Era come stordita. Il tambureggiare lontano della musica le rimbombava nella testa. Il Negroni ingoiato a stomaco vuoto formicolava sotto la sua pelle, dandole le vertigini.

Aveva la sensazione che ciò non stesse accadendo a lei, come se stesse guardando qualcun'altro. Lentamente si sporse in avanti arcuando la schiena e si avvicinò con cautela. Inconsciamente tirò fuori la lingua e leccò timidamente quel dito che usciva dalla parete. Sentì un sapore salato e appiccicoso. Le dita divennero due. Mina le ingoiò di colpo.

Cominciò a succhiarle, inzuppandole completamente della sua saliva. Muoveva la testa lentamente avanti e indietro, le labbra scivolavano su e giù lungo quelle due dita rigide, ritmicamente, mimando un atto il cui piacere non ricordava quasi più.

"Cristo, ma cosa sto facendo?", pensò confusamente, rallentando solo per un momento. Non venne però tradita dall'incertezza. Continuò a succhiare nervosamente le due dita, mordicchiandole di tanto in tanto, mugolando con la bocca chiusa.

Le afferrò poi con una mano e senza lasciarle si alzò in piedi. Sentì una voce strafottente dentro di lei che diceva: "Non toglierle proprio ora, stronzo!"

Non credeva di averlo detto. Non lei. Non poteva essere lei, Mina. Non era mai stata tanto decisa, come poteva esserlo in quella situazione? Ma quale situazione? Dove mi trovo? Cosa mi sta succedendo?, si chiedeva incredula.

In piedi, la schiena rivolta allo sconosciuto dall'altra parte, cercò le due dita con le natiche che strisciavano contro la parete di formica. Le dita trovarono lei.

Mina dimenava lentamente il bacino, mugolando ad occhi chiusi. Le due dita la torturavano senza darle tregua, si insinuavano in mezzo al collant che le respingeva, opponendo una non richiesta resistenza, cercavano avidamente la sua carne.

Si sentiva bagnata fradicia. Le mutandine, ormai arrotolate in un rigido cordone inzuppato del suo succo, andavano a strofinarsi contro il clitoride mandandole dei brividi per tutto il corpo.

Le due dita parevano esserne perfettamente al corrente, perchè di tanto in tanto si aggrappavano al cotone tirandolo con forza, facendola sbattere contro la parete e dandole un singulto di piacere che le toglieva il respiro.

Mina trovò la forza di staccarsi da quel contatto selvaggio. Si chinò di nuovo. Succhiò ancora lascivamente le due dita, gustando il sapore dolciastro delle proprie secrezioni. Poi le spinse indietro con la lingua, facendole sparire al di là del buco. Ritrasse il viso, in attesa.

Appena un istante dopo, un membro maschile apparve dove prima erano le due dita. Un fallo di dimensioni notevoli, abbastanza lungo e decisamente largo.

"Ben più grosso di quello di Paolo", disse ancora la voce strafottente dentro Mina.

Lei lo sfiorò palpandolo di lato, saggiandone lo stato di erezione. Lo prese in una mano e lo strinse con forza. Lo sentì indurirsi mentre la testa, grossa e lucida come una prugna matura, diventava di un rosso violaceo. Accostò con desiderio le labbra alla punta tumida di quel voluminoso membro. Appoggiò appena la bocca chiusa contro la fessura dalla quale usciva una goccia translucida.

Con esasperante lentezza, lasciò che le sue labbra si aprissero sotto quella pressione, scivolandogli intorno come un guanto. Fu sorpresa di come un affare di quelle proporzioni le potesse entrare così agevolmente in bocca.

Si ritrovò quasi con le labbra contro la parete, sentendosi la gola completamente ingolfata da quella carne bollente. Si ritrasse, lasciando un'abbondante velo di saliva intorno a quel dono sconosciuto.

Poi cominciò a pomparlo, con un ritmo vigoroso e costante, facendogli con la lingua un letto morbido e scivoloso dalla parte inferiore e schiacciandone il corpo pulsante con il labbro superiore.

Rallentava di tanto in tanto il febbrile andirivieni solo per fermarsi a succhiare con avidità quell'ignoto regalo del caso, sentendolo gonfiarsi sotto la sua azione a ventosa. In un breve momento di lucidità si rese conto di essersi infilata una mano sotto il collant dove si tormentava freneticamente la carne in mezzo alle cosce.

Ad un certo momento sentì che la robusta verga iniziava a vibrare, la sentì leggermente ritrarsi e poi avanzare di nuovo. Mina lo tirò fuori dalla bocca e continuò a masturbarlo velocemente tenendoselo fermo davanti alla faccia.

Sentì la potente pulsazione premerle contro le dita, aprì la bocca e ricevette come una frustata il primo schizzo di sperma caldo sulla lingua, sulle guance, fino agli occhi.

Richiuse per un momento le labbra intorno a quella meraviglia pulsante di piacere e lo succhiò con avidità. Lui stava venendo con un flusso incredibile, tre o quattro fiotti densi e vischiosi che le avevano riempito la bocca, mentre continuava a pulsare e la sua rigidità si affievoliva lentamente.

Mina aveva stretto le labbra per inghiottire fino all'ultima goccia il liquido bianco, ma il getto copioso le era uscito dalle labbra, misto a saliva, sbrodolando lungo il collo e infilandosi giù per la spaccatura profonda del seno. Lei lo lasciò uscire mentre sentiva rivoli tiepidi scorrerle giù per il mento, il reggiseno inumidirsi, una chiazza che si allargava sulla camicetta aderente.

Continuò a leccare la punta di quell'uccello misterioso, finchè non sentì che si era completamente ammosciato. Si leccò le labbra con la lingua, e si pulì sommariamente le labbra e le guance col dorso della mano leccandosi oscenamente anche la punta delle dita, sentendosi per la prima volta da mesi pienamente soddisfatta.

Si ritrovò in ginocchio, ansante, con un braccio attorno al water. La testa le scoppiava, il sangue le pulsava nelle tempie. Adesso l'odore stantio del water era l'unica cosa che le occupava la mente.

Si rialzò malsicura appoggiandosi alla parete e si sedette. Prese della carta igienica e provò a ripulirsi con qualche cenno distratto, poì si abbandonò lasciando cadere entrambe le braccia lungo il corpo, fissando ad occhi aperti la lampadina gialla.

Provava quella stessa sensazione di disagio spazio-temporale di chi si sveglia col cuore in gola da un sogno, ritrovandosi improvvisamente nella propria stanza da letto.

Mina era addossata al muro, le cosce semiaperte, una mano abbandonata sul proprio sesso umidiccio. Guardava il buco nella parete di formica accanto a lei.

Notò che i bordi erano frastagliati e irregolari. "Magari si è fatto anche male", si disse ridendo.

Dall'altra parte non veniva una sola parola. Sentì il frusciare dell'uomo che si rivestiva, la cerniera dei jeans richiudersi con un sibilo. La porta del gabinetto adiacente si aprì e si richiuse, sbattendo con una violenza che fece vibrare il muro dietro di lei. Il rumore secco dei passi che si allontanavano nel corridoio si attenuò rapidamente e scomparve.

Mina si stava rivestendo mentre pensava a quanto tempo poteva aver passato in quel gabinetto male illuminato. Cinque minuti? Venti? Un'ora? "Per fortuna a nessun altro nel bar scappava da pisciare..." si disse ridendo.

Sentì il rumore di una chiave che apriva a scatti la porta lontana del corridoio. Capì al volo. L'accesso al gabinetto era stato chiuso a chiave.

"Il barista!" esclamò "maledetto bastardo! Farà cosi con tutte quelle che chiedono di andare alla toilette?" Rise di nuovo. Pensò alla ignara ragazza che sarebbe entrata in quel loculo dopo di lei. Avrebbe reagito come lei? E quante prima di lei lo avevano già fatto?

Uscì dal gabinetto verde. Si fermò solo per un momento a guardarsi nello specchio scrostato appeso sopra il lavandino sudicio. Poi aprì una porticina laterale di metallo abbondantemente arrugginito e si ritrovò in strada.

Pioveva forte. In pochi secondi Mina era completamente fradicia, i capelli appiccicati al viso, la camicetta incollata al seno che mostrava i capezzoli ancora turgidi. Prese a camminare lungo il muro per raggiungere la sua automobile.

"Da oggi si cambia. Quello che voglio me lo prendo", si disse, con una certa convinzione che stupì lei per prima. Abbozzò un sorriso. "E non ho nemmeno pagato il Negroni".

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