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Racconto n° 646
Autore: Eliselle Altri racconti di Eliselle
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La sorpresa
Infilai la chiave nella toppa e la rigirai, la serratura scattò silenziosa e in un attimo mi ritrovai all'interno del mio amato appartamento. Rincasare a quell'ora assurda e fare rumore avrebbe significato svegliare la mia coinquilina Jessy, e non avevo nessuna intenzione di disturbarla: sapevo che l'indomani avrebbe dovuto sostenere un esame, non sarebbe stato carino da parte mia interrompere il suo sonno.
Senza accendere la luce mi tolsi le scarpe e diedi un'occhiata all'ora sul display del cellulare: le tre di notte. Assurdo, e non ero nemmeno stanca.
L'alcool che avevo ancora in circolo in misura eccessiva rispetto ai canoni abituali mi teneva sveglia invece di stimolare il sonno. Agguantai le mie adorate calzature da sera per i tacchi e mi avviai leggermente barcollante verso la cucina. Al buio cercai a tentoni la maniglia del frigorifero e la tirai: la fioca lucetta mi inondò in pieno e nonostante la sua debolezza mi costrinse a chiudere leggermente gli occhi.
Presi la bottiglia di latte semivuota bevendone un sorso a collo: era stata una serata deludente e una festa pessima, tanto più che il ragazzo che mi interessava non mi aveva considerato di striscio nonostante la mia minigonna inguinale. Chissà, probabilmente le aggressive lo spaventavano.
Riposi la bottiglia nel suo spazio e chiusi l'anta, ritrovandomi di nuovo nel buio più completo. Usando le mani per trovare la via giusta mi incamminai scalza verso la mia camera da letto.
Ero in mezzo al salottino quando d'improvviso sentii un rumore sospetto provenire dalla camera di Jessy. Che strano, eppure non mi aveva detto che avrebbe avuto visite, e domani con l'esame in vista...
Mi si bloccò il fiato e mi ritrovai lo stomaco attorcigliato: e se fosse stato un ladro o un malintenzionato? O peggio, uno che si era intrufolato in casa nostra per farci del male?
Staccai dalla presa la spina dell'abat jour in metallo che stava sul tavolino del salotto, la tenni stretta con la mano che mi tremava e mi diressi alla porta della mia amica: la scoprii socchiusa. Mi chinai e senza fare rumore misi dentro il naso.
Ero già abituata all'oscurità, le luci della città rendevano la stanza impercettibilmente illuminata e non ci misi molto a capire quello che stava succedendo al suo interno. Rimasi senza parole: Jenny, la mia dolce coinquilina, stava cavalcando appassionatamente un ragazzo.
Le forme del suo corpo si stagliavano di profilo contro le persiane semichiuse, accarezzate dai colori artificiali dell'insegna del locale di fronte. Osservai quei seni perfetti ballonzolare morbidi e sodi su e giù, i capelli lunghi e liberi dai lacci sfiorarle la linea perfetta della schiena, le sue mani graffiare il petto del fortunato sotto di lei e poi portarsi di nuovo sui capezzoli duri e impertinenti, che sfidavano le leggi della gravità e dell'arte. E sentivo solo gemiti soffocati, intuivo la sua lingua che bagnava le labbra carnose e docili, la vedevo offrirsi a quella del bastardo che bramava la pelle dei suoi seni.
Il bastardo... quello che godeva di lei in quel momento mentre io, accucciata sul ciglio della porta con una abat jour in mano, non potevo fare altro che guardare, osservare, desiderare ed eccitarmi a mia volta.
Facendomi violenza, senza fare rumore feci un passo indietro per andarmene. Ma qualcosa andò storto e inciampai nel filo della lampada che era rimasto a terra e si era aggrovigliato attorno al mio piede. Bell'affare avrei fatto se quel bastardo fosse stato un ladro. E invece era solo quello che si scopava la mia amica Jenny.
Reprimendo un grido, caddi goffamente sul sedere a gambe all'aria e dentro alla stanza sentii movimenti veloci e inconsulti, una fioca luce che si accendeva, la porta che si apriva e gli sguardi spaventati e poi incuriositi della mia coinquilina e del suo amante. Arrossendo, mostrai l'abat jour che avevo tra le dita e stavo per spiegare l'equivoco, quando vidi Jenny che mi allungava la sua mano. Era un invito ad alzarmi o era altro?
Mi guardò a lungo, poi si girò verso il bastardo che le fece un impercettibile cenno di assenso. Mi attirò a sé, facendo cadere l'improponibile arma anti ladro che avevo raccolto in salotto, e iniziò a spogliarmi con lentezza e devozione.
Cadde la minigonna inguinale, caddero la camicetta e la cravatta, cadde il reggiseno di pizzo nero. Sentii d'improvviso un calore intenso e disarmante salire dal monte di Venere sino al petto, e mi accorsi come in trance che Jenny aveva iniziato a solleticare i miei capezzoli piccoli e rosa con la lingua e le sue dita sottili ed eleganti.
Avevo sempre ammirato le sue mani curate, le unghie lucide e rosa, le avevo immaginate correre sul mio corpo ed ora eccole lì, finalmente le sentivo, ne godevo. Ne presi una e la portai alla mia bocca, assaporandone il gusto. Sapeva di lei e di lui, ma non mi interessava.
La baciai sulle labbra, un bacio lungo e profondo, le lingue che si intrecciavano e giocavano tra loro come se si fossero da sempre conosciute.
Diedi un'occhiata al suo amichetto sul letto e vidi che si stava toccando: la nostra vista lo eccitava, lo si capiva benissimo. Ma io non ero come la dolce, buona, disponibile e calda Jenny, io l'avrei fatto soffrire, l'avrei fatto morire prima di averci entrambe.
Con un dito iniziai a esplorare lentamente il sesso di lei: era umido e accogliente, come l'avevo sempre immaginato. Entrai con delicatezza per uscire di nuovo subito dopo, accarezzare il clitoride e sentire i suoi gemiti di piacere.
Lei, invitante, alzò una gamba e me la attorcigliò attorno alla vita sporgendosi all'indietro con le spalle, io mi appoggiai a lei con tutto il corpo e ci ritrovammo in piedi, in equilibrio sullo stipite della porta: iniziai a spingere una, due, poi tre dita dentro di lei, e più spingevo più sentivo il suo sesso che si gonfiava d'eccitazione e desiderio. Più spingevo, più sentivo il suo respiro farsi corto e mozzo, e vedevo le sue labbra dischiuse che bramavano le mie in un'attesa spasmodica del mio sapore. Sentivo i miei slip bagnati dei miei umori e non sapevo che cosa desideravo di più, se la lingua di Jenny o il membro duro e lucido di quel bastardo che ci guardava stralunato, semi sdraiato sul letto, con la bava alla bocca.
La sentii venire, le carni frementi, i capezzoli turgidi e dritti verso di me, gli occhi chiusi e i gemiti liberatori. In quel momento ero io la vincitrice, aveva scelto me per godere, non lui.
La abbracciai e con delicatezza la portai verso il letto. Mi bastarono uno sguardo e un gesto silenzioso per ordinare al suo amico di accarezzarla e baciarla ovunque: lui obbedì come un bravo bambino.
Mi sdraiai accanto a lei e la udii sussurrare che ora toccava a me. Lanciai un'occhiata al membro ancora eretto di lui e con un movimento deciso mi avvicinai e lo presi in bocca, bagnandolo della mia saliva. Jenny mi tolse gli slip, premurosa, e mi fece accucciare sopra al suo amante sostenendomi dal davanti: sentii il pene che si faceva strada dentro di me e trapassava le mie carni mentre guardavo la mia dolce amica negli occhi e toccavo, leccavo i suoi seni morbidi e meravigliosi e aumentava la frequenta e la profondità dei colpi che ricevevo.
Venni, e l'orgasmo fu qualcosa di inimmaginabile e inaspettato. Il piacere sembrava non finire mai mentre guardavo la lingua di lui frugare nel sesso di Jenny e sentivo il suo membro dentro di me. Dovevo ammetterlo, era stato bravo.
Il mattino ci colse abbracciati tutti e tre l'uno all'altro. Svegliai la mia coinquilina per ricordarle dell'esame ma lei mi fece cenno di no con la testa: l'avevano spostato, ecco perchè non s'era data peso di dormire la notte appena trascorsa.
Io ringraziai il destino, se esisteva, che aveva fatto in modo di rendere tutto così perfetto: l'annullamento della prova, la sua idea di chiamare un amico per fare sesso, il mio ritorno a casa, il mio fine udito. Un segno.
La mia delusione della sera precedente, alla festa, mi pareva ormai una cosa lontana e stupida. Se avessi rimorchiato quell'idiota, non sarei tornata di certo a casa. Per fortuna gli uomini a volte dicono anche di no.

Eliselle

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