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Racconto n° 666
Autore: Miller Altri racconti di Miller
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Frammenti erotici di un passato alternativo
Erano le tre inoltrate di una calda notte di luglio.
Avevamo trascorso una fantastica serata, conversando per ore sulla spiaggia. Io, tu e le stelle.
Accompagnandoti alla tua auto e salutandoti, però, mi sembrò di percepire qualcosa di strano.
D'un tratto ebbi la sensazione che una remota parte di me stesso stesse cercando di assumere il pieno controllo delle mie azioni. Era come se una nuova personalità si fosse forgiata negli ultimi mesi tra i labirintici meandri del mio inconscio profondo, plasmata dall'intimo e irrefrenabile desiderio di possederti. E ora, finalmente, stava uscendo allo scoperto.
Cercai di resisterle con tutto me stesso. Ma era una lotta impari e dopo pochi secondi mi ritrovai in completa balia delle sue oscure pulsioni.
Tu avevi già svoltato l'angolo quando mi ritrovai a seguire la tua auto di soppiatto, tra i pallidi lampioni delle vie del centro. Ti vidi posteggiare e scendere dalla macchina, di fronte agli occhi allupati di una guardia notturna che piantonava l'edificio accanto: i tuoi nuovi Jeans lasciavano poco spazio all'immaginazione, mentre ancheggiando ti dirigevi alla porta di casa. La apristi e rapidamente sgattaiolasti all'interno sottraendoti definitivamente al mio sguardo e al suo.
Avvolto nell'ombra di un vicolo, non potei fare a meno di immaginarti salire i gradini della scala d'ingresso, uno per uno, con quella grazia erotica che solo le tue natiche erano capaci di esprimere nell'atto di contrarsi e distendersi nello sforzo di raggiungere il pianerottolo superiore. Con gli occhi della mente ti vidi entrare nella tua stanza e lentamente cominciare a spogliarti: ti vidi toglierti la maglietta e poi sfilarti i jeans, lasciando apparire le tue lunghe gambe affusolate; ti vidi aggirarti per casa in reggiseno e mutandine, quasi a voler sadicamente prolungare la mia spasmodica attesa; ti vidi finalmente sederti sul letto e slacciarti con innocente malizia il reggiseno, lasciando nudi i tuoi prosperosi seni; ti immaginai infine sfilarti le mutandine e infilarti completamente nuda sotto il lenzuolo...
Mi sembrava già di poter assaporare il momento in cui avrei affondato le mie dita nella tua morbida carne: e fu solo allora che quella parte di me che era costretta a fare da spettatrice si rese conto, con improvviso terrore, delle reali intenzioni della personalità dominante e, allo stesso tempo, della assoluta impossibilità di porvi freno...
Rimasi in attesa, per qualche interminabile minuto.
La guardia notturna era sempre lì, sotto casa tua, incombente ed inopportuna.
Poi, finalmente, quasi seguendo un copione già scritto per lei da un regista invisibile, sparì all'interno dell'edificio che sorvegliava.
Era il momento. Adesso o mai più!
Rapido come un gatto mi portai sotto il tuo balcone e, non saprei neanche dire come, attingendo ad insospettabili risorse atletiche mi ritrovai un attimo dopo aggrappato alla ringhiera.
Con un altro balzo felino fui finalmente davanti alla tua finestra. Mi accorsi con sollievo che, probabilmente a causa dell'insopportabile caldo estivo, l'avevi lasciata socchiusa. Subito mi acquattai, rannicchiandomi nel buio così da sottrarmi a sguardi inopportuni.
Tu, esausta, avevi già spento la luce e dormivi profondamente distesa sul fianco destro, mentre un tiepido chiarore lunare penetrava dalle tende trasparenti, giungendo ad illuminare la pelle liscia e vellutata della tua spalla sinistra e del tuo braccio gelosamente avvinghiato al cuscino. A parte il tuo viso e i lunghi capelli disciolti, quelle erano le uniche parti del tuo corpo non ricoperte dal leggero lenzuolo di lino bianco, al di sotto del quale però si intuiva il sinuoso profilo delle tue procaci forme.
Con una eccitazione che cresceva al ritmo accelerato dei battiti del mio cuore volli ripensarti tutta nuda sotto quel lenzuolo. Guidato dal profumo inconfondibile della tua pelle già madida di sudore, mi avvicinai silenziosamente al tuo letto.
Sollevai il tuo braccio scoperto e lo lasciai ricadere di fianco: nessun movimento, sembravi veramente immersa in quelli che mi piaceva immaginare fossero sogni erotici....
Afferrai dunque un lembo del lenzuolo ai piedi del letto e cominciai a tirarlo via lentamente, cercando di assaporare ogni centimetro del tuo corpo che, altrettanto lentamente, veniva allo scoperto: il paesaggio che iniziava a delinearsi sotto i miei attoniti occhi superava di gran lunga quanto avevo poc'anzi immaginato.
I tuoi seni rigogliosi furono i primi a mostrarsi, dominati da due morbidi capezzoli non ancora sbocciati. Poi, con una linea che curvava dolcemente, ecco apparire l'ampia vallata dei tuoi fianchi, cui facevano seguito le sode cosce, le ginocchia scolpite, i polpacci ben torniti, fino a giungere ai piedi. Divini. Secondi per perfezione solo alle tue mani, dalle lunghe dita sinuose ideali per una pianista ma anche per quella dispensatrice di piacere quale in quel momento la mia fantasia ti dipingeva.
Non appena mi ripresi dalla contemplazione estatica del tuo corpo mi accorsi però che non eri completamente nuda ma portavi delle mutandine sottili, quasi un tanga, di cui vedevo la parte anteriore e da cui fuoriuscivano ciuffi di peli bruni e ricciuti. Non potei fare a meno di pregustare quale impenetrabile e profonda caverna essi celassero. Ed ecco che la momentanea estasi si era nuovamente trasformata in quella incalzante eccitazione che non mi avrebbe più abbandonato.
Con la coda dell'occhio vidi, poggiati su una sedia ai piedi del letto, dei lunghi foulard di seta. La mia mente lavorava febbrilmente in preda alle più spinte fantasie sessuali e un istinto impetuoso mi spinse ad afferrare uno dei foulard e ad avvolgerlo attorno ai tuoi polsi che, come a voler assecondare inconsapevolmente la mia mossa, tu avevi portato dietro la schiena.
Presi poi un altro foulard e lo passai delicatamente attorno alla tua testa reclinata sul soffice cuscino, stringendolo in modo da imbavagliarti ed impedirti di emettere alcun suono.
Quest'ultima precauzione fu provvidenziale perché non appena ebbi finito di completare il nodo tu ti svegliasti di soprassalto.
Dopo un attimo di smarrimento, e probabilmente di panico, in cui tentasti inutilmente di urlare e di divincolarti, ti accorgesti subito della mia presenza e mi riconoscesti: i nostri sguardi si incontrarono per un istante, nel pallido chiarore lunare, e fu allora che tu ti rendesti inequivocabilmente conto di trovarti di fronte una persona diversa dal solito, una parte della mia personalità a te sconosciuta. Ma, allo stesso tempo, sentisti che questa situazione, piuttosto che sconvolgerti, ti stava sorprendentemente eccitando: il sentirti alla completa mercé di un uomo che conoscevi bene, che sapevi non ti avrebbe mai fatto del male, ma che in quel momento era un'altra persona, quasi un estraneo, e dunque in qualche misura fuori del tuo controllo, ti suscitava una strana ed intrigante sensazione. Una sensazione che, lo percepivi nettamente, stava già facendoti bagnare le mutandine.
In una frazione di secondo decidesti di stare al gioco: per la prima volta da quando mi conoscevi una voce interiore ti stava potentemente suggerendo di lasciarti andare, di vivere fino in fondo il momento presente, di aprirti senza indugi a quella inaspettata esperienza, anche solo per scoprire dove sarei stato capace di arrivare. Ed anch'io percepivo, dal tuo sguardo, questa intenzione, con l'effetto di eccitarmi ulteriormente: mi guardai quindi intorno alla ricerca di ispirazione e la trovai in un paio di forbici poggiate sul tuo comodino. Le afferrai e mi avvicinai a te. Un fremito percorse la tua schiena. Ti fidavi di me, ma non potevi fare a meno di provare un brivido di paura vedendomi brandire quell'oggetto di metallo appuntito. Ma contemporaneamente sentivi che le mutandine ti si bagnavano sempre di più, che quel brivido di paura era anche, e soprattutto, un brivido di piacere.
Cosa stavo pensando di fare? Questa domanda ti eccitava sempre di più, mentre il sudore fluiva abbondante da ogni tuo singolo poro, facendo risplendere ancor di più la tua pelle nuda sotto la luce della luna. Dato il calore che stava avvolgendo il tuo corpo fu per te una sensazione di sollievo sentirmi appoggiare il freddo metallo delle forbici sulla pianta del tuo piede sinistro, facendole poi lentamente scivolare su, lungo l'interno-coscia, inequivocabilmente dirette verso il tuo sesso.
Non appena le forbici raggiunsero le mutandine chiudesti gli occhi reclinando la testa all'indietro. Mi accorsi subito che la tua eccitazione stava aumentando spasmodicamente: nonostante la folta peluria che le circondava riuscii a intravedere che le tue grandi labbra, già completamente bagnate, si erano ingrossate a dismisura e avevano quasi inghiottito il sottile filo del tanga. Capii allora quello che stavi desiderando: dolcemente avvicinai le forbici alle grandi labbra, facendole aderire alle loro carnose sporgenze, e cominciai a strofinarvele contro. Subito una scossa di piacere avvolse il tuo corpo tremante: decisi di toglierti il foulard che ti copriva il viso e all'istante vidi la tua lingua sbucare vogliosa fuori dalla tua bocca, come alla irrequieta ricerca di qualcosa.
Le tue mani, ancora legate dietro la schiena, erano madide di sudore e le dita si stendevano ed irrigidivano, rivelatrici di un orgasmo che non eri riuscita a ritardare. Senza indugio, ma con estrema attenzione, tagliai il filo delle mutandine lasciando allo scoperto il tuo sesso, più invitante che mai. Come finalmente liberate da una prigione, le grandi labbra si distesero in tutto il loro volume e, aiutate dalle mie dita, si allargarono fino a lasciar intravedere le loro piccole sorelle, anch'esse umide e gonfie di ebbrezza. Sopra di esse vidi ergersi maestoso il clitoride, più turgido che mai, quasi a reclamare la sua parte di piacere. E le mie dita, generose, si precipitarono ad accontentarlo, subito seguite dalla mia lingua, altrettanto generosa ma allo stesso tempo avida del sapore della tua pelle bagnata.
Dopo essermi soffermato a lungo sul clitoride, stringendolo lievemente tra i denti e carezzandolo con la lingua, sentii l'irrefrenabile impulso di cominciare a leccarti ovunque, dai piedi al collo, nelle orecchie e sotto le ascelle, fino ad arrivare ai capezzoli che svettavano turgidi sui tuoi seni completamente protesi in avanti, in preda ad una ormai inestinguibile sete di piacere.
Con eccezionale tempismo notai un bicchiere con del ghiaccio non ancora sciolto sul comodino, probabilmente il provvidenziale residuo di una bibita fresca che avevi bevuto prima di addormentarti alla ricerca di po' di refrigerio. E un istante dopo ripercorrevo con il cubetto di ghiaccio tra le dita lo stesso sentiero seguito poco prima dalla mia lingua, che aveva lasciato una umida ed inconfondibile scia su tutto il tuo corpo. Cercavo di indovinare dalle tue smorfie di piacere e dai sussulti del tuo corpo quali fossero i punti su cui desideravi che mi soffermassi: dopo aver circumnavigato i capezzoli, che sfiorati dal gelido tocco del ghiaccio erano diventati più turgidi che mai, passai dall'ombelico fino ad affondare il cubetto tra le grandi labbra ancora spugnose ed eccitate, spingendolo giù e lasciandolo sciogliere per dei brevi istanti dentro la vagina, dove l'acqua si mescolava al tuo fluido lasciandoti provare intensi brividi di piacere; poi, come infallibilmente guidato da un tuo improvviso, incontenibile desiderio, proseguii lateralmente, attraverso il valico del fianco sinistro, fino a portarmi, dopo essere scivolato lungo la spina dorsale, alla base della tua schiena: e lì capii senza alcun dubbio di aver toccato una zona erogena perché vidi sprigionarsi un ardente fiamma dalle profondità del tuo essere e sentii che godevi con tutta te stessa, raggiungendo una intensità straordinaria, assolutamente fuori dal comune.
Il mio cuore batteva all'impazzata all'unisono col tuo. Sentivo il mio membro esplodere e fui costretto a tirarlo fuori dagli slip. Notai il tuo sguardo posarsi maliziosamente su di esso, mentre la tua lingua assaporava già il momento in cui avrebbe potuto avvolgerlo nel suo abbraccio carnoso.
Avvicinai dunque il busto alla tua bocca e lasciai che il glande scomparisse tra le tue labbra, tra i flutti della tua saliva. Ti sentii fremere ancora una volta di piacere mentre la tua lingua esplorava ogni singolo centimetro del mio pene, insinuandosi progressivamente in ogni suo anfratto fino a lasciarlo affondare nella gola in tutta la sua interezza.
Cercando di amplificare al massimo il tuo godimento ripresi a succhiare con rinnovato vigore prima un capezzolo e poi l'altro, con un movimento ritmico in perfetta sintonia con quello di aspirazione della tua bocca sul mio sesso. Sentivo che ci stavamo avvicinando al culmine.
Le tue dita, unite alla crescente pressione cui sottoponevi il mio attonito membro, mi rivelarono l'approssimarsi di un tuo secondo orgasmo: ti liberai allora anche le mani, con una delle quali ti vidi afferrare la base del pene, come a volerne entrare definitivamente in possesso, mentre con l'altra ti sentii palpeggiare con veemenza lo scroto e i testicoli, quasi desiderosa che anch'io arrivassi a condividere il tuo orgasmo nell'esatto momento in cui questo fosse sopraggiunto.
E mentre le mie dita continuavano a strizzare i tuoi capezzoli e a titillare freneticamente il tuo clitoride esplorando, nel contempo, l'umida e profonda cavità della vagina, eccoti d'un tratto percepire le vene del mio membro pulsare ed ingrossarsi: tra un istante il mio sperma avrebbe inondato la tua bocca e il solo pensiero che ciò stesse per avvenire ti trasportò al culmine dell'eccitazione. Anch'io sentii salire il mio liquido dalle viscere, con l'impeto travolgente di un fiume in piena. Ti sentivo godere e stavo godendo con te.
Raggiungemmo l'orgasmo precisamente nello stesso istante, mentre un torrente di bianco fluido si riversava su di te, non solo nella tua bocca ma anche fuori, sul tuo viso, sul tuo seno, sul tuo ventre, mescolandosi al tuo sudore e ai tuoi umori, in una eccitante alchimia che ti faceva toccare il cielo con un dito. Le mani di entrambi lavoravano ora freneticamente per cospargere il tuo corpo di quel nettare afrodisiaco: ti feci girare a pancia in sotto e cominciai a spalmartelo sulla schiena, concentrandomi in particolare sulle fossette che erano alla sua base e poi scendendo giù fino alle natiche, avanti e indietro, con un massaggio ritmico e sensuale che prolungava il tuo godimento facendoti sentire in paradiso.
E nel tuo stesso paradiso vi ero anch'io: ebbro di un piacere indescrivibile capii che non dovevo indugiare oltre. Intuivo, forte e chiaro, il tuo desiderio di essere penetrata. Afferrate con le dita le tue natiche perfettamente sode e rotonde, con un movimento rapido e deciso affondai completamente il mio membro ancora duro nella tua vagina. Abbracciandoti da dietro mi aggrappai ai tuoi seni tenendo i capezzoli tra le dita: sentivo il tuo corpo, nudo, sudato e palpitante, fondersi finalmente col mio; sentivo il tuo respiro ansimante armonizzarsi col mio. In quel momento non esistevamo più come esseri separati: eravamo veramente un unico essere vivente, un'unica entità. Sentivo che avremmo potuto vivere insieme quel momento per l'eternità o morire assieme in quello stesso istante: per noi non avrebbe fatto nessuna differenza.
E forse quella differenza effettivamente non esisteva più.
Non so per quanto tempo rotolammo abbracciati tra le nuvole, tra le spinte del mio membro e le contrazioni del tuo ventre, bevendo ciascuno dalle labbra dell'altro con le lingue fuse in un interminabile, appassionato bacio, mai sazi di un piacere che ci aveva condotti lì dove l'erotismo diventa indistinguibile da un'esperienza mistica e dove il sesso si trasforma in una sublime preghiera alle divinità tantriche. Ma è proprio vero che esiste un punto al di là del quale gli opposti si ricongiungono, una soglia attraversata la quale il paradiso si trasforma nell'inferno, l'ebbrezza sfocia nella perversione, ed il bene e il male diventano le due facce di un'unica medaglia: ebbene, d'un tratto capii che avevamo appena varcato quella soglia.
Fu come se stessimo vivendo contemporaneamente le stesse fantasie sessuali, sentendo di poterci spingere oltre qualsiasi inibizione: senza accorgercene ci ritrovammo fuori sul balcone, in piedi, nudi e sudati in quella calda notte di luglio, con te che stringevi forte le mani contro la ringhiera, le braccia distese e le gambe divaricate, ed io che ti prendevo da dietro con una furia scatenata, quasi violenta, con le mie mani che spremevano con rabbia i tuoi seni costringendo i martoriati capezzoli ad emettere degli spruzzi di liquido lattiginoso.
Entrambi ci rendemmo conto che la guardia notturna si era accorta di noi e ci stava fissando come inebetita, probabilmente senza credere ai propri occhi ma non riuscendo a nascondere la propria eccitazione. E in una frazione di secondo capii che era proprio questo ciò che desideravi in quel momento: sapevi di essere sempre stata desiderata da quella guardia, e forse ti eri colpevolmente sorpresa a sognare che ti spiasse di nascosto, la sera, mentre ti spogliavi o ti masturbavi. Ora eri completamente nuda davanti a quell'uomo, probabilmente come lui ti aveva sempre immaginata, e godevi nel sentirlo morire dal desiderio di averti, e tanto più godevi quanto più un inevitabile e crescente senso di vergogna si impossessava di te. E io percepivo questa tua estrema voluttà e la condividevo con te, spasmodicamente, attraverso delle crescenti vampate di calore: sentii avvicinarsi una nuova ondata di sperma, che saliva, saliva senza alcun freno lungo il mio membro teso allo spasimo, e ti sentii fremere e desiderare ancora una volta di essere inondata da quell'oceano di piacere. Senza più controllarmi, un attimo prima dell'orgasmo, spinsi così forte che ti feci sporgere dalla ringhiera e in un ultimo, supremo impeto mi vidi rotolare sopra il tuo corpo e precipitare giù dal balcone.
Tutto si fece buio...
Poi, d'un tratto, mi risvegliai: ero disteso a terra, dolorante, sul marciapiede sotto il balcone di casa tua. Come in preda ad un tragico presentimento mi guardai: ero completamente vestito. E non c'era alcuna traccia di te sul balcone. Evidentemente, nel tentativo di salire ero scivolato ed avevo urtato la testa perdendo i sensi.
Dovevano essere passati solo pochi minuti da quando avevo deciso di arrampicarmi perché vidi la guardia notturna uscire dalla porta in cui l'avevo vista entrare. Feci appena in tempo a dileguarmi dietro l'angolo evitando che mi vedesse.
Avevo dunque immaginato tutto.
Avevo solo sognato.
Non ero mai entrato nella tua stanza. Non avevo mai spiato il tuo corpo nell'oscurità. Non ti avevo posseduta. Non ti avevo nemmeno sfiorata se non col pensiero.
Fui rapito da un senso di profonda tristezza: forse era quello il mio destino, dovermi rassegnare a sognare senza mai trasformare i miei sogni in realtà.
Ma probabilmente era giusto così.
Del resto non è forse un sogno anche la realtà?

Miller

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