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Racconto n° 720
Autore: Eliselle e Gerard Altri racconti di Eliselle e Gerard
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Arte notturna
G

Era in ritardo. Troppa pioggia in quella Bologna, così strana per essere già Aprile. L'anno prima nello stesso periodo i colli erano già irradiati da un sole caldo ed abbracciati da un cielo di un azzurro estivo, e così nei sui quadri. Ma quest'anno la pioggia l'aveva fatta da padrone e le sue tele erano ancora vuote. Giorgio, inzuppato di acqua come le tele che portava sottobraccio, aveva raggiunto in tempo "La casa di Veronique" poco prima della chiusura. Era una di quelle nuove osterie bolognesi che erano sbocciate nel centro in cui si respirava, oltre alla solita grassa atmosfera felsinea, anche un pò di cultura... per distinguersi dalla massa, per essere parte di un movimento culturale, predisposizione naturale della città.
La porta era aperta, la serranda abbassata, le sedie sui tavoli, solo un rumore, un rubinetto aperto. Gli occhi di Giorgio si guardarono un attimo intorno e rimasero colpiti da quella figura esile che lo osservava da dietro il bancone. Si doveva presentare o lei aveva già capito chi fosse? Aveva solo voglia di asciugarsi un pò dopo quella pioggia e sperava di concludere in pochi minuti la solita discussione su dove, come e quando esporre i dipinti. Le solite, noiose questioni burocratiche. Ma ora quella figura così esile pareva riempire tutta la stanza.


E

Il pittore. Tutto mi sarei immaginata: alto o basso, grasso o scheletrico, untuoso o lindo, volgare o raffinato. Uno qualunque, insomma. Non certo uno come lui. Quando l'ho visto sbucare da sotto la serranda ed entrare da quella porta, sono rimasta senza fiato e adesso che mi sta guardando con quell'aria smarrita da pulcino bagnato non so davvero che cosa dire. Mi accorgo di aver smesso di respirare, chissà da quanto tempo.
Chiudo il rubinetto e mi asciugo le mani nel piccolo grembiule nero che ho legato attorno alla vita. Non riesco a sciacquarmi la faccia, se ne accorgerebbe. Capirebbe che ho le guance rosse e in fiamme non perchè ho bevuto un bicchiere di vino di troppo, ma perchè la sua apparizione inaspettata è stata come un fulmine a ciel sereno. Meglio fare finta di nulla.
Vorrei dire qualcosa, ma non riesco a spiccicare parola: davanti ai suoi occhi così profondi come il mare d'inverno perderebbe la voce anche un soprano. Mentre sono in attesa che mi chieda qualcosa, lo osservo meglio e mi rendo bene conto della mascella volitiva, delle labbra affilate e dei capelli lisci e lunghi sulle spalle.
A mio padre non piacerebbe. A mia madre, forse. Ha quell'aria bohemienne da bello e maledetto. Accidenti a me e al mio amore per gli artisti.


G

Quel gesto, così innocuo e al contempo così potente, di quella giovane donna intenta a tergersi le mani lo aveva privato di ogni parola. La mente di Giorgio non sarebbe mai riuscita a liberarsi dalla dipendenza del fascino delle mani femminili: era un giovane artista quando era rimasto estasiato da quelle della sua professoressa di stile pittorico. Da quel momento erano diventate la sua ossessione. Non era stata la sua prima donna, quella, ma colei dalla quale era stato iniziato ai veri piaceri della carne, e questo l'aveva marchiato a fuoco.
Riuscì ad uscire da quell'inaspettato viaggio mentale e si accorse che la ragazza aveva lo sguardo fisso su di lui. Lo stava esaminando. Si sentiva come frugato nella sua intimità, nel suo aspetto. Quel viso muliebre di carnagione chiara metteva in risalto due gote decise, dipinte di un rosso acceso che richiamavano lo stesso colore, ma più educato, della sua bocca carnosa e aggressiva. Lo stava facendo anche Giorgio: la stava studiando e si accorse di essere come immaginariamente proteso ad accarezzarle quei capelli neri corvini, corti, disordinati, straordinariamente femminili.
All'improvviso tornò in se quando si accorse che lei gli aveva chiesto qualcosa. Non aveva recepito la domanda, perso in quel limbo estatico in cui era caduto.


E

- Sei qui per prendere accordi sull'esposizione? -
Non credo abbia capito, ma poco importa, glielo ripeto. Vorrei quasi che rimanesse così, senza pronunciare una parola, senza capire ciò che dico, solo per poterlo ammirare per lungo tempo ancora. Dal sorriso strano che mi rivolge deve trovarsi in imbarazzo. O forse è solo una mia illusione, e mi sta solo prendendo in giro. Lo invito al bancone e gli verso da bere, un vinello bianco come aperitivo è l'ideale in questa brutta serata: riscalda il cuore. Un buon modo per indorare la pillola. Glielo devo pur dire che il capo stasera non c'è, e che sarà dura ripescarlo: ha staccato il cellulare quand'è uscito, significa che non vuole essere disturbato. Sicuramente sarà andato dall'amante... pover'uomo, deve fare i salti mortali per sopravvivere alla sua doppia vita, bisogna comprenderlo.
Quando gli spiego la situazione, lo vedo cambiare in volto. Non riesce a dissimulare la delusione. Capisco che arrivare in questo posto con una buona aspettativa, e ritrovarsi a non poter concludere un affare per i pruriti di un uomo annoiato non dev'essere piacevole. Per fortuna che non sa di dover rimandare gli accordi per una scopata: sarebbe ancora più umiliante.
- Io dovrei chiudere ma se ti va stare ancora un po' qui... mi farebbe piacere! -
Non so da dove giungono, come mi scivolano queste parole sulla lingua, escono da sole. Sono uscite. Ormai non ci posso più fare nulla. Mi sento tesa come una corda di violino, ma mi sento anche sicura. Non c'è nulla di male nel bersi un bicchiere di vino insieme, prima di cena, dopo un appuntamento di lavoro mancato. Io e lui soli, tutta Bologna e il resto del mondo fuori da quella saracinesca.


G

Non ci poteva credere. Tutto quel viaggio in auto in balia di quella strana violenza monsonica che aveva aggredito la pianura per l'intera giornata ed ora, dopo aver forato a 10 km dalla meta ed essersi bagnato anche l'anima, sentirsi dire che forse era tutto saltato. Oltre al danno, anche la beffa. Niente referente, niente mostra, niente soldi... ma poi, quella voce, quella frase di lei... Certo che Giorgio voleva restare. Non si aspettava quella gentile mano tesa, ma aveva bisogno di fermarsi, a pensare. Un bicchiere di vino, una cena, due chiacchiere in compagnia. Forse non era proprio tutto sbagliato il destino di quella umida sera. Umido, bagnato, era ridotto ad un pulcino. Lo aveva detto ad alta voce. Lei, imbarazzata più che mai per non averglielo offerto subito, gli indicò una porta a soffietto, quella del bagno privato sul retro del locale: acqua calda, sapone, un asciugamano e dei vestiti asciutti. Gli aveva dato la maglietta dell'osteria che si regalava ai clienti in certe occasioni speciali, e un paio di pantaloni da lavoro in cucina. Meglio di niente.
Come poteva ringraziarla? In quella sera avrebbe dovuto trovare il modo di sdebitarsi con quella dolce naiade notturna. Stava ancora girando con i propri pensieri attorno a quella figura, davanti al lavabo, con le mani sotto l'acqua finalmente pulita e calda....


E

L'adrenalina che ho in corpo mi costringe a tremare. Come posso essere così agitata? Forse perchè per la prima volta mi sono sorpresa a fare quello che mai avevo fatto prima? L'ho spiato, sotto quella doccia. Ho aperto leggera la porta a soffietto, senza fare alcun rumore, e ho sbirciato. Ho smesso addirittura di respirare per non farmi sentire. E l'ho visto, attraverso il pannello di plastica: la sua figura alta, la sua schiena così squisitamente maschile, i capelli bagnati appiccicati a seguire le linee delle sue spalle. Riuscivo a intuire attraverso la plastica opaca i muscoli guizzanti, e quando ho visto che la sua mano andava verso il rubinetto per chiudere il getto dell'acqua sono schizzata via per non farmi vedere.
Forse per farmi perdonare della mia intrusione, o per fare ammenda di aver trovato la cosa eccitante, sono pronta ad accogliere il mio ospite inatteso con un paio di calici, una candela accesa e uno spuntino: tramezzini e stuzzichini, olive e pizzette dolci, quanto di più invitante possa offrire oggi la casa di Veronique. O forse, perchè la speranza che rimanga a fare due chiacchiere con me dopo la doccia è davvero forte e prepotente.


G

- Cosa cerchi in lei, Giorgio? Ti sei lasciato intrigare da quella sua misteriosa aura? Cosa ti succede?... - . Erano quelle le frasi che avevano ormai preso possesso dei pensieri di Giorgio sotto il caldo getto dell'acqua della doccia. Non si sapeva spiegare come la sola vista di quella ragazza avesse fatto breccia nella razionalità che lui stesso aveva imposto sulle proprie emozioni passionali dopo che, qualche anno prima, una relazione estremamente fisica era finita nel modo peggiore. Quella compagna di forti passioni, sua musa e modella, lo aveva lasciato improvvisamente per un poeta francese. La delusione lo aveva sbattuto lontano dalle vie illuminate di una costante ispirazione artistica costringendolo a lasciare Saint Germain, il quartiere di Parigi che lo aveva visto crescere come pittore, per ritornare in Italia a ricercare la propria capacità creativa.
Era riuscito a trovare sui colli fra Emilia e Toscana una casa tranquilla, un ex fienile, restaurato e organizzato internamente con uno spiccato senso artistico. L'affitto era piuttosto caro, ma quell'ampia vista sulla valle era un buon motivo per fare qualche sacrificio. I paesaggi erano diventati il suo soggetto principale dopo quell'esperienza di Parigi ed avevano dato nuova energia pittorica a Giorgio Rambelli, pittore diventato famoso nella Parigi di fine secolo per i suoi quadri di scene erotiche che avevano destato scalpore anche negli ambienti pittorici francesi per il loro mistero, il loro fascino, la loro potenza.
Ed ora era li a fare una nuova gavetta esponendo i propri paesaggi in una piccola osteria bolognese... Ma - Lei - sapeva chi lui fosse? Conosceva la sua nomea di - pittore del sesso - ? Chi era - Lei - ? Una sola certezza regolava i suoi sensi, non poteva negarlo, in quel momento non avrebbe voluto essere in nessun altro posto se non vicino a - Lei - e questo, lo confondeva...


E

- Siedi, ti ho preparato qualcosa da mettere sotto ai denti. Non è nulla di particolare, ma sono brava a fare i crostini, qui li cuciniamo in modo speciale. A proposito, io mi chiamo Annalisa, scusa se non mi sono presentata prima! -
Tendo la mano e quando lui me la stringe sento un brivido sul collo, proprio all'attaccatura dei capelli. Il mio punto più sensibile, non gli sfugge mai nulla. Mi piace proprio... Giorgio. Quando mi dice il suo nome mi torna alla mente il santo cacciatore di draghi delle favole di bambina: forse come lui aveva la stessa passione che traspariva dagli occhi.
Ci sediamo e iniziamo a piluccare: qualche oliva e qualche cubetto di mortadella tagliato al volo e disposto a formare una rosa nel piattino, poi qualcosa di più concreto adagiato nel grande e invitante piatto, sul tavolo grezzo tra me e lui. Crostini con pomodoro e origano, con crudo e mozzarella, con verdure, con salsa piccante... uno tira l'altro, così pieni e ricchi. Per mandarli giù, nonostante siano così gustosi, serve una boccata di vino. Un rosso, formoso e generoso, che scioglie la lingua sul palato. E' il mio preferito, e anche Giorgio pare gradire. Iniziamo a parlare di tutto: com'è arrivato qui, che cosa fa per vivere, com'era Parigi, come procedono i miei studi, da quanto tempo lavoro qui, che cosa mi piace fare.
Anche le parole sembrano richiamarsi, una dopo l'altra, fino a trasformarci in un fiume in piena: io lo ascolto sognante e silenziosa, senza interromperlo, fino a quando lui non mi incoraggia a raccontare qualcos'altro di me. E' ebbro di sapere, di conoscere di me. Io lo sono di lui.
O forse siamo ebbri del vino rosso, ma il confine è così sottile... mi sfiora il dorso della mano col dito, mentre penso a quale vita eccitante sia creare arte. Avvicina il suo piede al mio, e mi immagino adagiata su un letto mentre lui mi ritrae senza veli. Porta le sue labbra così vicine al mio viso che sento il suo respiro, e di nuovo la sensazione più accentuata al collo vicino ai capelli mi assale. Sento il fuoco scorrermi nelle vene, appoggio il bicchiere del vino e mi lascio andare a un lungo bacio, assaggiando la sua bocca e la sua lingua.
Non so più chi sono, né da dove vengo. C'è solo lui, definitivamente.


G

Puntuale, in risposta ai suoi quesiti, Giorgio godette nel sentire il nome Annalisa, e vibrò al tatto di quella mano soave, soffice ma difesa da una stretta decisa, rivelatrice di una probabile spiccata fisicità. Ciò che fugò ogni suo dubbio fu l'immediata tensione dei propri muscoli dorsali, un segnale conosciuto: per Giorgio significava che la donna che aveva davanti lo aveva in pugno, e che lui l'avrebbe soddisfatta in ogni sua richiesta. Ma ciò che ebbe un impatto ancora più forte sulla mente ormai perduta di Giorgio fu la fugace vista di un lieve tremore sul collo di lei. Capì, inequivocabilmente, che le loro energie si erano scontrate e intrecciate. A quel punto qualsiasi cosa sarebbe stata possibile. L'unica cosa che lo riportò alla realtà fu la sensazione di fame. Si, aveva fame e sete, ma si accorse che lei aveva pensato a tutto, dipingendo con passionale senso artistico quel tavolo d'osteria. Giorgio si liberò da quei pensieri struggenti e diede inizio alle danze, tentato da uno dei suoi più frequenti peccati, la gola.
Assaporò il vino, più volte, degustando assieme ad Annalisa tutto ciò che lei gli aveva offerto. Ma la fame non cessava, era quasi isterica. Giorgio si rese conto che quello che richiedeva la sua mente non era fame, era altro. Parlava in continuazione e rimaneva immobile ad osservare quella bocca incorniciata da labbra turgide, sulle quali una lingua tumida e flessuosa più volte lasciava il suo segno sui suoi pensieri ormai vogliosi e scandalosamente fisici. Era come se fosse tornato ad immergersi in quell'estasi pittorica che aveva avvolto la sua esperienza parigina. Spinto dal desiderio e da chissà quale misteriosa forza della passione, Giorgio avvicinò la mano a quella di lei. La toccò, quasi la strinse e subito si rese conto che quest'atto fu come oltrepassare un confine, un punto di non ritorno, per lui, per lei, per entrambi: fu come gettare benzina su una fiamma ardente.
Fu colpito, quasi steso dal suo bacio che prese possesso dell'intimità, diventando padrone delle voglie di Giorgio. Una bacio deciso, fatto di labbra vogliose e di una lingua impazzita, umida e calda e gustosa. Lui rispose prima con forza timida, ma poi, preso dal coinvolgimento, guidato da un potere maschio, artisticamente virile, le prese la nuca, stringendola come per voler governare la scena. Le sciolse i capelli, tirandosi indietro per guardarla. Lei gli sorrise, asciugandosi col dorso della mano quella bocca bagnata da quel bacio e Giorgio si lasciò andare, iniziando a leccarle quel collo fremente mentre la sua mente alimentata dal desiderio montava una tale energia nel suo membro che si dovette alzare, spostando quel tavolo, unica barriera ormai rimasta per l'imminente battaglia fra quelle due forze opposte e reciprocamente smaniose di venire a contatto.


E

Lo sento guidarmi e baciarmi, lo vedo alzarsi e raggiungere il mio corpo in un momento. Mi scioglie i capelli con infinita dolcezza, comprendo dalla sua stretta quanta energia scorre in lui. Sento la sua bocca e la sua lingua scorrermi addosso, i suoi denti chiudersi con delicatezza intorno al lobo del mio orecchio. Le sue mani spostano il tavolo, si stringono attorno alla mia vita, mi spingono contro al bancone di legno, mi issano su uno sgabello alto, mi tengono stretta per non farmi scivolare via. Le sue dita frugano, le sue labbra gustano, i suoi occhi chiusi vedono la mia eccitazione e il suo naso la odora. Scivolo in un'altra dimensione, lentamente, inesorabilmente.
D'un tratto sento un rumore lontano, attutito, regolare. Ascolto e il suono si fa sempre più vicino, più nitido, e capisco... sto gemendo, e lui insieme a me.
Fremente, smanioso, mi slaccia il grembiule e lo lascia cadere sul pavimento. Mi toglie la camicetta, mi sfila i jeans, abbassa la coppa del reggiseno e inizia a giocare con la lingua sul mio capezzolo. I respiri si fanno più frenetici, posso sentire il profumo dei suoi capelli umidi che mi bagnano la pelle.
Voglio sentirlo dentro di me, i miei sensi lo gridano con tutte le loro forse e non c'è modo di parlare, non ce la faccio presa come in un sogno, rapita dalle emozioni. All'improvviso riscopro le mie mani, perdute sulla sua schiena e ritrovate nell'amplesso, mi aggrappo a loro come un naufrago col suo relitto e inizio a slacciargli i pantaloni, avida. Quando al tatto percepisco finalmente il suo sesso, liscio, duro, leggermente umido, gonfio, riesco a sussurrargli all'orecchio...
- Ti voglio -
Uno sconosciuto. Sto facendo sesso con uno sconosciuto. No, non lo è. Lui è Giorgio, è un pittore, ha due mani toccate dalla grazia, le sue dita calde e vellutate frugano tra le mie labbra schiuse, mi danno piacere. Lo conosco da sempre. Lui è Giorgio.


G

Con rispetto, Giorgio sciolse deciso, dolce e rude allo stesso tempo, quei capelli di seta scura per liberare ogni legame alla fisicità di quella figura così femminile, di quel corpo ormai privo di difese. Ogni timore di un possibile eccesso fu immediatamente fugato dallo sguardo di Annalisa, che lo catturò invitandolo su di lei.
Iniziò a baciarla avidamente ma con movimenti circolari, pittorici, in grado di coprire ogni lembo scoperto di quella tela salata e tremante. Il primo gustoso frutto fu il lobo dell'orecchio che prima leccò piano, come per prepararsi ad assaporare un frutto più prezioso e più succoso, e poi addentò con bramosia tanto da suscitare un gemito sottomesso di lei.
Scostò definitivamente quel pesante tavolo, rovesciando in parte ciò che era rimasto delle vivande, che cadde a terra. Strinse le mani attorno ai fianchi di lei, sentendola vibrare e la portò a sedere su uno sgabello: fu per lui come il cavalletto sul quale l'artista adagia la tela su cui dipinge l'opera che pervade la sua mente.
Iniziò ad usare le mani su quel corpo aperto alla sua voglia. Il suo respiro si faceva affannoso, sincronizzandosi con quello di lei. Le strinse i seni piccoli e sodi, accarezzò con decisione il suo costato, facendola inarcare di piacere alla stretta di quelle mani così decise ma delicatamente raffinate.
Raggiunti i fianchi, le sciolse il grembiule ed infilò le dita sotto la camicia, la sfilò fremente, liberò dai jeans le sue gambe, poi il seno dalla stoffa candida; la spogliò.
I due capezzoli di lei furono un richiamo irretibile alla sua bramosia. Intinse la lingua sulla loro punta e li vide inturgidirsi come due olive greche. Li prese tra le labbra facendola gemere e sorridere di piacere, e a quel punto si rese conto di essere stato afferrato dalle mani di lei che ora gestivano il suo corpo come il timone di una nave in preda alle forze della natura.
Si sentì abbassare i pantaloni. Il suo fallo era già prepotentemente libero da ogni costrizione, duro e così teso che si curvava sottoposto a quella voglia da tempo inespressa. La sua mente iniziava a ripercorrere strade un tempo note, spregiudicate e originali come i suoi dipinti di un tempo.
Ora era nudo e indifeso agli occhi di una sconosciuta, aveva come unica arma il suo pennello, aveva a disposizione una tela bianca davanti a sé, una donna che improvvisamente gli parlò dicendogli - Ti voglio - .
La prese, la fece scendere dallo sgabello, la girò stringendole i fianchi. Ammirò la sua schiena, le curve dei fianchi, i glutei pieni e sodi. La fece piegare in avanti e le aprì le gambe. A quel punto si inginocchiò sotto di lei, a faccia in su con la bocca aperta proprio sotto al sesso di lei che esprimeva chiaramente la sua avidità. Lui assaporò quel frutto morbido e glabro, prima superficialmente poi in profondità riempiendo tutti i propri sensi di sensazioni quasi dimenticate, sentendosi contemporaneamente toccare nella sua virilità ormai estrema.
Iniziò a seguire i suoi gemiti fino a che succhiando il suo frutto lei non urlò. Si sentì afferrato ed invitato ad alzarsi da una forte stretta chiusa attorno al suo membro. Si fece guidare verso il tavolo, che lei sparecchiò definitivamente con un gesto deciso del braccio.
La vide sedersi, poi sdraiarsi su di esso piegando le ginocchia, allargando le gambe e puntando i talloni sul limite del bordo. Lei allungò le mani verso di lui, invitante, e lui non esitò a raggiungerla mentre la pioggia batteva su una Bologna vuota e dormiente.


E

Mi ha spogliata, mi ha assaggiata, mi ha presa, mi ha toccata, mi ha vissuta.
Ha percepito il fuoco che brucia dentro di me e non è fuggito. Non vedo più nulla, non intendo più nulla, solo il bisogno della carne. Tolgo dal tavolo e lascio cadere a terra ciò che rimane della cena, mi sdraio e sento il legno freddo sulla mia schiena, invito Giorgio a possedermi così. Non si fa pregare, accarezza la mia pelle e il mio corpo col suo sguardo profondo e con le dita, i capelli selvaggi e liberi sulle spalle non sono ancora asciutti e lasciano su di me impalpabili gocce che mi regalano brividi muti.
Gemo quando lo sento entrare dentro di me. Lo vedo schiudere le labbra, mi afferra per i fianchi e mi tiene forte mentre i nostri sessi si congiungono e i nostri umori si mischiano.
Sul mio ventre disegna arabeschi col suo indice lungo, affusolato, armonioso, lo mette in bocca e lo bagna della sua saliva, ritorna sul mio ventre e scende fino al centro del mio piacere, iniziando a titillarlo dolcemente.
Sento il calore che cresce e mi inonda, sento nelle orecchie il suono della pioggia battente, il rumore del tavolo che batte ritmicamente a terra, dei suoi lombi che spingono dentro di me l'asta dura e prepotente. La sensazione, l'attesa, il piacere.
Non vorrei, non voglio essere in nessun altro luogo. Non vorrei, non voglio essere con nessun altro. Vorrei, voglio lui.

Eliselle e Gerard

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