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Racconto n° 749
Autore: Inside Susan Altri racconti di Inside Susan
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Il copista
Ad Anais.

Il lunedì mi recai nei pressi della Gare St. Lazare dove lavorava il copista, per ritirare i racconti che avrei dovuto presentare l'indomani mattina all'editore.
Il copista era conosciuto tra i giovani e squattrinati scrittori di Montmartre per l'accessibilità delle sue tariffe e la buona qualità del suo lavoro. Ricopiava a macchina manoscritti, svolgeva anche trascrizioni manuali in perfetta grafia, a beneficio di pubblicitari e vignettisti.
Il suo studio era presso la sua abitazione, ricavato all'ultimo piano, nel sottotetto di un palazzone popolare. Il copista lavorava regolarmente e con continuità, poiché molti erano gli scrittori a gli si rivolgevano, tuttavia non era ricco.
Conduceva una vita ritirata, raramente lo si vedeva in giro, nonostante il quartiere offrisse svaghi di ogni sorta, egli passava il tempo rintanato nel proprio studio; la sera, alzando gli occhi passando per la via, si notava la luce calda della lampada provenire dalle sue finestre, talvolta si spegneva a notte inoltrata, altre solo alle prime luci dell'alba.
Per via di questa sua condotta solitaria, negli ambienti dei giovani scrittori giravano parecchie storie su di lui, su quanto fosse schivo nei rapporti personali e insolito in quelli con le donne; ma ben nota era anche la meticolosità che metteva nel proprio lavoro.
Mi fu raccontato di quando uno studente di nome Sérat si recò per ritirare un incarico urgente affidatogli, e lo trovò con la barba di giorni e lo sguardo indiavolato e febbrile, lo studio che odorava di stantio. Pare non si fosse mosso dall'appartamento per giorni, rinunciando quasi del tutto a dormire, per terminare in tempo il lavoro del giovane Sérat. Non pretese nemmeno di essere pagato un prezzo maggiore alle normali tariffe, solo chiese a Sérat di potere conservare il suo lavoro manoscritto.
Tali racconti riguardo la sua dedizione al lavoro mi rinfrancavano; era necessario che rispettassi la scadenza di consegna impostami dall'editore, o avrei rischiato di vedere sfumare la mia unica possibilità di un contratto. All'epoca avevo un disperato bisogno di denaro, i racconti su commissione erano saltuari, ed anche ai miei amici scrittori le cose non parevano andare meglio.
Avevo visto alcuni di loro ridursi per strada all'accattonaggio o alla prostituzione, perdendo il loro genio descrittivo nell'alcolismo. Non volevo anche per me tale destino.
Per raggiungere la sua abitazione dovetti attraversare il quartiere di Pigalle, vivendo e lavorando a Montmartre ero ben avvezza ai costumi delle prostitute e al linguaggio dei loro protettori, eppure i loro sguardi mi mettevano sempre a disagio; le labbra dipinte e i costumi succinti delle donne gridavano una perenne predisposizione all'amore carnale, ciò mi rendeva inquieta ogni volta e trovavo difficile riuscire a reggere il loro sguardo così oscenamente esplicito.
Giunta al palazzo in cui viveva il copista mi sentivo nervosa, sapevo di non avere raccolto denaro a sufficienza per pagarlo, sotto le pressioni del proprietario avevo dovuto saldare l'affitto della mia stanza.
Se avessi ottenuto il contratto con l'editore, avrei presto potuto ripagarlo presto, ma tutti sapevano che il copista non faceva credito, d'altronde solo un folle avrebbe dato credito agli inaffidabili artisti di Montmartre, un giorno al lavoro, il successivo sul lastrico.
Il nome del copista mi fu dato da un pittore mio amico, Jean, il quale gli consegnò per me i manoscritti; egli me ne parlò come di una persona ragionevole e disposta all'aiuto, specialmente nei confronti dei giovani scrittori, essendo stato il copista stesso, in gioventù, una promessa letteraria, poi evidentemente fallita. Jean purtroppo non fu in grado di prestarmi alcuna somma, ma mi parlò di piccoli favori che chiedeva in cambio talvolta a chi non era in grado di onorare il debito, accennò ad un lavoro di pittura con cui lo aveva ricompensato egli stesso in un momento di difficoltà.
In ogni modo non avevo scelta, e con la somma di cui disponevo mi apprestai a salire l'infinita rampa di scale.
Quando giunsi alla sua porta avevo il fiato corto, per lo sforzo e per il timore che questo personaggio sconosciuto mi incuteva.
Mi ricomposi un momento, senza rendermene conto mi sistemai i capelli e mi lisciai la camicia, quasi si fosse trattato dell'appuntamento con l'editore. Bussai alla porta attendendo una risposta che tardava ad arrivare. Temetti non fosse in casa e bussai di nuovo con impazienza. Dopo un istante la porta si aprì.
Mi apparse un uomo sulla cinquantina, curato e dai modi calmi. Mi presentai con un fil di voce, 'Vi attendevo' mi disse con tono pacato 'Entrate'.
Mossi qualche passo nello studio ed al suo cortese cenno lasciai in anticamera la mia mantella, poi lo seguii nella stanza in cui lavorava. Mi invitò ad accomodarmi mentre da una pila di cartelle recuperava il lavoro che aveva svolto per me.
Lo prese e si sedette alla scrivania, ed iniziò a sfogliarne il contenuto, scorrendo i miei racconti, come volesse esprimere un commento.
Con discrezione mi guardai in giro, notai solo un'altra piccola porta oltre a quella da cui ero venuta, probabilmente il bagno o un ripostiglio. L'appartamento del copista pareva esaurirsi alla grande stanza in cui mi trovavo; a metà della camera era collocato un grande paravento di legno ricoperto di decorazioni dipinte a mano. Riconobbi le pennellate di Jean, doveva trattarsi del compenso per quando fece ricopiare quelle didascalie per certi suoi quadri in vendita. Le decorazioni raffiguravano alcuni corpi intrecciati, probabilmente una scena d'amore, ma il tutto era molto stilizzato sul legno ruvido.
Si riappropriò della mia attenzione quando prese a parlarmi.
'Scrivete dunque letteratura erotica' considerò, 'Non è scelta frequente tra le donne.'
Ne convenni, in effetti la maggior parte delle mie amiche e conoscenti svolgeva la professione di modella presso studi di artisti o pubblicitari. Riconobbi tuttavia che tra le scrittrici, una certa parte stava abbandonando il genere d'avventura per tentare quello erotico.
Egli, tenendo gli occhi sui fogli, aggiunse 'Siete molto brava e fantasiosa'; io lo ringraziai, non senza arrossire. Non riuscivo a rilassarmi in sua presenza, parlava lentamente, con flemma, ed io non ero in grado di riempire il silenzio che lasciava e che continuava a cogliermi impreparata.
Affrontai la questione del denaro, gli dissi che avevo poco più di metà del suo compenso, e lo appoggiai sulla scrivania; aggiunsi che se avesse potuto attendere, entro la settimana lo avrei saldato.
Fu allora che mi guardò in volto per la prima volta 'Conoscete le mie regole, Jean deve avervele riferite. Non concedo credito ad alcuno, sarò costretto a trattenere parte dei vostri racconti fino a che non pagherete l'intera somma'.
Sentii il panico assalirmi, dovevo avere fino all'ultima pagina, per nulla avrei potuto aspettare. Gli spiegai la mia situazione con voce tremante ed accennai al paravento dipinto da Jean.
L'uomo mi guardò obliquo 'Il vostro amico Jean conosce un'arte a me non familiare come la pittura, ma voi siete una scrittrice, come lo ero anche io alla vostra età, cosa potete darmi che io non possieda già?'.
Provai disperazione, cercando di mantenere la voce calma, gli domandai 'Voi cosa vorreste?'.
Egli continuò ad osservarmi, il suo sguardo scese sulla mia veste e sulle mie caviglie nude. Qui si perse e con un tono vago suggerì '. Il vostro corpo?.'.
Fui incredibilmente sorpresa, non volevo credere all'indecenza della sua proposta, né di essermi ridotta a tale miseria. La mia mente scossa pensava e pensava senza essere in grado di formulare una qualsiasi controproposta. Restai lì scioccata sapendo di non avere nessuna altra scelta.
Se l'indomani i miei racconti fossero piaciuti, non avrei avuto problemi di denaro per un buon pezzo; dovevo riscattare i miei scritti e non avevo altra alternativa.
Quando acconsentii, il copista mi guardò negli occhi per un istante, prima di invitarmi a seguirlo. 'Lasciate qui la vostra borsa, avrete il tempo di riprenderla più tardi.'
Mi condusse dietro al paravento dove si nascondevano pochi arredi, una cassettiera con uno specchio, un letto e accanto a quest'ultimo una poltroncina su cui si sedette, appoggiandosi comodo allo schienale, le braccia stese lungo i braccioli; 'Spogliatevi' mi ordinò piano.
Provavo enorme imbarazzo, non potevo fare a meno di pensare a come apparivo da fuori mentre sfilavo impacciata la gonna, lasciandola cadere a terra. Mi separai anche dalle scarpe basse e sbottonai la camicia, abbandonandola poi anch'essa sul pavimento. Ero rivolta nella sua direzione, ma non potei guardarlo mentre mi spogliavo. Sentivo i suoi occhi bruciarmi addosso e farmi male.
Rimasi con il solo intimo addosso, avvertendo una tremenda sensazione di disagio, mentre il copista mi osservava assorto e silenzioso. Mi pregò di togliere anche il corpetto, ma volle che tenessi le culottes.
Seguii le sue istruzioni, dopo di che mi fece sdraiare prona sul letto.
In un certo qual modo mi sentii sollevata di potere evitare il suo sguardo indagatore. Il contatto con la coperta morbida contro cui potevo nascondere i seni, mi rassicurò un poco.
Lui si avvicinò, sedendosi a bordo del letto, io mi sentii rabbrividire. Mi toccò per la prima volta; mi accarezzò le spalle e il collo scostando i capelli. Lo fece a lungo, il suo tocco era garbato, quasi affettuoso; più sentivo la sua carezza, più la trovavo familiare, lo immaginavo intento a contemplarmi con occhi ammirati, e noi potei fare a meno di sprofondare in un piacevole stato di rilassamento e lusinga.
Con gesto lento e premuroso mi abbassò le culottes fino a metà coscia, la sua voce si fece di velluto nel chiedermi di allargare un poco le gambe; mi sorpresi sentendo il mio corpo illanguidito obbedirgli cedevole.
Per qualche istante non parlò né si mosse. Lo sentivo, ne sentivo lo sguardo sfiorarmi le scapole e scivolarmi tra le natiche. Questa attesa mi rilassava ed insieme innervosiva oltremodo.
Ad un tratto si alzò e camminò verso la cassettiera; dal primo cassetto prese un astuccio di cuoio, lo aprì e ne estrasse una penna d'oca.
Tornò al letto, riprese posto accanto al mio corpo disteso e prese a passarmi la penna lungo le braccia e sulla schiena. Mi solleticava un poco ma la circospezione che ancora provavo, mi rendeva meno vulnerabile.
Sentii la penna scendere e descrivere riccioli e cerchi sul mio dorso, fino a giungere lenta ed inesorabile tra le mie natiche.
Qui la sua carezza indugiò a lungo. La penna andava e veniva solleticandomi fino all'ingresso della vagina.
Quel movimento paziente e costante mi conquistò a poco a poco, la sua lentezza finì per tramortirmi e stremarmi mente e corpo. Gli occhi mi si chiusero, le gambe si allargarono maggiormente, le mie labbra si schiusero.
Il copista iniziò a parlare placido con tono sommesso. 'Immaginate che questa penna sia vostra, quella con cui avete scritto i vostri preziosi racconti. Questa penna sa tutto di voi, conosce ogni vostro desiderio, ogni vostra fantasia.' Mi sentii sedotta dalle sue parole, pronunciate con tale flemma e morbidezza. 'Questa penna conosce ogni luogo dove amate essere toccata, baciata, presa. Conosce il centro sensibile della vostra creatività.' Così dicendo indugiò tra il clitoride e la vagina, torturando a lungo il mio sesso già dischiuso e vicino alla resa.
Mi sfuggì un sospiro grave, ero fisicamente disciolta e intimamente turbata. Amavo quella carezza leggera e poetica, amavo quella voce che mi entrava dentro calda, trafiggendomi senza sforzo quasi fossi stata burro.
Mi sentivo stordita, mi sfuggiva quali fossero i suoi reali intenti, prendermi, godermi, o solo sfinirmi.
Non ero in grado di pensare, la sua lusinga mi aveva incantato; presi ad oscillare lenta sotto la pigra corsa della penna e ad ondulare il bacino cercando di seguirne il movimento quando il copista giocava a ritrarla.
Il mio sesso denunciava la propria sensibilità, ed io traevo diletto dal concedere ad un estraneo di trastullarsi con il mio corpo risvegliato.
Tra tali constatazioni sentivo il termine della penna solleticarmi con solerzia il clitoride gonfio, in tale stato di eccitazione avrei potuto giungere al culmine del piacere, ma ecco che interpretando i miei compiacenti movimenti, il copista ritrasse il dolce strumento, provocandomi un moto di stizza.
Mi resi conto di quanto aperta doveva essere la mia vulva e ciò mi fece provare vergogna; l'uomo avvicinò la penna al mio viso, lambendo con l'estremità le mie labbra. La sentii umida ed immaginai la scena sconveniente che stavo offrendogli tra le mie cosce allargate.
La depose sulla propria custodia accanto al letto e mi ordinò di alzarmi a carponi.
Mentre gli obbedivo docile, mi abbassò le culottes fino a sfilarle completamente; lo sentii slacciarsi i calzoni e mi arresi impotente alla sua volontà.
Provai una sorta di sollievo avvertendo il suo rigido desiderio addentrarsi cauto nel mio sesso pronto; incontrò ben poca resistenza, io aggiustai la mia posizione ad offrirmi meglio mentre lui mi governava come un capitano al timone, tenendo le mani assicurate a palmi larghi sulle mie natiche.
Si spinse completamente al mio interno, mentre la mia vagina lo inghiottiva come una bocca mansueta.
Prese a muoversi piano abituando il mio sesso alla sua aliena presenza, rassicurandolo con accurata caparbia, poi i suoi colpi si fecero più svelti ed energici, spezzandomi il respiro ad ogni attacco. Mentre conquistava anche il mio più remoto termine, ne sentivo i testicoli battere dolci e carezzevoli sulle mie piccole labbra, sfiorandomi il clitoride ogni volta.
Adoravo il suo vigore, il modo selvaggio in cui mi stava prendendo; sentivo il suo respiro affannato e corto, e pregavo affinché non venisse, che continuasse ancora.
La mia bocca aperta in una spontanea espressione di piacere, tentava di riacquistare regolarità nel respiro, ma ogni tentativo era rotto dai suoi colpi inclementi, a tratti feroci, fino al suo assalto finale, in cui lo sentii gonfiarsi ed esplodermi dentro.
Mi lasciai sfuggire un indispettito gemito di disappunto per il piacere il cui culmine non avevo raggiunto, amareggiandomi ancora una volta di me stessa, lenta da eccitare e lunga a godere.
Placata la sua furia, si riprese come una animale affaticato dalla corsa e dalla lotta, senza tuttavia lasciare la presa, come ad accertarsi della definitiva resa della propria preda.
Caddi col volto sul copriletto, esausta e non ancora venuta; lui non uscì subito, rimase dentro di me per qualche istante carezzandomi glutei e fianchi a lui ancora esibiti.
Continuò un movimento dolce e morbido al mio interno, poi chinandosi su di me ed infilandomi la mano sotto il ventre, raggiunse il mio sesso e prese a titillarlo in punta con premura, accelerando poi il movimento; amavo sentirlo ancora dentro, questa volta con una presenza discreta e gentile, e allo stesso tempo farmi accarezzare.
Mi sentii lusingata e coccolata dalla sua galante volontà di soddisfarmi, gradivo questa sorta di muta intimità che si era creata; eccitata dalle sue zelanti cure, non tardai a venire tra le sue dita, con brevi gemiti che accompagnavano le piccole ma acute ondate del mio piacere.
Lui mi accarezzò la testa e si avvicinò un istante al mio orecchio 'Adoro vedere compiersi quel piccolo miracolo nel corpo delle donne. Mi affascina ciò che ha origine da quella dolce ferita tra le vostre cosce'.
Un istante dopo egli uscì dal mio corpo appagato, ed io crollai languida sul letto. Stetti così distesa per un poco, il viso nascosto tra i capelli la coperta.
Quando girai il capo lo vidi contemplarmi, seduto sulla poltrona, ricomposto, nel suo sguardo qualcosa di dolce e assorto. Io lo guardai smarrita, mi risollevai come un animale stremato, come una vergine aperta dopo lo strappo.
Mi ripulii con lentezza, ancora stordita, con l'asciugamano che mi porse, nel mentre il mio sguardo continuava ad inciampare sul suo, da esso attirato e corrotto.
Mentre mi rivestivo il copista continuava ad osservarmi immerso, in silenzio, coi gomiti puntati sui braccioli e le mani giunte sulle labbra.
Quando fui pronta, feci per andarmene; 'Dimenticate ciò che è vostro. Uno scrittore non si separa mai dalla propria penna.' suggerì lui cortese accennando al lato del letto.
Lo guardai sorpresa, non potei trattenere un sorriso colpevole, al quale rispose anch'egli, eloquente dietro le dita eleganti, rivelando quanto seducente sapeva essere il suo viso.
Colsi la penna e l'astuccio accanto al letto guasto, e mi fermai un momento rivolgendogli un ultimo sguardo, senza sapere che dire. 'Vi auguro buona fortuna con i vostri racconti' pronunciò gentile, io sorrisi larga e scomparvi dietro il paravento; raccolsi le mie cose ed i miei racconti liberati e corsi via.
Rientrando a casa, guardai sfrontata gli uomini in cerca di piacere e le donne vissute di Pigalle, senza disagio alcuno, li vidi con occhi nuovi, occhi curiosi e ardenti.
Conservai la penna del copista, come egli mi suggerì non me ne separai, con essa complice della mia fantasia e del mio desiderio, scrissi i miei racconti più preziosi.

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