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Racconto n° 775
Autore: Faber Altri racconti di Faber
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Il vento
La finestra guarda a sud.
Sorride al mare.
La giornata non è di quelle che sanno del tutto ancora di primavera e che non hanno sole sufficiente ad arrossare prime e poi, all'indomani, scurire il viso e dare risalto agli occhi azzurri.
Non quel sole che al tramonto lascia il calore sulla faccia mentre magari il corpo è ancora freddo per le notti accumulate troppo lunghe e le giornate rapide di soffio.
Il vento viene dal lato, leggermente inclinato batte sullo sguardo spalancato.
E' vento di Versilia, covato nelle Apuane a crescere nei tagli e nelle gole del marmo.
E' vento nato dal ghiaccio del sasso spaccato e tagliato a creare stanze e cattedrali biancovenate in mezzo alla montagna.
E' vento spezzino, soffiato e incuneato in quelle valli all'altra costa, dove l'arco quasi si fronteggia e in mezzo hai solo il mare.
Il mare dà e rende, cede al vento parte del suo calore universale.
Ne da' ritmo di oceano al respiro che nasce tra i monti assai più rabbioso.
Ritmo di onda da mare tropicale.
Raffiche montanti e quiete in mezzo.
Onda che sale con forza.
Poi sembra che l'aria pompata quasi si fermi, gonfia, inalberata, come se avesse compiuto l'opera e spinto la vela avanti ancora un poco.
Poi l'onda d'aria si ritira come fosse acqua di risacca e non respiro del cielo, delle valli e dei monti, mantice di mare.
Nel colmo della pressione del vento, nel suo gonfiore turgido, fermo un istante, gonfio, tiepido e freddo come cibi differenti accostati dentro il piatto, il vento si fa crema calda e riso bollito freddo accanto, il vento fa cantare la persiana verde.
La persiana accostata al muro canta.
Lamelle di legno parallele e verdi che si fanno corde e fischio e canto di sirene simultaneamente sotto il fiato del loro suonatore.
Poi il vento si ritira per un poco, attendo allora dal letto il nuovo suono, quando l'onda inarrestabile rimonta e soffia tra le stecca e canta ancora.
Siediti adesso allora al davanzale, la casa è bassa.
E guarda verso il mare. Nessuno mai vedrà da sotto o da vicino le tue gambe nude e il sesso ancora caldo e impastato degli umori.
Siediti e volgi lo sguardo e le gambe un poco ad est.
Guarda il mare e guarda il vento arrivare. Segui con gli occhi là in basso e in fondo lo sbiancarsi dell'acqua.
E' il vento che arriva.
Guarda.
Allarga le cosce se lo vedi arrivare.
Allargati la fica con le dita e con le mani.
Non hai nemmeno freddo nell'attesa.
Apriti.
Apriti al vento.
Lascia che il vento ti secchi prima, poi ti lecchi e ti ribagni ancora.
Accogli il soffio che ti ripettina i capelli dopo l'amore, li rassetta, li carezza solo all'inizio, li toglie dallo sguardo, spettini gli occhi, e li posi lunghi e paralleli sulle spalle.
Apriti al vento.
Allargati.
Fallo entrare.
Apriti alla carezza che prima sfiora e poi si insinua e riempie.
Il vento che ti fischia tra le cosce.
Che trova strada tra le dita che allargano la grotta.
Il vento sa di mare.
Ti sale dentro come se percorresse una gola di montagna.
Sale con la forza dell'onda che aggira, piega, insinua, scosta, erode e si sprofonda.
E asciuga e poi ribagna.
Carezza il fiume che ti dorme dentro.
Io sono dietro a te.
Ti lecco il collo a far gelare la saliva sotto l'aria che ci scorre sopra adesso.
Stringo da dietro i seni gonfi sotto la felpa blu.
Alzo i seni strozzandoli nelle mani.
Li strizzo, spremo, senza dolore, li inarco al cielo, li sollevo mentre premo la tua schiena.
I tuoi capelli sul viso adesso carezzano di frusta il mio sorriso.
Il tuo bacino si solleva e si rovescia e ti rovescia indietro in quella morsa.
Il sesso è offerto tutto e spalancato all'onda d'aria.
Le labbra sotto come strappate dalle tue dita a farsi porta spalancata nella mattina della festa.
L'ospite soffia, sale dentro, gonfia.
Riempie.
Si ferma. Chiudi ermetiche le labbra con le dita, adesso!
Serra e trattieni.
A imprigionare l'amante che ti allarga e ti dilata.
Che forza le pareti dentro e ci si incolla.
Che sfrega di risacca e di raffica forte.
E' caldo nel salire e freddo poi alla fuga.
Ti riempie come un uomo che impazzisce di tensione.
La grotta si fa morbida per il vento che è teso e duro nella rabbia della spinta e lo senti come tuo, come se ci aderisse e sprofondasse nei nervi e nella carne.
Sigilli la grotta con le mani e l'umido di porta chiusa.
Il vento dentro è teso e riempie come un uomo forte.
Sembra quasi abbia tensione e corrente sua ancora chiuso lì dentro e prigioniero.
Forza per gonfiare e ha imprevedibile spinta e ritmo naturale.
Ti stringo il seno e faccio morire il collo di lingua labbra e saliva che cola sulla schiena.
Tu godi con il vento.
Allarghi e rispalanchi, io sento l'abbandono del busto al tuo riaprirti.
La raffica ritorna assassina, ne avevo calcolato nella mente il ritmo e mi sono anche adeguato con spirito bastardo.
Strappo i seni, con le mani aperte li imprigiono a schiacciare il capezzolo duro sotto il palmo. E stringo e tiro indietro e ti sollevo quasi sul davanzale.
Le cosce a penzoloni, spalancate, come lancette di orologio.
Stringo e tiro a me ancora più forte mentre la persiana sibila di nuovo.
Riapri con le dita, accogli, imprigioni, serri, chiudi, stringi le cosce piena.
Ti bacio sul collo umido ancora e ti soffoco con la schiena sul mio petto.
Tu godi dei due amanti del mattino su quel davanzale.
Respiri adesso, ricomponi i capelli, giri sul parapetto grigio spento di ardesia che hai bagnato e luccica nero adesso dove tu eri seduta, scendi nella stanza dal tuo veliero dopo la rotta e la tempesta e torni verso il letto.
Hai anche freddo adesso.
Ti infili e abbracci in cerca di calore.
Strofini dolcemente il viso al petto che ti accoglie in porto dopo la tempesta.
Rubi il calore dell'abbraccio, ritornata in porto.
Culli con una canzone ritmata a bocca chiusa e sottovoce il ritmo di risacca del tuo cuore.
Del tuo corpo.
Hai avuto me e il vento per amanti stamattina.
Io ti abbraccio e mi addormento lentamente.
Lui soffia e pulsa ancora fuori e fa cantare la persiana.
Mi addormento mentre canti con lui.
A bocca chiusa e sottovoce.
Canti la tua canzone, ancora e ancora.

Dediche

Disperdo le dediche come polvere nel vento. Che altro potrei fare.. visto il tema?
Che altro potrei fare in una tarda mattinata scossa da raffiche che vengon da lontano?

Dedico alla persiana verde che mi ha svegliato molto presto con la sua canzone, un mattino.
Alle note che hanno cullato risveglio e desiderio strappate anche con rabbia col ritmo di onda aerea.

Dedico alla donna che accetta i miei venti e le mie tempeste da tanto.
E sa farsi, Lei, porto e offrire il caldo ormeggio quando il vento è bufera e il petto grida come se fosse legno verde a stecche strette, sotto il vento dalle Apuane fronteggianti all'orizzonte, carico di mare.
La donna spettina e ripettina i capelli al marinaio. Sconvolge di tempesta e poi sa farsi calma come acqua di stagno.
Ed offre approdo.
Che legge il vento salirmi negli occhi prima ancora della testa.
E ama ed è paziente delle mie bufere.

Dedico all'amico che ama il vento di Liguria come me.
Lo cerca spesso anche dentro una canzone vecchia con gli odori e i sapori di chi sa cercare.
Quello a cui non ho mai dedicato nulla veramente, con esplicite parole, e me ne accorgo solo ora. Credevo bastasse la sintonia del pensiero e le parole fossero anche di troppo.
Rimedio ora, per la tua gentilezza, il tuo rispetto, l'affetto, la pazienza, l'animo, la voglia che dimostri di ascoltare sempre lo stesso vento e le stesse parole.
Quelle della gente di riviera, portate spesso via all'orecchio proprio dal vento, e non udite mai che col pensiero.
Colpa, o forse merito, del vento.

Dedico alle donne tutte che amano il vento.
Quelle che non hanno paura di venire spettinate.
Che non si chiudono in casa.
Che sfidano il vento, gli sguardi e la vita a fronte alta.
A loro il vento non spettina i capelli. Li accende come fiamme e li fa sussultare nel camino se le guardi.
Hanno occhi di tempesta se li serrano contro vento, nel cammino, lampo di sfida al mare, avviso ai naviganti.
Se incrocio quegli sguardi, io, mi gonfio, mi ribalto, arrotondo il soffio e il respiro, urlo nelle gole di montagna, mi incuneo nelle valli, squasso e percorro i miei pensieri come onda di scoglio, affanno il pensiero nella corsa, canto nelle fessure quando passo.. io mi faccio vento, allora.
Solo vento.

Faber

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