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Racconto n° 837
Autore: Enchantra Altri racconti di Enchantra
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Pomeriggio con Liszt
Fino a quel momento era stato un pomeriggio di girovagare annoiato fra le strade della mia città, senza una meta precisa né un'idea di cosa fare veramente.
Erano state le vetrine ad attrarmi, forse per i colori autunnali esposti, forse per l'esposizione elegante dei vestiti sui manichini, forse i manichini stessi con quell'espressione indefinita, assente, distaccata. Il mondo, là fuori, non era interessante per loro e neanche per me.
Ecco perché decisi di entrare proprio in quel negozio: era come se mi attendesse, come se quei manichini mi assomigliassero e mi invitassero a stare un po' lì con loro, fuori dalla folla.
All'interno del negozio c'erano file di porta-abiti, poche persone concentrate a cercare la propria taglia e alcune commesse in attesa di servire, più che altro intente a chiacchierare tra loro.
Musica classica in sottofondo. "Strano" pensai, meravigliandomi di ascoltare Liszt in un negozio di abbigliamento, avvolto in questo modo in una elegante atmosfera. Sembrava tutto perfetto, ovattato, liscio, senza crepe.
Nessuno faceva caso a me.
Mi piaceva questa atmosfera rilassata: potevo guardarmi in giro con calma senza avere l'assillo di comprare subito, cercando il modello e il colore che più si addicessero alla mia figura morbida di donna matura.
Peccato non poter accendere una sigaretta, avrebbe contribuito a farmi sentire maggiormente a mio agio. Quando sono concentrata su qualcosa mi piace fumare perché mi dà il senso della sosta nei pensieri, un momento di pausa tra il dire e il fare.
Mentre mi avvicinavo a uno dei porta-abiti lo sguardo mi andò d'istinto su un vestito blu scuro indossato da un manichino all'interno del negozio. La stoffa era morbida, calda, scivolava sotto le mie dita e il desiderio di sentirlo addosso assunse le sembianze di una carezza.
Trovata la mia taglia entrai nel reparto cabine. Ce n'erano cinque lungo un corridoio al di là di una porta a soffietto. Scelsi il primo libero, chiusi la tenda, agganciai a borsa al rampino sulla parete insieme alla stampella che reggeva il vestito.
Rimasi qualche istante a guardarlo prima di iniziare a spogliarmi.
Lo specchio rifletteva i miei movimenti lenti e l'immagine che mi tornava era di qualcuno che sta per assaporare il primo cucchiaio di un delizioso intruglio dolce. i vestiti cadevano in terra e non mi importava nulla se si fossero sgualciti. Volevo solo gustare il momento... volutamente lenta, ostinatamente vezzosa, ammirando le mie forme allo specchio.
Iniziai a sfilarlo dalla stampella, a sbottonare la sfilza di bottoni mentre continuavo a guardarmi allo specchio.
Non so cosa accadde, ma per un impercettibile istante mi sembrò di vedere un pezzo di viso riflesso accanto al mio, una frazione di secondo soltanto come quei messaggi subliminali che ti arrivano dalla pubblicità.
Infilando il vestito dai piedi provai la stessa sensazione di delicata morbidezza che avevo sentito addosso vedendolo pochi momenti prima: i fianchi, poi il ventre poi più su le braccia... mi sentivo accarezzare.
Mentre lo riabbottonavo continuavo a guardare la mia immagine riflessa: il vestito cadeva perfettamente lungo il mio corpo, dritto lungo i fianchi, con uno spacco generoso a mostrare parte della coscia. Le maniche lunghe terminavano con un risvolto delicato sui polsi.
E io lì, in posa, senza scarpe... e con la sensazione di non essere più sola.
Eccolo un'altra volta quel viso... due occhi che mi guardavano attraverso una piccola fessura della tenda lasciata libera di muoversi appena... due occhi che ammiravano quel che io stavo guardando in quel momento, cioè me stessa elegante, sensuale in quel vestito così morbido... felice di piacermi, di piacergli.
Non riuscivo a staccare gli occhi dallo specchio, non volevo perdermi quello spettatore insolito, anzi, più i suoi occhi indugiavano su me più io mi sentivo altezzosamente sicura di me, della mia bellezza, più maliziosamente donna in quel momento.
Fingevo di non vederlo, lui sapeva del mio gioco perverso e io ero conscia di iniziare una scelleratezza desiderata.
Indossai le scarpe dal tacco alto: le gambe slanciate erano armoniosamente inserite in quel quadro erotico perché desiderai dischiuderle fino a che lo spacco non mise in mostra l'autoreggente e un pezzo di carne nuda della mia gamba.
Sbottonai alcuni bottoni e infilai una mano nella scollatura. Questo gesto mi diede un brivido ulteriore.
Lui mi guardava silenzioso, ma vedevo i suoi occhi stringersi sempre più, come per mettere meglio a fuoco l'immagine che gli offrivo.
I capezzoli erano turgidi e il mio sesso era già umido, ricco del mio umore muschiato, denso, dolce. Volevo toccarmi ma, allo stesso tempo, prolungare il desiderio.
L'idea mi venne guardando la sedia all'interno della cabina: aveva i pomelli dello schienale all'altezza giusta del mio sesso... non potei sottrarmi dal pensiero osceno che mi aveva attraversato la mente e mi parve di vedere un ulteriore bagliore nei suoi occhi che si chiusero in un impeto di desiderio.
- Sì - mi diceva. - Fallo! -
La sedia era di traverso davanti a me, così da avere il pomello comodamente a portata di sesso. Iniziai a strusciarmi su quella piccola rotondità che tanto assomigliava al mio clitoride, una mano sul seno mentre leccavo avida le dita dell'altra mano.
Lo guardavo, lui faceva altrettanto e gli sguardi non smisero mai di cercarsi, di produrre così tanta fluida comunicazione erotica tra di loro.
Il suo desiderio mi arrivava senza freni, così come io ero senza nessuna inibizione.
Liszt continuava a inondare il negozio, stranamente silenzioso, e le persone entravano nel corridoio delle cabine senza accorgersi di nulla.
E io stavo scoppiando di desiderio, di libidine improvvisa, di fuochi artificiali, di inondazione prolungata mentre quei due occhi non si staccavano da me.
A stento sono riuscita a soffocare il mio orgasmo che è arrivato impetuoso lasciandomi piegata in due su quella sedia, complice muta, gli occhi chiusi e persa nel nulla del piacere.
Ho riaperto gli occhi... i suoi non c'erano più.
Senza togliermi il vestito nuovo, cercando di riabbottonarmi, sono uscita dalla cabina rientrando infine nel negozio.
Chissà quale degli uomini lì dentro era stato il mio consapevole strumento di piacere.
Ho pagato, sono uscita.
Un ultimo sguardo alle vetrine prima di allontanarmi e quei due occhi sono riapparsi per un attimo soltanto fra i manichini.

Enchantra

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