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Racconto n° 852
Autore: Giulia Lenci Altri racconti di Giulia Lenci
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Vitola
Non vado mai a Cuba per volgari motivi. Sono in discreti rapporti d'amicizia con gli eredi della prestigiosa "Gerard père & fils" e il mio interesse per quella terra generosa e pigra si esplica solo in questo campo.
Anche quella volta attesi con pazienza la Rolls guidata da Bonito e, quando la vidi apparire in tutto lo splendore delle cromature dorate, sospirai senza che trapelasse il minimo segno di fastidio. Mezz'ora di ritardo era pur sempre un bel traguardo, per Bonito.
"Hi hi hi hi hi..."
Era questo il suo saluto consueto, cui risposi con un cenno del capo. Dal mio ultimo soggiorno aveva perso altri due denti, ma gli occhi sfavillavano maliziosi come il solito. Mi accomodai dietro, servendomi finalmente una coppa di champagne dal piccolo frigorifero e rendendomi subito conto che non stavamo seguendo la strada abituale. Bonito aveva sterzato in modo sconveniente e alcune gocce di vino mi bagnarono la mano. L'asciugai con il fazzoletto di seta e chiesi:
"Ma dove ci stiamo dirigendo, santo cielo?"
"Hi hi hi hi..."
"Per cortesia, Bonito, mi vuoi spiegare..."
"Hi hi hi... una sorpresa... hi hi hi hi..."
Levai gli occhi al cielo e terminai lo champagne. Con Bonito era necessaria tutta la mia riserva di calma e non avevo intenzione di fare uno strappo alla regola, rovinandomi la giornata. Si fermò di fronte ad una casupola non distante dalla fabbrica che era mia intenzione visitare, balzò a terra e cominciò a saltellare come un grillo tra la mia portiera aperta e la porta chiusa di quella casetta, invitandomi a scendere gesticolando come un folle.
"Hi hi hi hi hi..."
"Bonito, ti supplico, il signor Gérard mi attende..."
I suoi occhietti sprizzavano scintille, mentre apriva la porticina di legno.
"Non si pentirà... hi hi hi..."
C'è un prezzo da pagare per ogni cosa e Bonito è un filtro davvero costoso tra me e il signor Gérard, che si fida di lui in maniera spropositata. Ma tant'è. Scesi senza tradire nervosismo e misi piede nella penombra ambrata e densa del profumo di tabacco, che mi avvolse e mi esaltò all'istante.
"Hi hi hi... mia nipote... hi hi hi..."
Una ragazzotta nè bella nè brutta emerse da sotto i fasci di foglie appesi ad essiccare, inchinandosi con grazia verso di me. Bonito mi diede di gomito.
"Hi hi hi hi..."
Ora, avevo capito da tempo che Bonito aveva seri dubbi sulle mie inclinazioni. Era comprensibile: per ogni cliente che saliva alla fabbrica, doveva poi ridiscendere fino ad una delle dimore più esclusive della zona. C'intendiamo. Con me era rimasto di stucco. Avevo declinato la sua prima offerta e quelle successive, sicchè ormai si limitava a sollevare appena le sopracciglia, in attesa del mio "All'hotel, per cortesia." Era chiaro che quel giorno voleva mettermi alla prova, e questo era inaccettabile.
"Bonito, la tua sfacciataggine..." dissi a bassa voce.
"No, signore... Non mi sono explicado..." sussurrò.
"Allora spiegati, santo cielo..."
Lui mi si avvicinò indecentemente, per mormorarmi all'orecchio:
"E' la miglior torcedora..."
La ragazza abbassò gli occhi con una modestia commovente.
"La migliore!" ripetè Bonito "A lei può domandare qualunque cosa... hi hi hi..."
Ora, in effetti, al telefono avevo accennato al signor Gérard il motivo della mia visita. In quanto custode della più preziosa collezione mai esistita di sigari, tramandatami dal mio nonno paterno, desideravo approfondire la conoscenza dei minimi dettagli di fabbricazione, giusto per sapere di cosa parlavo. Era evidente che Bonito ne era stato informato, ma ero convinto che quella diversione fosse farina del suo sacco. Decisi di stare al gioco e, per togliermi in fretta dalla situazione poco ortodossa, notando con disappunto che Bonito era uscito richiudendo la porta alle sue spalle, dissi:
"Vorrei sapere, per cortesia, se le foglie vengono avvolte in senso destrorso o sinistrorso..."
Il viso della ragazza s'illuminò di un sorriso delizioso, ma non rispose, naturalmente.
Pensando di sbarazzarmi di lei tout court, rincarai la dose:
"Per essere più esplicito: senso orario o antiorario?"
I suoi occhi emanarono faville, che cercai di evitare volgendomi per uscire. Qualcosa trattenne la mia giacca di lino. Era una sua mano, piccola, delicata e serrata come un artiglio sul lembo del mio abito chiaro.
"Signore, prego... io dimostro..."
"Dimostri cosa?" domandai in un soffio.
Lei rise un po'. "Come si fa una vitola, claro..."
Santo cielo, dovevo eludere quell'invito equivoco.
"Grazie, cara, ma io..."
"Prego..." sorrise, indicandomi una seggiola.
Sedetti per un unico motivo: la mia sete di conoscere.
"Faccio un esempio..." disse.
"Sì?"
Con le manine brune e morbide sollevò la mia mano libera, poichè l'altra s'era ancorata al sedile di paglia. Indugiò un attimo, poi la scelta cadde sull'indice. Tenendolo nel suo palmo soffice come un nido accogliente, lo accarezzò leggera con l'altra manina. Intorno a noi era la sospensione del tempo. Tra di noi, il suo respiro carico di languore e il rimbombo incontenibile dell'agitazione che m'aveva pervaso. Un attimo in più sarebbe stato insostenibile. Urgeva riprendere possesso del mio autocontrollo e accennai ad alzarmi. Lei previde la mia fuga e, con una semplicità disarmante e animalesca, si accucciò sulle mie gambe. Mi sentii in trappola e deglutii, ammutolito.
"Un esempio..." sussurrò, accostando il mio dito alla sua bocca, percorrendolo con la punta rosea e umida della lingua, di colpo abbandonandolo, per impossessarsi con golosità famelica del mio pollice. Alzò lo sguardo su di me e avvitò la lingua in un verso e poi nell'altro, abbassando e risollevando le ciglia nere e irresistibili. Quello scherzo non doveva protrarsi, santo cielo. Tentai di respingerla drizzando il busto, ma avvenne il peggio. La situazione precipitò, inarrestabile. Lei premette i glutei tondi e sodi su di me e, ormai certa senza possibilità d'equivoco che non le sarei sfuggito, sorrise e mi slacciò i pantaloni. Inginocchiata davanti a me, nell'aria arroventata che sapeva di tabacco, di spezie e di cos'altro ancora non so, misurò il calibro del mio sigaro, con le sue labbra che afferravano e allentavano la presa in una successione di colpi e andirivieni accompagnati dal torcersi della lingua calda, che spezzò del tutto la mia resistenza a quel supplizio tropicale.
Ricomponendomi, con discrezione le lasciai un'offerta, che sparì tra le sue manine sapienti.
Bonito era seduto al volante e, quando salii, mise in moto, avviandosi per la strada conosciuta. Percorremmo il grande viale d'ingresso e fermammo dinanzi all'immensa stupenda villa. Aprì la mia portiera con un inchino e, mentre aggiustavo il fermacravatta d'oro e il portone lucido si spalancava sullo scalone di marmo candido, bisbigliò:
"Bueno, signore, siamo in orario o antiorario? Hi hi hi hi..."

Giulia Lenci

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