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Racconto n° 1165
Autore: Alemar Altri racconti di Alemar
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Guen, il ritorno
La pioggia l'aveva colta di sorpresa, come il migliore dei temporali estivi.
Teneva il biglietto in mano, le gocce di pioggia avevano cancellato il numero civico del palazzo all'interno del quale avrebbe dovuto sostenere il suo primo colloquio. Il suo primo libro. Già, ce l'aveva fatta, un editore era inciampato sulle righe del suo romanzo, e gli era piaciuto.

L'unica alternativa era infilarsi nel primo bar e chiedere.
L'angolo della strada ne offriva uno, lei era a pochi passi, la porta aperta da un cliente che usciva, le regalò l'aroma di caffè che la convinse ad entrare.

"Un caffè grazie."

Al banco, un uomo le dava le spalle, ma alla sua domanda si voltò di scatto.

L'istante che seguì fu squarciato dal fragore di un tuono, lo stesso avvenne nel suo petto, quando riconobbe gli occhi, e rivide l'azzurro dopo tutto quel tempo, vide l'azzurro malgrado il grigiore del cielo.
Gli angoli del sorriso si allargarono. Illuminarono il volto appiattendo le rughe sul viso di lui.

"Ciao."

L'aveva detto lentamente, la sua voce tradiva stupore e gioia imprevista.

"Che ci fai qui?"

"Potresti almeno salutare..."

Scoppiarono a ridere entrambi e lui l'abbracciò con affetto. Quando le braccia cinsero la schiena, un altro tuono spaccò il cielo, e lei si aggrappò alla giacca leggera.

"Sempre paura dei tuoni?"

"Da morire!"

L'imbarazzo tornò a fermarle le braccia, ad allentare la presa.

"Ti trovo bene."

"Si, sto bene, sono appena tornata dal mare, direi anche tu, dall'abbronzatura."

"SI, ma tu mi batti!"

Altra risata, e le chiacchiere si sovrapposero. Finirono di prendere il caffè insieme.
Ogni tanto si guardavano negli occhi, deviando la direzione tutte le volte che si sorprendevano a farlo insieme.

"Sto cercando Via Dante, devo andare all'83. Sai dov'è?"

"Si, non è lontano. Che ci vai a fare?"

"Ricordi la storia di Guen?"

Lo guardò maliziosa e felice. Lui le rispose nello stesso modo.

"Non mi dire... te la pubblicano?"

Abbassò lo sguardo, con falsa modestia accennò un si. Lui l'abbracciò ancora, e lei non si sottrasse.

"Sono felice per te! Bisogna festeggiare!"

Chiamò per nome il barista, il quale voltandosi sorrise, con in mano due flute che riempì di champagne.

"Ma sono le 10 del mattino, un caffè va benissimo!"

"Certe occasioni non si sprecano con un caffè."

Bevvero e risero, felici di essersi ritrovati.

"Dai, ti accompagno, se ti conosco bene, sicuramente non hai l'ombrello."

"Si, mi conosci bene, non ho l'ombrello."

Le aprì gentilmente la porta e la invitò sotto la tela blu impermeabile, unico riparo dal grigio arrabbiato di quella perturbazione sopra le loro teste.
Camminarono stretti per evitare la pioggia, per entrambi era la scusa migliore per condividere un'intimità che da sempre li univa. Lui le cingeva le spalle, lei si lasciava avvolgere. Il traffico non le pareva più tanto chiassoso, tutto sembrava molto lontano ora, ora che si era nuovamente aperto quello stargate che un tempo l'aveva fatta sanguinare. Svoltarono dietro l'angolo.

"La vedi l'insegna di quel tabacchi? Il civico che cerchi è poco più avanti, siamo quasi arrivati."

Lei aveva guardato a terra i piccoli quadrati di porfido viscidi e neri, bagnati di pioggia.

"Peccato."

Credeva di averlo solo pensato, invece lo aveva sussurrato.

"Hai detto qualcosa?"

"No, nulla."

Si fermarono davanti al portone, la targa in ottone spiccava a sinistra.

"Bene, ci siamo. Sei arrivata sana e salva, e soprattutto non sei fradicia di pioggia."

"Già."

Il silenzio le sembrò terribilmente imbarazzante, e come a volerlo chiamare, il fragore di un tuono le arrivò fin dentro lo stomaco, facendola sobbalzare per la paura. Spalancò gli occhi, e lui rivide il pozzo nero, di cui conosceva la profondità.
Lo abbracciò per istinto, per paura, per nostalgia, per debolezza, per...

Fu la fine.
La fine della logicità, del buon senso, delle promesse mai mantenute. La fine della fine.
Il volto spaventato scivolò tra le sue mani, e come in un fotogramma già vissuto, si ritrovò sulle sue labbra, dentro la sua bocca, a scambiarsi baci avidi e affamati. Baci rabbiosi, rinchiusi in una cavità destinata ad esplodere facendo danni. Danni gravi nel cuore e nella mente. I respiri persero silenzio, diventando affanni, le voglie più inconfessate avevano trovato il modo di comunicare, parlando la stessa lingua: il desiderio. Senza ombrello a ripararli dalla pioggia, si lasciarono inzuppare dalla voglia di rotolare dentro il letto che li aveva accolti, dentro le mura di una casa che li aveva già visti.
Tutto era andato contro di loro per troppe volte, tutto si era incastrato male, come pezzi di puzzle diversi e per questo incompatibili.

Lui l'appoggiò di forza contro il portone, appena sotto un piccolo balconcino, incurante della gente che passava. Erano soli, soli con lo spettro di ciò che erano stati tanto tempo prima, figli di un inverno che non aveva saputo riscaldarli. E dopo l'estate passata ad asciugarsi le ossa e leccarsi le ferite per il dolore causato da uno squarcio profondo, si ritrovarono lì, a darsi in quel bacio l'amore e l'odio di cui erano capaci, l'amore e l'odio da cui erano legati.
Corpo contro corpo, gambe tra le gambe. Fiato dentro fiato.
Le lingue danzavano tra le labbra quasi aperte, guizzavano e fremevano golose e felici di ritrovarsi in quel sapore.

"Portami via di qui."

"E il tuo libro?"

"Il mio libro aspetterà. Oggi si deve festeggiare altro; non è semplice coincidenza, le cose non capitano mai a caso. Se siamo qui c'è un motivo, quindi adesso festeggio di averti, il resto viene dopo."

"Sei sicura?"

"Mai stata più sicura. Portami via. Adesso o mai più."

L'aveva guardata nella profondità del suo pozzo nero, cercandoci spiegazioni, e sapendo di non trovarne, come sempre, come allora. Non esistevano risposte, perché per lei non esistevano domande. Era così, era il destino, la natura, il caso... era?
Lui respirò a pieni polmoni l'aria bagnata, guardò il cielo grigio, guardò lei. Non era mai uscito da quegli occhi, e lei non era mai uscita dai suoi. Un legame come quello, era per sempre.
Le cinse ancora le spalle, lei appoggiò la testa al suo petto e si lasciò condurre fiduciosa. Quella mattina non avrebbe firmato nessun contratto per la pubblicazione del suo libro. Quella mattina avrebbe scritto il primo capito di una nuova storia.
Il traffico lì condusse per la via ancora poco affollata, erano belli insieme, e la strada davanti a loro procedeva dritta, senza curve.


Postille (di dovere, in questo caso)

Questo racconto non è propriamente erotico e me ne scuso con chi si aspettava da me ben altra storia. E' una sfida, la mia sfida.
Basta isole sperdute e spiagge solitarie. Guen diventa metropolitana, perché è il momento della svolta: la sua, la mia...
E' un inizio che non so dove mi porterà. E' una storia che non ho pianificato, uscirà spontaneamente, da sola, senza forzature. Come la telefonata inaspettata che mi ha portato l'incipit inatteso...
Come tutte le storie di Guen.
E' il primo capitolo di un nuovo lavoro, e spero di restituire a chi si aspettava qualcosa di più eccitante, momenti caldi ed intensi. Arriveranno, statene certi. Come sempre Guen non si farà aspettare, e colorerà con i colori più vivi, le passioni che la vedranno protagonista. Perché lei non conosce altro sentire che questo.

Grazie a chi avrà la pazienza e la costanza di seguirmi in questo nuovo ambizioso lavoro.

Dedicato? Ovviamente si.

Alemar

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